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August 3, 2017
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Dalle macerie dell’amministrazione Trump è nata una stella: Nikki Haley

Ex governatrice del South Carolina, la contabile bambina diventata ambasciatrice mostra il volto più deciso degli Stati Uniti all'ONU

Davide MamonebyDavide Mamone
Venezuela, Maduro vince tra proteste e sangue: ora si teme la guerra civile

Nikki R. Haley, Rappresentante permanente degli Stati Uniti all'ONU (foto ONU/Cia Pak)

Time: 4 mins read

In un contesto nebuloso fatto di frizioni, vendette politiche, riforme bocciate e scissioni, il Partito Repubblicano negli Stati Uniti può abbozzare un sorriso: l’astro nascente (fortemente conservatore) per il futuro c’è e ha un nome ben preciso, Nikki Haley. Polemica e decisa, provocante e sorridente, l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU sembra essere sempre meno diplomatica e sempre più “braccio armato” dell’amministrazione Trump, delle cui posizioni mostra il volto più “harsh”, quello più aspro e spigoloso che talvolta nemmeno Donald Trump può permettersi di esprimere.

Nata da una famiglia di immigrati indiani, in un freddo giovedì di gennaio nel 1972 a Bamberg, sperduta cittadina di campagna del South Carolina, Nimrata Randhawa (si è sempre fatta chiamare Nikki e diventerà Haley nel 1996 quando sposerà Michael Haley, impiegato del Dipartimento dell’Esercito) mostra di avere la pelle dura fin da bambina. Fin da quando a 13 anni, mentre gli altri suoi coetanei giocano, lei inizia a lavorare nel negozio di abbigliamento di famiglia, gestendone la contabilità. Laureata alla Clemson University, la sua scalata al Partito Repubblicano è sorprendente. Nel 2005 diventa membro della Camera dei Rappresentanti del South Carolina, dove viene confermata fino al 2011. Mentre nel 2011 si candida come governatrice, e vince grazie al sostegno di alcuni pezzi da 90 del partito come Mitt Romney e Sarah Palin. È la prima donna ad essere eletta governatrice del South Carolina, oltre che la prima di origine indiane a ricoprire un incarico così importante nel suo stato.

Conservatrice, apertamente contraria all’aborto e fortemente critica nei confronti dell’immigrazione illegale, Nikki Haley viene designata da Donald Trump rappresentante permanente delle Nazioni Unite per gli Stati Uniti, una carica che assume ufficialmente il 27 gennaio 2017. In lei Trump vede una politica tosta, capace di mostrare il volto meno diplomatico della sua amministrazione, proprio nel luogo dove la diplomazia dovrebbe essere il piatto forte delle discussioni. Anche se il rapporto tra i due non era sempre stato idilliaco, anzi: nel marzo del 2016, dopo che Haley aveva esplicitato il suo endorsement a Marco Rubio durante le primarie del Partito Repubblicano, Trump aveva tuonato contro colei che l’anno dopo sarebbe diventata la sua ambasciatrice ONU, con un tweet polemico: “The people of South Carolina are embarrassed by Nikki Haley!”.

Lo scambio polemico di tweet tra Donald Trump e Nikki Haley, nel marzo 2016

Anche quella volta, Nikki Haley non si era scomposta. E in questi suoi primi otto mesi di ONU, dopo aver incassato la fiducia del suo ex nemico Trump, ha già fatto parlare di sé più di una volta. “Quando interviene, non si sa mai se avere timore di lei o se, sotto sotto, ammirarla per la decisione con cui esprime le sue posizioni”, si commenta spesso negli stakeout tra i giornalisti. Il 4 aprile ad esempio, il giorno prima del lancio dei missili Tomahawk in Siria da parte di Donald Trump, aveva esplicitamente incolpato Russia, Assad e Iran di ostacolare la pace. Dal Consiglio di Sicurezza del 24 aprile in poi, invece, ha ribadito in più occasioni la necessità di utilizzare iniziative anche di tipo militare per risolvere le frizioni con la Corea del Nord (salvo ribadire con un tweet, il 30 luglio, che le discussioni diplomatiche con Pyongyang sono ancora aperte e che un’intesa internazionale con Cina, Giappone e Sud Corea è possibile). Mentre il 4 luglio, giorno dell’Indipendence Day, aveva fatto parlare di sé per un altro tweet, dove si lamentava di aver dovuto lavorare tutto il giorno festivo, sempre per colpa della Corea del Nord: “Spending my 4th in meetings all day. #ThanksNorthKorea”, provocando critiche e richieste di licenziamento.

Il tweet di Nikki Haley, il 4 luglio 2017

E non è finita qui. Perché forse è sul fronte Iran, che l’ambasciatrice Haley si sta dimostrando più efficace nell’interpretare la linea più aspra dell’amministrazione Trump. La prova è arrivata martedì 2 agosto: a schierarsi contro il governo iraniano, in una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza e al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, è stata proprio la Haley.  Che ha condannato “il regime iraniano di violare impropriamente i divieti del Consiglio di Sicurezza sanciti dalla risoluzione 2231”, diventando una “fonte di armi per gruppi terroristici che così finiranno per crescere in termini di volume e di capacità distruttive”. Un “comportamento destabilizzante” che deve essere condannato, soprattutto perché viene reiterato anche “il giorno dopo l’adozione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, volta a impedire che le armi finiscano nelle mani dei terroristi”. Una lettera firmata anche da Regno Unito, Francia e Germania, e che mostra di nuovo il volto “harsh” di una repubblicana destinata a fare carriera.

Nei corridoi dell’ONU, c’è chi sussurra si stia preparando per le Presidenziali del 2020 o del 2024, dovesse andare male a Donald Trump. L’Economist l’ha paragonata a un’altra lady di ferro, Margaret Thatcher. Mentre nell’universo della fantapolitica c’è già chi sogna una campagna presidenziale in rosa tra Michelle Obama e Nikki Haley, quella contabile bambina del South Carolina di origini indiane e tutta di un pezzo, riscopertasi ambasciatrice (poco) diplomatica.

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Davide Mamone

Davide Mamone

Davide Mamone è un giornalista freelance di base a New York. Cresciuto a Milano, di origini palermitane, collabora con Radio Popolare, ha scritto reportage per testate italiane come L'Espresso, Panorama e InsideOver e per testate americane come Market Watch del gruppo Dow Jones Newswires. Ha coperto le Nazioni Unite per La Voce di New York.

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