Sono passate da poco le 3.15pm e a New York, il 31 ottobre 2017, c’è il sole. È la giornata in cui tutti i bambini girano per la città mascherati, sorridenti, pronti per la parata della Festa di Halloween. Poi, all’improvviso, un’auto su una pista ciclabile travolge tutto quello che trova a Lower Manhattan, poi una sparatoria. Otto morti (di cui 1 donna belga e 5 amici argentini, a New York per festeggiare il 30esimo anniversario del loro diploma: Hernán Diego Mendoza, Diego Enrique Angelini, Alejandro Damián Pagnucco, Ariel Erlij and Hernán Ferruchi) e 11 feriti accertati (di cui due bambini, gravi). Due fatti che all’inizio sembrano scollegati, anche se basta attendere qualche minuto in più per scoprire che invece c’è un filo che li lega. Un filo che ha un nome e un cognome: Sayfullo Habibullaevic Saipov, uzbeko, 29 anni, responsabile di quello che si scoprirà essere un attentato terroristico.

La ricerca di notizie più certe è immediata. Si prova a scovare qualcosa tra i tweet dell’account ufficiale del NYPD, che arrivano precisi, ma con poca costanza. Le agenzie lo chiamano “attack” prima, “act of terror” poi. I dubbi sono tanti, ma una certezza c’è: sedici anni dopo quell’11 settembre che la mise in ginocchio, e molto vicino all’area di Manhattan dove un tempo sorgevano le Torri Gemelle, al World Trade Center, New York riassapora la paura.

I fatti, dopo poche ore, appaiono più chiari. Un pick-up bianco di Home Depot, probabilmente noleggiato nel New Jersey, alle 3.15pm invade una pista ciclabile a Tribeca lungo West Street, una sorta di superstrada che si affaccia su Hudson River. All’altezza dell’incrocio con Chambers Street, tra la Stuyvesant High School e il Borough of Manhattan Community College, il pick-up si sposta sulla pista dedicata ai ciclisti e travolge un numero imprecisato di persone. Poi termina la sua corsa contro uno scuolabus giallo, forse immolatosi per fermarlo. In quel momento Sayfullo Habibullaevic Saipov scende dal pick-up con due armi, una ad aria compressa, l’altra più vicina a un giocattolo che ad un’arma vera e propria e, secondo due testimoni oculari sentiti da CBS, urla “Allahu Akhbar” prima di essere fermato – e ferito a colpi di pistola – dalla polizia. L’FBI tratta il caso come terrorismo, la rivendicazione di Daesh è attesa, una conferma del legame di Saipov con l’estremismo islamico arriva da un bigliettino scritto in arabo trovato dagli investigatori nel pick-up, dove appaiono parole di fedeltà al sedicente Stato Islamico. Saipov, negli USA, ci era arrivato nel 2010 con una Green Card e ha vissuto i suoi sette anni statunitensi diviso tra Tampa Bay, Cincinnati, Ohio e New Jersey, lavorando come conducente Uber e come camionista, macchiato “solo” da alcuni precedenti per “traffic violations”, violazioni del codice della strada.

New York, sempre caotica, si ferma un attimo a riflettere. Il sindaco Bill de Blasio condanna quello che definisce un “codardo atto di terrore”, ringrazia il lavoro degli investigatori e della polizia, riflette probabilmente sul fatto che a giorni ci saranno le elezioni, che lo vedono papabile vincitore dopo una campagna elettorale trascorsa a evidenziare i risultati sui crimini in diminuzione in città. Il governatore di New York State Andrew Cuomo, invece, rassicura i newyorkesi, assicura che “andremo avanti più forti che mai” e spiega in una frase l’anima di New York, quel “simbolo di pace e di democrazia nel mondo”, che rimarrà tale nonostante tutto. Mentre il presidente USA Donald Trump reagisce con un tweet tuonando: “A New York sembra ci sia un altro attacco da parte di una persona malata e disturbata. Un rinforzamento di legge seguirà prossimamente. Non negli USA!”. E poi con un altro: “I miei pensieri, le condoglianze e le preghiere alle vittime e alle famiglie dell’attacco terroristico di New York. Dio e il vostro Paese sono con voi!”.

Dopo le parole delle istituzioni, a Manhattan ricomincia la solita confusione. Ai piedi della Freedom Tower, il traffico è al collasso e si fa fatica ad arrivare a Chambers Street. Una via che però, una volta raggiunta, appare ancora in festa nonostante tutto: piena di maschere e colori, di bambini che chiedono caramelle e cioccolatini e di genitori premurosi alle loro spalle.

Se ci si ferma all’incrocio con Greenwich Street, a seconda di dove si guarda, si ammirano due città diverse: da una parte la quotidiana normalità che resiste nonostante tutto, dall’altra il teatro dell’orrore di West Street. In mezzo, giornalisti ammassati che raccolgono testimonianze. Ai lati, i posti di blocco del New York Police Department, inavvicinabili o quasi. Chi ci prova e riesce ad arrivare fino a West Street, a una manciata di metri dagli investigatori al lavoro, viene pregato di tornare indietro.

Che a Manhattan non sia stata una giornata come le altre, nonostante i bambini in festa per le strade, lo si vede però nelle facce di chi al momento dell’attentato c’era. E ha visto. Lo si nota negli occhi e nello sguardo perso di Elizabeth Chernobilsky, una giovane liceale della Stuyvesant High School. Il suo tono è quello di una piccola donna che parla con voce sicura e una lucidità sorprendente, rispetto all’età che ha: “Ero alla finestra e ho visto due corpi per terra. I ciclisti non erano consapevoli che quel pick-up stesse per arrivargli addosso e quando è successo, e il camion è andato avanti, ho visto persone completamente disorientate camminare a stento per la strada”, racconta.

Due dei corpi erano di fianco alle due bici ribaltate dal camion, una terza bici “giaceva per terra senza nessuno attorno, non so cosa sia successo”. Elizabeth, seppur da dietro una finestra, ha avuto paura: “Ero a scuola in quel momento, in shock: New York è una città super-popolosa, sapevo che qualcosa di simile fosse successo in Europa e ho sentito subito di dover avvisare i miei parenti”.
A scuola, come se fosse un giorno normale, c’era anche James: “Stavo camminando all’interno dell’edificio e ho sentito un fortissimo rumore, uno schianto. Subito dopo delle urla, arrivavano dalla strada. Non ho capito immediatamente da qualche via fossero perché tutto è successo velocemente”.
E l’effetto a sorpresa dell’azione del terrorista uzbeko Sayfullo Habibullaevic Saipov ha scioccato anche Fatima (Phatima inglesizzato) Rhman, una timida ragazza musulmana al primo anno, anche lei studentessa della Styvesant High School. Indossa un velo nero. Ed è in disparte, sotto la luce di un lampione. Un amico avvicina la stampa e fa sapere che lei ha visto qualcosa dalla finestra della sua scuola. Vive a Brooklyn dove, probabilmente, è cresciuta. Nonostante la timidezza e la giovane età Fatima parla ai media sicura, con un timbro convinto. È diligente nel ricordare e a ricostruire ciò che ha vissuto: “Ero con dei miei compagni di classe al sesto piano e abbiamo sentito dei colpi di pistola, dei rumori. Non abbiamo visto nulla all’inizio, credevamo fosse Halloween”, spiega, ora con un filo di voce in meno. Ciò a cui ha assistito, Fatima, lo sente ancora addosso e lo si percepisce dalle sue parole: “All’inizio non credevo fosse nulla di serio, poi quando ho guardato giù dalla finestra ho visto due dei corpi coperti dalle lenzuola bianche e ho capito la gravità della situazione”. In molti si avvicinano a lei, probabilmente per il suo abbigliamento. Ma nessuno prova a chiederle cosa ha provato, da giovane ragazza di fede musulmana, in tutta quella confusione.
Una situazione ormai fin troppo chiara, che a una manciata di giorni dalla maratona di New York (in programma domenica 5 novembre) e a poco più di una settimana dalle elezioni cittadine, previste per l’8 novembre, rischia di far ripiombare la città nel panico. Anche se a Manhattan, anche a caldo, c’è chi, attacco terroristico o meno, crede che nei prossimi giorni non cambierà nulla: “Non sarà questo atto terroristico a modificare il nostro modo di vivere”, raccontano a La Voce di New York di fronte al posto di blocco di Greenwich Street Lukman e Ismail, due ragazzi afro-americani di 24 e 21 anni. Entrambi sembrano più giovani della loro età. “New York non è mai facile da vivere, a volte è quasi inevitabile che certe follie accadano. Siamo abituati e non ci facciamo impressionare”.
Di lì a poco, una giovane dai capelli biondi riprende Chambers Street con il suo cellulare. Ha un auricolare all’orecchio e l’altro che gli serve da microfono. Non si sa, con certezza, se si tratti di una giornalista, di una blogger o, forse, di una testimone. Fa una sorta di diretta, come un’inviata. Ma, all’improvviso alza la voce. Prima discute animatamente con una ragazza. Parla di religione e sembra scagliarsi contro l’Islam, attribuendogli la causa degli ultimi attentati. Ismail prova a ricordarle gli episodi di Las Vegas il mese scorso. Ma lei non ascolta. E prova ad allontanarlo.
Intanto, secondo gli ultimi aggiornamenti, in serata una fonte giudiziaria avrebbe fatto sapere che sarebbero al vaglio le posizioni di altre due persone. L’FBI avrebbe comunicato, inoltre, di aver trovato Mukhammadzoir Kadirov, un 32ebbe uzbeco. Ma per ora, nessuna spiegazione ufficiale su quale potrebbe essere il suo coinvolgimento nell’attacco.
* video a cura di Giovanna Pavesi, foto VNY di Davide Mamone
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