Stabilizzare i rapporti Washington rimane una “priorità assoluta” per Pechino, nonostante i rapporti tra le due superpotenze rimangano “gelidi” a causa di una serie di “sbagli” da parte statunitense.
È questa in sostanza la posizione che il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha espresso all’ambasciatore americano a Pechino, Nicholas Burns, nel corso di un incontro tenutosi lunedì mattina nella capitale asiatica.
Si tratta del primo confronto diretto di alto livello tra USA e Cina dopo la querelle sul presunto pallone-spia cinese che, dopo aver sorvolato gli Stati Uniti continentali, è stato abbattuto a inizio febbraio dall’aviazione americana: per la Casa Bianca si trattava appunto di un mezzo dell’intelligence di Pechino per sorvegliare basi militari sensibili; per i cinesi, al contrario, di una banale sonda metereologica civile finita fuori rotta.
Da allora l’escalation non ha fatto che aumentare, raggiungendo il suo acme in occasione della visita di Xi Jinping a Mosca lo scorso 20 marzo. Sullo sfondo, i timori di Washington su possibili aiuti militari cinesi all’alleato russo impantanato in Ucraina – e le conseguenti minacce americane di sanzionare il Dragone.

Eppure fino a gennaio tra le due superpotenze c’erano stati incoraggianti tentativi di rapprochement, bruscamente abortiti proprio a causa del pallone dei misteri. Una distensione esemplificata dal vertice tra Biden e Xi al margine del G-20 in Indonesia lo scorso novembre – a cui avrebbe dovuto far seguire la visita (poi annullata) del segretario di Stato Blinken a Pechino proprio a inizio febbraio.
Nell’incontro di lunedì, Qin non ha esitato ad addossare la colpa a Washington per aver vanificato “la spinta positiva duramente sviluppata” negli ultimi mesi con una serie di “affermazioni e azioni sbagliate“. Per uscire dalla palude, secondo il Dragone, la priorità assoluta dovrebbe invece essere quella di stabilizzare le relazioni tra i due Paesi, in modo da evitare una spirale negativa.
Per fare ciò, però, agli Stati Uniti è stato chiesto di “incontrare la Cina a metà strada” – specialmente per quanto riguarda il sostegno americano a Taiwan, che Pechino ritiene una “provincia ribelle” destinata all’annessione alla Repubblica Popolare. Qin ha perciò esortato gli Stati Uniti a fermare gli attacchi al principio di “una sola Cina” e a porre fine al sostegno alle forze “indipendenti da Taiwan”.
Lo scorso marzo le autorità cinesi hanno risposto con esercitazioni militari al doppio scalo che la leader taiwanese Tsai Ing-wen, aveva compiuto in terra statunitense. Tsai aveva fatto tappa prima a New York e poi Los Angeles – dove aveva incontrato lo speaker repubblicano della Camera Kevin McCarthy.
Malgrado la Casa Bianca non riconosca legalmente Taiwan come Stato, il Governo statunitense è infatti vincolato a sostenere militarmente Taipei in caso di attacco esterno – una previsione che recentemente il presidente Joe Biden ha interpretato come obbligo di intervenire direttamente in un futuro conflitto.

Nuova benzina sul fuoco dei rapporti tra Occidente e Pechino potrebbe però arrivare dall’Europa. Secondo il Financial Times, almeno sette aziende cinesi potrebbero essere sanzionate dall’UE nell’ambito di un nuovo round di sanzioni contro la Russia.
Una bozza della Commissione sostiene che le società in questione (alcune già finite sotto la scure USA) avrebbero fornito attrezzature con possibili applicazioni militari a Mosca – aiutando il Cremlino ad eludere le sanzioni imposte da Bruxelles nel febbraio 2022.
Secca la replica di Pechino: “Se le notizie dei media si rivelassero vere, tali azioni minerebbero seriamente la fiducia reciproca e la cooperazione tra UE e Cina” e costringerebbero Pechino a “proteggere con forza i suoi diritti e interessi”, ha replicato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin.