Continua l’offensiva militare lanciata il 4 novembre contro il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), che considera il premier Abiy Ahmed un leader illegittimo. Secondo Abiy Ahmed, il Fronte di liberazione popolare del Tigray ha attaccato due basi militari federali con il tentativo di destabilizzare il Paese.
L’Etiopia è uno stato federale popolato da oltre 110 milioni di abitanti, è una potenza egemone nel Corno d’Africa, sia dal punto vista economico che militare, ma allo stesso tempo, è anche un paese fragile e complesso, composto da dieci stati regionali, costruiti su base etnica, con un governo centrale che da sempre è alle prese con ricorrenti tensioni e forti spinte identitarie.
Per secoli i protagonisti sono stati Ahmara e Tigrini. Il Tplf ha dominato il governo centrale dell’Etiopia per 30 anni, ma il loro potere è diminuito durante il mandato del primo ministro Abiy Ahmed, entrato in carica nel 2018. Da allora, è cominciata una fase molto pericolosa.
Il nuovo leader ha prodotto profondi cambiamenti nel Paese. Famoso per essere uno dei peggiori al mondo per la libertà d’espressione e di pensiero, Abiy Ahmed ha rilasciato migliaia di prigionieri politici, rimuovendo anche il divieto di creare nuovi partiti e si è fatto promotore di un accordo di pace che ha messo fine alla guerra con la vicina Eritrea. A soli 44 anni, il premier ha ricevuto il Premio Nobel per Pace lo scorso anno.
Gli Oromo, da lui rappresentati, pur essendo in maggioranza numerica, hanno sperato che Abiy Ahmed promuovesse un programma politico a loro favore. Ma, quando è diventato primo ministro, il suo scopo era calmare gli animi degli Oromo e puntare all’unità nazionale. Dunque, l’azione del leader non ha corrisposto alle aspettative. Abiy Ahmed ha infatti voluto cambiare quanto realizzato dal suo predecessore, il tigrino, Meles Zenawi, che aveva costruito la federazione. Essendo l’Etiopia un Paese multietnico, aveva deciso di ‘scriverlo nella Costituzione’, costruendo governi regionali, con un governo federale. Abiy Ahmed lo ha rovesciato, poiché sosteneva che non solo l’iniziativa non avesse funzionato, ma anzi, che avesse addirittura accresciuto le velleità delle varie etnie. Decise quindi di tornare ad un partito unico, fondando l’Eprdf, il Prosperity Party (il Partito alla Prosperità). Si trattava di un partito aetnico, in cui non ci sarebbero più state le componenti federali. I tigrini, rappresentati da Tplf, si sono rifiutati di aderire, si sono ribellati e a settembre, hanno organizzato delle elezioni regionali. All’inizio del mese in Tigray sono scoppiate violenze che hanno coinvolto forze federali e locali. A seguito di provocazioni militari, continue e crescenti tensioni, il tentativo di secessione dei tigrini, è stato contrastato dall’esercito dell’Etiopia. In particolare, il Primo Ministro ha ordinato l’offensiva militare dopo la denunciata presa di potere di una base militare nella capitale del Tigray, Mekelle. Prima dell’escalation, dozzine di persone nella regione occidentale dell’Oromia sono state uccise e ferite in attacchi.
La situazione è molto preoccupante. La guerra si potrebbe affermare che sia già cominciata. Dalle minacce si è passati alle armi e da giorni si registrano scontri militari con il governo di Addis Abeba, che promette di schiacciare le ribellioni nella regione settentrionale del Tigray.
Amnesty International ha riferito un “massacro spaventoso” tra la notte del 9 e del 10 novembre, e ha dichiarato l’esistenza di prove di un massacro tra i civili nella città di Mai Kadra, nella regione settentrionale del Tigray. Secondo i testimoni, le vittime sarebbero state uccise con machete e coltelli, e la maggioranza proveniva dall’etnia Amhara, una regione con una storia lunga e tesa con il Tigray. A causa di un totale blocco delle comunicazioni, l’esatta dimensione del massacro è ancora incerta, e non si è ancora in grado di confermare chi siano gli autori del massacro, ma testimoni oculari hanno chiamato in causa forze del Tplf.
La Commissione ONU per i Diritti Umani ha lanciato l’allarme: “l’Alto Commissario chiede un’indagine completa”. Michelle Bachelet ha espresso profonda preoccupazione per le uccisioni di massa, affermato che “se le forze nazionali e regionali del Tigray e le forze del governo etiope continuano sulla strada su cui si trovano, c’è il rischio che questo la situazione andrà totalmente fuori controllo”. Altrettanto preoccupante è l’incitamento all’odio per motivi etnici e religiosi. Questi attacchi stanno aumentando il rischio di genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. “Se confermata come deliberatamente eseguita da una delle parti negli attuali combattimenti, queste uccisioni di civili sarebbero ovviamente crimini di guerra”, ha detto l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani.
Timori sono stati espressi per gli oltre 96 mila eritrei che vivono in quattro campi rifugiati nella regione, così come per gli operatori umanitari impegnati sul campo.
Giorni fa è iniziata la fuga di migliaia di etiopi. Attraversano il confine per arrivare in Sudan, spinti dal caos e dalla paura dei combattimenti, e in molti riferiscono un’escalation di violenze e atrocità. Sono oltre 4.000 le persone che attraversano il confine in un singolo giorno. All’interno del Sudan, a chi arriva dall’Etiopia è stato offerto un ricovero temporaneo in centri di transito vicino ai punti di ingresso al confine di Ludgi a Gederef e Hamdayet nello stato di Kassala.
La regione è diventata l’ultimo centro della complessa politica etnica dell’Etiopia e lo scontro sta provocando una grave crisi umanitaria.
Intanto il 14 novembre, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha avuto una conversazione telefonica con il Primo Ministro della Repubblica Federale d’Etiopia, Abiy Ahmed, per parlare degli sviluppi interni al Paese e nel contesto regionale. I due leader sono rimasti d’accordo di tenersi costantemente in contatto.