La Libia, da 8 anni nel caos, torna sul tavolo del Consiglio di Sicurezza presieduto, questo mese, dalla Francia, con un meeting giunto in un momento particolarmente delicato per il Paese nordafricano sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto perché, come ha anche affermato l’inviato speciale ONU nel Paese Ghassan Salame nel suo briefing in videoconferenza da Tripoli, la situazione libica è giunta a una “congiuntura cruciale”: dopo la conferenza di Palermo di novembre, svoltasi senza infamia e senza lode ma con un grandissimo assente ai lavori, il generale Khalifa Haftar, a fine febbraio ad Abu Dhabi il generale della Cirenaica e il leader del Governo di Unità Nazionale sostenuto dall’ONU, Fayez Al Serraj, hanno raggiunto un accordo “per indire elezioni generali in Libia e preservare l’unità del Paese”. Un risultato, ha detto Salame, che è la continuazione del lungo processo di negoziati cominciato a settembre 2017, e che potrebbe prefigurare, finalmente, la fine del travagliato periodo di transizione. Proprio a questo proposito, Salame ha annunciato che la Conferenza nazionale libica, in cui chiederà alle parti di fissare la data per le elezioni, si terrà dal 14 al 16 aprile prossimi, nella città occidentale di Gadames. Una conferenza che sarà aperta a tutte le fazioni libiche, “nessuno escluso”, a cui dovrebbero partecipare tra le 120 e le 150 persone in rappresentanza di tutte le parti.
E se cresce l’attesa per il nuovo incontro tra Haftar e Serraj previsto per la prossima settimana, il principale rivale del leader riconosciuto dalle Nazioni Unite, negli ultimi due mesi, ha messo la comunità internazionale davanti al fatto compiuto: si è infatti impegnato in un’inarrestabile avanzata nel Sud del Paese, zona cruciale per la presenza di ricchissimi giacimenti petroliferi, gestiti anche dall’italiana ENI che ne ha concessione fino al 2042. Un’avanzata, quella dell’esercito da lui guidato (LNA), che sembra aver incontrato in parte il favore della popolazione locale, e che ha strappato all’autorità centrale di Tripoli il controllo di pozzi a dir poco strategici. Lo stesso Salame, nel suo briefing al Consiglio di Sicurezza, ha specificato che l’entrata di Haftar il 13 gennaio scorso a Sebha, capitale del Fezzan, “è stata generalmente percepita come uno sviluppo positivo e portatore di stabilità”. E se pure “l’LNA ha portato ampie misure di sicurezza e stabilità nel Sud della Libia”, secondo Salame resta ancora “non chiaro per quanto tempo la campagna possa essere sostenuta”, soprattutto a causa delle “limitate risorse economiche del governo parallelo”. In altre zone del Paese, invece, ci sono stati nuovi scontri. “A Tripoli il cessate il fuoco continua, ma il più ampio piano di sicurezza per la capitale è rimasto solo parzialmente implementato”.
Una situazione di instabilità sullo sfondo della quale si stagliano, ben visibili, i grandi interessi economici delle potenze dal punto di vista geostrategico più interessate agli sviluppi della crisi. Circa un mese fa, le milizie di Haftar annunciavano di aver preso il controllo (“pacificamente e senza incontrare resistenza”, aveva riferito il portavoce Ahmed Al-Mismari) del grande giacimento di Sharara. Quel campo è gestito dalla National Oil Corporation, la Noc, in joint-venture con la francese Total, la spagnola Repsol, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil. Circostanza che ha fatto temere il peggio per il vicino giacimento petrolifero di El Feel – Elephant, operato al 33% da Eni. All’inizio di marzo, la National Oil Corporation ha però annunciato la rimozione dello stato di forza maggiore dall’impianto petrolifero di al Sharara, notizia salutata con favore dagli ambasciatori di Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. A questo proposito, Salame ha rivendicato peraltro il “ruolo cruciale” giocato dall’ONU per la sua riapertura, “che ha avuto come effetto un aumento della produzione di petrolio, che sta tornando a 1,2 milioni di barili al giorno”. Ma intanto le forze di Haftar prendevano anche il giacimento di El Feel controllato in buona parte da Eni. E se pure questo sviluppo non sembra aver avuto impatti sulla produzione, è chiaro tuttavia che gli instabili equilibri politici nel Paese hanno forti ripercussioni anche sulle rivalità economiche tra Roma e Parigi, soprattutto considerando che, mentre l’Italia è sempre stata saldamente al fianco del governo sostenuto dalle Nazioni Unite, la Francia non ha mai disdegnato di concedere il proprio appoggio all’uomo forte della Cirenaica. Viceversa, una comunità internazionale disunita e in competizione non può che costituire un freno al processo di stabilizzazione politica della Libia.
Allo stake out al termine delle consultazioni, abbiamo chiesto conto al Rappresentante Permanente della Francia all’ONU e attuale presidente del Consiglio di Sicurezza, François Delattre (dal minuto 3:00 nel video sopra), dei rapporti tra Italia e Francia nel contesto libico, in passato segnati da qualche incomprensione soprattutto per quanto riguarda la roadmap verso le elezioni. “Quello che posso dire come rappresentante del mio Paese è che la partnership tra Francia e Italia sulla Libia, ma anche sulle altre questioni, è esemplare. La partnership è sempre più forte, la mia relazione con la collega italiana è all’insegna dell’amicizia”. Quindi, ha proseguito Delattre, “non vedo alcun tipo di difficoltà tra i nostri due Paesi: siamo allineati, lavoriamo insieme, con gli stessi obiettivi”. L’ambasciatore ha chiosato che il dialogo proseguito alla “conferenza di Parigi, settimana fa”, e alla più recente “conferenza di Palermo” costituisca “la migliore dimostrazione di dove siamo ora, insieme”. Delattre ha inoltre comunicato alla stampa l’esito della riunione del Consiglio, i cui membri “hanno reiterato il loro supporto” a Ghassan Salame e al processo politico da lui guidato, e hanno salutato positivamente l’annuncio della Conferenza nazionale di aprile.
Sugli ultimi sviluppi di dialogo tra Serraj e Haftar, Salame si è mostrato cautamente ottimista. Non è nuova, ha detto, l’intenzione di favorire una unificazione delle istituzioni libiche; ciò che è nuovo, ha osservato, è la “schiettezza” nel voler portare questi sviluppi “alla fine del processo di transizione mediante nuove elezioni”. “Un fallimento nell’avanzamento del processo politico”, ha detto Salame, dimostrerebbe “che il Paese è totalmente controllato dalla forza delle armi”, ma “oggi abbiamo l’opportunità di allontanarci da questo precipizio”. Un auspicio, questo, che giunge a 24 ore dall’ultimo naufragio al largo di Sabrata, con diversi dispersi e che ha provocato la morte di almeno un bambino, proprio mentre a Lampedusa si consumava l’ennesimo braccio di ferro tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e la nave di una ong con a bordo 49 migranti.