Dopo gli scontri all’aeroporto di Tripoli di lunedì 15 gennaio che hanno provocato 20 morti e 63 feriti, e le complicazioni delle ultime ore nelle trattative diplomatiche, per la Libia, le prossime, saranno settimane cruciali. Lo sanno bene i due leader della regione, Fayez Al-Sarraj e Khalifa Haftar. Lo sanno altrettanto bene i due Paesi occidentali che più sono coinvolti, dal punto di vista economico, dai risvolti futuri della regione: Italia e Francia. Ma ancor di più, ne è ben consapevole l’inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, Ghassan Salamé. Che, dopo aver incassato la fiducia piena di tutto il Consiglio di Sicurezza e aver ottenuto un credito che mai la comunità internazionale aveva conferito negli ultimi cinque anni a un inviato speciale dell’ONU, sta cercando da settimane di trovare la difficile quadra di una situazione conflittuale intricata, versatile, difficile da arginare e complessa da capire. Con tre obiettivi: riforma dell’impianto costituzionale, organizzazione di nuove elezioni politiche e stabilizzazione della regione, ancora oggi divisa.
Proprio Salamé, in un Consiglio di Sicurezza di mercoledì 17 gennaio, ha riferito all’aula su quale sia la situazione oggi nella regione. E nel farlo, ha voluto lanciare un messaggio chiaro a tutti gli attori delle frizioni: “Le Nazioni Unite sono disposte a incrementare la propria presenza in Libia e ad alzare il proprio livello in termini di supporto per la transizione politica del Paese dopo il conflitto”. Secondo Salamé, che è intervenuto in video-conferenza, c’è solo un’unica via per trovare quella quadra: “Comprendere veramente il Paese” per “avere successo nell’attuazione di un piano d’azione per la Libia”, che sia capace di “aiutare i suoi cittadini a mettere fine a una transizione troppo lunga”.
È dal 2011 che nella regione l’idea della pace rappresenta un concetto lontano, quasi astratto. E la missione UNSMIL non sembra essere più sufficiente a supportare da sola le autorità del Paese. Anche perché, dopo anni di guerra e con l’inasprirsi dello scempio umanitario estivo legato alla gestione dell’immigrazione (che ha portato ONU, governo libico e governo italiano a trovare un accordo solo a novembre), la transizione non è ancora conclusa. Lo spettro della violenza rimane infatti ben presente, ovunque nel Paese. E la necessità di dover trovare un compromesso per porre fine alle tensioni, sembra sia priorità ormai di tutti. Almeno a parole. Certamente condiviso anche da Nikki Haley, l’ambasciatrice USA alle Nazioni unite: “Gli Stati Uniti sostengono fermamente gli sforzi del rappresentante speciale Salamè e l’attuazione del piano d’azione delle Nazioni Unite. Come abbiamo già detto molte volte, il dialogo politico e la riconciliazione sono l’unica via da seguire”.

Per Haley infatti “non c’è alternativa al processo ONU”. Piuttosto “c’è una finestra di opportunità per i membri del Consiglio per spingere per un nuovo slancio nel processo politico, ed è qui che dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi”. Parole simili, tra l’altro, a quelle usate da Guterres nella conferenza stampa di martedì 16, che aveva parlato di “finestra di opportunità da cogliere e da non perdere”, riferendosi però alle frizioni sul fronte nord-coreano. Una conferma, forse, della sintonia diplomatica che spesso si registra tra ambasciatrice USA e Segretario Generale ONU.
Le parole di Salamé e l’auspicio di Haley sono stati condivisi, del resto, anche dall’ambasciatore del Regno Unito, Jonathan Allen, che ai giornalisti prima della seduta ha dichiarato: “Un accordo è possibile, ma richiede che tutti pensino e si concentrino per davvero al bene del paese, come prima cosa. Ecco perché sosteniamo Salamé”. Mentre sull’attacco all’aeroporto di Tripoli, Allen ha evidenziato come “queste violenze siano soltanto da condannare”, ma che allo stesso tempo dimostrino quanto sia “importante portare avanti il processo per un accordo politico”, che consenta “elezioni e le modifiche costituzionali del caso a tempo debito”. Tutti d’accordo a parole, insomma. Per la Libia, però, è ora di passare ai fatti.