È almeno da un quarto di secolo che, al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, si dibatte di una riforma del Consiglio di Sicurezza, per molti nella sua forma attuale ingombrante lascito post-bellico che necessita di essere riformato in senso più democratico. Un dibattito che, dopo periodi di latenza, torna periodicamente d’attualità, evidenziando come le posizioni degli Stati in materia siano sostanzialmente polarizzate, al punto da aver impedito la preparazione di una bozza scritta da sottoporre a negoziato.

Su questo tema, l’Italia, dalla metà degli anni ’90, guida un gruppo, Uniting for Consensus, che sostiene l’espansione dei seggi non permanenti del Consiglio. Un’iniziativa che si deve all’intuizione dell’indimenticabile “gladiatore della diplomazia” Francesco Paolo Fulci, il quale, nel 1995, insieme agli ambasciatori di Pakistan, Messico ed Egitto, iniziò quello che venne soprannominato “Coffee Club”. Quasi un quarto di secolo è trascorso da allora e, sebbene il gruppo si sia allargato ad altri membri, il dibattito è rimasto incagliato nell’incapacità della comunità internazionale di trovare un punto d’incontro, per difendere i principi di equità e democrazia nel Consiglio più influente della diplomazia internazionale.
Nelle scorse settimane, però, la scintilla è stata rintuzzata in occasione della firma del trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, in cui, tra le altre cose, Parigi si è impegnata a sostenere la richiesta di Berlino di ottenere un seggio permanente, senza diritto di veto. Non è stato un caso che, alla conferenza stampa di inaugurazione della presidenza francese del Consiglio di Sicurezza, a fianco dell’ambasciatore François Delattre si sia presentato anche il collega tedesco Christoph Heusgen, che gli subentrerà ad aprile. Rispondendo ad alcune nostre domande, l’ambasciatore Heusgen ci aveva detto che la priorità del suo Paese è quella di “far avere all’Europa una forte e unita voce europea” (obiettivo ribadito da Delattre), e ha auspicato che l’Italia si mostri collaborativa nello sbloccare la riforma: “Interpreto il suo commento”, ci aveva detto riferendosi alla nostra domanda, “magari come un segnale di disponibilità che anche il suo Paese è pronto ad andare nella direzione di avere un testo base per il negoziato in cui le diverse opzioni sono presenti e poi si decide”.
A questo delicato tema abbiamo dedicato la nostra prima intervista all’ambasciatrice italiana all’ONU Mariangela Zappia, che, dalla sua nomina nel luglio 2018, ha raccolto il testimone dell’ambasciatore Fulci – a sua volta ricevuto dal suo allievo Sebastiano Cardi – nel difendere gli interessi dell’Italia e dell’Europa e i principi democratici all’interno del Palazzo di Vetro, tempio della diplomazia internazionale per eccellenza.

Consiglio di Sicurezza: l’inedita presidenza franco-tedesca è stata presentata al Palazzo di Vetro dai rispettivi Ambasciatori come il rinnovato simbolo di una voce più forte e più unita dell’Europa all’ONU. Che cosa ne pensa l’Italia? Crede che in questo modo l’UE sia in effetti meglio rappresentata in Consiglio?
“Se mi permette, vorrei ringraziare La Voce di New York per l’interesse per un argomento così complesso e per offrirmi un’opportunità per spiegare, chiarire la posizione Italiana. L’Italia sostiene da sempre l’esigenza di una voce forte e unita dell’Europa in Consiglio di Sicurezza. La condivisione del nostro mandato 2017-2018 – il cosiddetto “split term” – con i Paesi Bassi è nata anche sull’onda di questo spirito “europeo”. Il bilancio è stato molto positivo: ha confermato la validità di questa impostazione e posto le basi per svilupparla. L’iniziativa francotedesca di una “presidenza gemellata”, con la definizione di un programma condiviso per i due mesi consecutivi delle loro presidenze di turno del Consiglio, si iscrive nello stesso percorso. L’Italia è stata la prima ad incoraggiare un coordinamento tra paesi europei membri attuali, entranti e uscenti del Consiglio di Sicurezza, quello che oggi viene chiamato “EU caucus” o EU8, e che sempre più frequentemente trova espressione concreta nelle dichiarazioni che rilasciamo in questo formato alla stampa in occasione di riunioni del Consiglio di Sicurezza su temi cruciali – dalla questione mediorientale alla Siria, dall’Ucraina al Venezuela. È importante che l’Europa faccia sentire la sua voce in modo forte e unito non solo in Consiglio di Sicurezza ma in tutti i fori ONU. L’Unione Europea è un partner fondamentale per le Nazioni Unite: è il maggiore finanziatore delle operazioni di pace, delle attività umanitarie e dello sviluppo ed è l’attore internazionale più autorevole che si identifica negli stessi principi fondanti delle Nazioni Unite, pace, sicurezza, eguali opportunità, diritti umani. L’Unione Europea, in questo senso, può e deve offrire un contributo sostanziale alla difesa dei valori del multilateralismo, soprattutto in questa fase di irrigidimenti e frizioni delle relazioni internazionali”.
Durante la conferenza stampa di presentazione della presidenza franco-tedesca, abbiamo chiesto agli Ambasciatori cosa pensassero della riforma del Consiglio, che vede la Germania e l’Italia su posizioni divergenti. Dalla risposta dell’ambasciatore Christoph Heusgen, si deduce che secondo Berlino, l’Italia abbia in qualche modo bloccato il negoziato. L’Ambasciatore tedesco ha anche esortato Roma a iniziare la trattativa. È questa l’immagine che voi avete del negoziato?
“L’Italia, assieme al gruppo Uniting for Consensus che coordiniamo, ha sempre dimostrato apertura al dialogo e flessibilità. L’obiettivo di tutti dovrebbe essere quello di trovare una soluzione consensuale. Il Consiglio di Sicurezza è la chiave di volta del sistema di pace e sicurezza internazionale: è indispensabile quindi che la riforma incontri quanto più possibile le esigenze di tutti e ciò comporterà inevitabilmente dei compromessi. Con il mio collega e amico tedesco, che conosco da quando eravamo rispettivamente Consiglieri Diplomatici della Cancelliera e del Primo Ministro, che stimo moltissimo e con cui ho condiviso tante esperienze importanti, ho un dialogo aperto anche su questo tema. Abbiamo posizioni diverse ma questo non vuol dire che sia l’Italia a bloccare il negoziato. L’Italia, come la Germania, difende una visione di riforma del CdS e al tempo stesso un legittimo interesse nazionale che onestamente penso coincida con quello europeo più che quello tedesco. Il vero ostacolo per il negoziato è l’intransigenza dei paesi che insistono a voler allargare, per entrarci, il club dei permanenti”.
L’originaria proposta di Uniting for Consensus era quella di allargare il CdS e renderlo più democratico, ma senza nuovi membri permanenti. La posizione dell’Italia è ancora la stessa?
“Fondamentalmente sì. La nostra proposta è sempre stata molto chiara: allargare la sola categoria dei non permanenti è l’unico modo per rendere il Consiglio di Sicurezza più aderente alla realtà di oggi, più rappresentativo, democratico e responsabile. Un allargamento del club dei privilegiati andrebbe esattamente nella direzione opposta. Su questo la nostra idea non cambia. È sacrosanto che l’Africa sia più rappresentata in Consiglio di Sicurezza: si tratta di un’ingiustizia storica da correggere. Altre regioni sono sotto-rappresentate. L’Italia e Uniting for Consensus propongono perciò di creare nove nuovi seggi non permanenti di lunga durata – tre per l’Africa, tre per l’Asia-Pacifico, due per America Latina e Caraibi, uno per il Gruppo dei paesi occidentali ed altri paesi – e di aumentare di due il numero dei seggi non permanenti della normale durata di due anni, uno per l’Europa Orientale ed uno per le piccole isole e i piccoli Stati in via di Sviluppo. In questo modo, tutti i gruppi e tutti gli Stati membri avrebbero maggiori opportunità di entrare in Consiglio e di sedervi anche per un periodo di tempo più lungo. La nostra proposta è l’unica che tiene conto anche degli Stati più piccoli, che hanno lo stesso di diritto di dire la loro in materia di pace e sicurezza internazionali. L’aumento dei soli membri non permanenti avrebbe anche l’effetto positivo di migliorare democraticità e trasparenza del Consiglio: attraverso una rotazione chiamerebbe a rappresentare non solo se stessi ma anche il loro gruppo regionale di riferimento. Avremmo un Consiglio di Sicurezza meno ingessato dalla minaccia o dall’uso del veto, e quindi più efficace. Abbiamo sperimentato direttamente anche durante il nostro mandato in Consiglio, che in molti casi è proprio l’azione coordinata dei membri non permanenti a riuscire a sbloccare i contrasti tra i P5, purtroppo sempre più frequenti”.

Amb. Maria Angela Zappia (Italia), Amb. Joanna Wronecka (Polonia), vice amb. Irina Schoulgin Nyoni (Svezia), il coordinatore politico della missione del Regno Unito Stephen Hickey (UK), il vice coordinatore della missione francese al Consiglio di Sicurezza Antoine Michon (Francia) (Foto UN/Loey Felipe)
Un seggio dell’Unione europea permanente al CdS, per l’Italia, dovrebbe venire dalla creazione di un seggio ad hoc, oppure dovrebbe essere la Francia a rinunciare al proprio attuale seggio?
“Quella di un seggio europeo è un’aspirazione ideale, ma anche un’evoluzione indicata dalla Carta, che al Capitolo VIII prevede un ruolo centrale per le organizzazioni regionali in materia di pace e sicurezza. Dobbiamo tenere a mente quest’idea come un faro che indica la strada giusta. Oggi non ci sono le condizioni per realizzarla, non solo perché gli stessi membri permanenti europei non lo accetterebbero, ma anche in generale registriamo la percezione di altri che l’Europa sia già sovrarappresentata in Consiglio. Nel frattempo dobbiamo continuare a lavorare per la riforma. Le proposte massimaliste rischiano di condannare il negoziato a uno stallo indefinito. Invece abbiamo bisogno di colmare quel deficit di fiducia verso il multilateralismo che è andato allargandosi anche a causa della percezione, e francamente anche più che una percezione, di inefficienza del Consiglio. L’Europa, lo abbiamo detto, deve continuare a rafforzare la sua coerenza e unità d’azione. Tutti i paesi europei che siedono in Consiglio di Sicurezza hanno la responsabilità di rendere il punto di vista dell’UE più forte e chiaro e di difendere valori e principi comuni. Ma non si può pensare che dare un seggio permanente a un altro paese UE, per quanto importante, sia una risposta adeguata all’esigenza di un’Europa più forte e che parli con una voce unica e rappresentativa di tutti in Consiglio. Bisogna invece intensificare il coordinamento tra i paesi dell’UE, membri e non del Consiglio di Sicurezza, e il dialogo tra Bruxelles e New York”

Quella della riforma del CdS è una questione che si dibatte da un quarto di secolo. Lei quindi cosa prevede: tempi ancora lunghi, o questa volta la Germania, supportata apertamente dalla Francia, ha qualche chance?
“Si tratta della riforma dell’organo deputato a salvaguardare la pace e la sicurezza mondiali. Non credo che si potranno permettere accelerazioni artificiali. È difficile scardinare la logica dell’attuale composizione del Consiglio. Ricordo che qualsiasi riforma deve godere non solo della maggioranza qualificata in Assemblea Generale ma anche dell’appoggio di tutti i P5 e che come per tutte le altre decisioni anche questa può essere bloccata da un veto. Non c’è altra strada se non quella dialogo che, nel corso degli anni, ha permesso progressi importanti. Abbiamo gettato le basi per identificare formule che possano tener conto dell’interesse di tutti. Tutti oggi riconoscono l’esigenza di una maggiore rappresentatività per i gruppi regionali sotto-rappresentati e la grande maggioranza degli Stati membri è favorevole all’abolizione o alla limitazione del diritto di veto. Dobbiamo continuare ad ampliare queste aree di convergenza. Quanto tempo prenderà, non lo so. Come sapete, non faccio certo mistero di credere fermamente nel multilateralismo. Le Nazioni Unite ne sono il cuore e il cuore deve battere per tutti”.