Gli Stati Uniti da una parte, il resto della comunità internazionale dall’altra. Anche su Israele il muso contro muso continua. Da quando è stato eletto Presidente Donald Trump, questo scenario si è concretizzato più volte, e in più di un’occasione: dagli accordi di Parigi all’annuncio dell’abbandono dell’UNESCO (non una novità, questa, in realtà), fino al patto ONU sui migranti. E lunedì 18 dicembre, al Palazzo di Vetro, si è consumato un nuovo capitolo di questa tendenza.
L’ambasciatrice statunitense all’ONU, Nikki Haley, ha infatti posto il veto durante il Consiglio di Sicurezza su Middle-East e Palestina. Un no secco alla bozza di risoluzione presentata dall’Egitto, che aveva proposto un documento a sua volta deciso, a seguito delle “profonde preoccupazioni relative alle recenti decisioni sullo status di Gerusalemme”. Gli Stati Uniti non sono mai direttamente citati, nella risoluzione egiziana, ma il riferimento all’ultima – e molto criticata – scelta di Trump di spostare l’ambasciata statunitense d’Israele a Gerusalemme è esplicito. Nella bozza di risoluzione infatti si affermava la necessità che “ogni decisione o azione che abbia l’obiettivo di alterare il carattere, lo status o la composizione demografica della città di Gerusalemme non abbia effetto legale, sia nulla e debba essere sciolta, secondo quanto deciso dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”. Un no chiaro, quindi, alla posizione del presidente statunitense, votato da 14 Paesi su 15. Un no a cui gli Stati Uniti hanno però risposto con il veto di Haley, autrice di un intervento di fuoco: “Quello di cui siamo testimoni qui in Consiglio di Sicurezza è un insulto. Non sarà dimenticato”, ha detto l’ambasciatrice statunitense con tono deciso, spigoloso, evidenziando: “Il fatto che questo veto sia stato fatto a difesa della sovranità americana e in difesa del ruolo dell’America nel processo di pace in Medio Oriente non è una fonte di imbarazzo per noi: dovrebbe essere piuttosto un motivo di imbarazzo per il resto del Consiglio di Sicurezza”.

Non solo, per Haley – che ha anche twittato un sonoro “Gli Stati Uniti non si fanno dire da nessun Paese dove insediare la propria ambasciata” –, nel caso di Israele, le Nazioni Unite non stanno costituendo una soluzione a un problema, quanto un problema di per sé: “La risoluzione 2334 ha descritto gli insediamenti israeliani nella regione come un ostacolo alla pace. Le persone ragionevoli non possono essere d’accordo con questa posizione”. Secondo Haley “la risoluzione 2334, in realtà, è stata essa stessa un ostacolo alla pace. Questo Consiglio di Sicurezza ha portato i negoziati tra israeliani e palestinesi lontani dalla loro concretizzazione”, favorendo anzi “il conflitto tra le due parti. Colpevolizzando gli insediamenti israeliani del fallimento degli sforzi di pace”, infatti, “il Consiglio ha emesso un giudizio su questioni che devono essere decise direttamente nei negoziati tra le due parti”.

Il veto, orgoglioso, di Haley e dell’amministrazione Trump, ha posto gli Stati Uniti ancora una volta lontani dai loro alleati storici. Storici come l’Italia, che con l’ambasciatore Sebastiano Cardi ha spiegato i motivi del sì alla bozza di risoluzione presentata dall’Egitto: “Il testo è coerente con la posizione italiana in materia – ha detto Cardi. Come menzionato nella riunione di emergenza di questo Consiglio l’8 dicembre, riteniamo che lo status di Gerusalemme come futura capitale di due Stati debba essere negoziato tra Israele e Palestina, nel quadro di un processo di pace che alla fine porterà alla realizzazione di due Stati, capaci di vivere fianco a fianco in pace e sicurezza, e che siano capaci di tenere conto delle legittime e reciproche preoccupazioni e aspirazioni”. Per Cardi, però, la porta agli USA deve rimanere spalancata: “Attendiamo di ascoltare le opinioni dell’amministrazione statunitense sulle possibili proposte di un nuovo accordo israelo-palestinese, sulla base degli ampi contatti già presi e dell’intenso dialogo sviluppato tra tutte le parti nell’ultimo anno”. Allo stesso tempo, però, Cardi ha ribadito “la profonda preoccupazione per l’inasprimento delle tensioni nelle ultime settimane” e ha riaffermato “la nostra condanna degli ultimi attacchi missilistici contro Israele”.

Non solo, però, l’Italia. A votare a favore della bozza sono state anche Francia e Regno Unito, così come Giappone e Ucraina. Due Paesi, questi ultimi due, che in mattinata si pensava potessero astenersi seguendo così la posizione statunitense. Non è successo, però. E a una domanda de La Voce di New York, se questo fronte compatto a favore della risoluzione e contro la decisione di Trump, potesse ostacolare i rapporti futuri di Israele con i Paesi europei in Consiglio (Italia, Francia, Regno Unito e Svezia ndr), l’ambasciatore israeliano Danny Danon è stato vago: “Ogni Paese può decidere per sé la propria decisione e questo è giusto. Ma dobbiamo andare avanti e gettare le basi per trovare una soluzione condivisa, insieme. Questa risoluzione non aiuta”.