In arabo, Sahel (الساحل) significa “bordo del deserto”. In geopolitica è molto più di questo. Un territorio che attraversa l’Africa. Da Est a Ovest. E che si estende tra il deserto del Sahara e la savana del Sudan. Tra il Mar Rosso e l’Oceano Atlantico. Sfiora il Gambia, il Senegal, la parte sud del Mauritania, il centro del Mali, il Burkina Faso, la parte meridionale dell’Algeria e del Niger, il nord della Nigeria e del Camerun, il centro del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea. Un crocevia. Dove quotidianamente passano armi di ogni genere, sostanze tossiche, droga ed esseri umani, spesso vittime della tratta o della povertà. E dove la fragilità dei confini facilita ogni tipo di traffico delle attività criminali e del terrorismo. Che proprio da lì potrebbe ripartire, mettendo insieme ciò che è rimasto di Daesh e di altri potenti gruppi terroristici rimasti in silenzio negli ultimi mesi. Inoltre, l’imponente crisi umanitaria, che peggiora di giorno in giorno, sta provocando quasi cinque milioni di sfollati e 24 milioni di persone che necessitano di cure. Quasi trenta milioni di persone in condizioni critiche. Profughi e migranti, che provano quelle rotte per raggiungere le coste del Mediterraneo. E per ricominciare a vivere, altrove.
La necessità di portare stabilità in quell’area del mondo è urgente. Almeno, secondo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, presieduto, nel mese di ottobre, dalla Francia. Che alla questione africana tiene particolarmente, sia per motivi legati al terrorismo che per interessi economici in quell’area. Il Consiglio di Sicurezza, attraverso il suo Segretario Generale, António Guterres, ha sottolineato l’urgenza di aiutare i Paesi del Sahel contro le minacce del fondamentalismo e della criminalità organizzata. Che intreccia affari milionari e che sfrutta il passaggio di migliaia di vite umane come merce di scambio. Ed è pronta a tutto. “La situazione nel Sahel è una sfida per tutti”, ha detto Guterres il 30 ottobre, a New York, al Palazzo di Vetro, di fronte ai 15 membri del meeting.
All’inizio del mese di ottobre, i membri del Consiglio di Sicurezza avevano visitato il Mali, il Mauritania e il Burkina Faso per valutare quanto gravi fossero le minacce che tuttora alterano la stabilità della zona. Ed è dalla capitale del Mauritania che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha rilanciato il progetto del G5. Lo chiamano “l’esercito del Sahel”, ed è sostenuto da Mauritania, Burkina Faso, Mali, Niger e Ciad. Uno sforzo voluto dalla Francia ma appoggiato anche dall’Italia, perché legato alla lotta al traffico di esseri umani nella regione e che sfocia, poi, direttamente, nel Mediterraneo.

Ha chiesto “ambizione”, Guterres, nel decidere come l’ONU debba supportare la forza comune creata dal gruppo dei cinque Paesi del Sahel (G5) (Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger) per combattere l’estremismo e per promuovere stabilità e sviluppo nella regione. “Time is against us”. Il tempo è contro di noi, ha spiegato Guterres, sottolineando l’importanza di unire gli sforzi per affrontare le cause di instabilità nella zona. Secondo il Segretario Generale, poi, il non agire potrebbe provocare implicazioni gravi. Con conseguenze pericolose non solo per i paesi dell’area.
“L’estremismo violento, nel Sahel, sta diventando un problema crescente. E rispondere a questa violenza è diventato più pericoloso che mai. Rendiamo onore agli uomini e alle donne delle forze armate del G5 dei Paesi del Sahel e ai partner nella regione, in particolare alla Francia, con la sua lunga operazione di lotta al terrorismo. E ringraziamo gli uomini e le donne coraggiose che operano in una delle più pericolose missioni di peacekeeping in Mali” ha dichiarato, nel suo intervento, l’Ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Nikki Haley. Ed è stata proprio lei a confermare il supporto bilaterale, a lungo termine, degli Stati Uniti alle forze di sicurezza dei membri del G5: “Gli Stati Uniti si impegnano nella stabilizzazione della regione. E siamo orgogliosi di annunciare, oggi (il 30 ottobre, ndr), che intendiamo fornire fino a 60 milioni di dollari in assistenza bilaterale e che lavoreremo con il Congresso per aiutare la forza congiunta”.

Nel suo report sulle attività della forza congiunta africana del 16 ottobre, il Segretario Generale ha illustrato le quattro possibili opzioni per garantire appoggio al progetto. Dall’utilizzo del mandato esistente di MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) a uno estero, fino alla creazione di un ufficio di sostegno delle Nazioni Unite. Secondo i piani “più ambiziosi”, questo piano potrebbe fornire un supporto a tutti gli effetti, simile a quello della Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM), che però non appartiene all’ONU.
Durante il meeting del 30 ottobre, Guterres ha indicato nella povertà, nel sottosviluppo e nel cambiamento climatico un contributo pesante alla crisi umanitaria e della sicurezza nell’area. La debolezza istituzionale, l’esclusione e l’emarginazione di alcuni gruppi hanno fatto poi il resto, preparando il terreno a terrorismo e criminalità.
Sebastiano Cardi, Ambasciatore italiano all’ONU, ha ricordato, durante il suo intervento, che “il Sahel rappresenta anche un’opportunità”. E ha aggiunto: “In questa prospettiva noi crediamo che il Consiglio, al di là delle decisioni collegiali che saranno prese, abbia un obbligo morale a impegnarsi nel più breve tempo possibile”. Fondamentale, poi, per il diplomatico italiano la garanzia del rispetto dei diritti umani in quelle aree.

Un’analisi più ampia sul terrorismo come minaccia globale che finanzia il traffico di droga e di esseri umani è arrivata dal Ministro degli affari esteri del Governo Macron, Jean-Yves Le Drian. Che si è soffermato soprattutto sulla questione del terrorismo, spiegando come l’estremismo sia determinato a espandersi nella regione e quanto fondamentale sia il sostegno delle Nazioni Unite nel fermare questo fenomeno. Le Drian ha definito “cruciale” il supporto bilaterale e ha espresso il desiderio che la conferenza di dicembre di Bruxelles possa generare impegni concreti e significativi.