Mentre in Italia ci si arrocca per un’ora di coprifuoco in più o in meno, il mondo continua a girare, al di là di ciò che pensino i nostri dirigenti politici che stanno sempre lì sui social e nelle tv a marcare il proprio territorio. La guerra fra Hamas e Israele avviene in un momento particolare per la politica israeliana. Dopo ben quattro elezioni politiche in soli due anni, a Tel Aviv si stava cercando di costruire un’alleanza politica per spodestare Benjamin Netanyahu e allontanarlo una volta per tutte dal centro della scena politica.
Si badi bene: un’alleanza politica contro “King Bibi” senza tener in nessun conto le accuse per corruzione giunte contro di lui in tribunale. Questo al contrario di quanto accade da decenni a Roma, dove proni allo sproporzionato potere delle procure, si chiede l’intervento della magistratura per regolare i conti con l’avversario politico di turno. Le forze che stavano mettendo mano all’intesa per costruire una maggioranza di governo alla Knesset e spingere all’opposizione Netanyahu comprendevano i centristi, i nazionalisti e addirittura gli arabi israeliani.

Purtroppo per loro, è scoppiata la crisi nella città santa di Gerusalemme, che ha quasi completamente capovolto l’intera situazione e che lo ha rimesso in gioco. A tal riguardo il NYT, pochi giorni fa, aveva ricordato di non darlo già per spacciato perché, fino a oggi, è sempre stato in grado di sovvertire quanto di più difficile gli capitasse tra i piedi.
Chi non ricorda alcuni grandi successi come quello del 30 aprile del 2018 quando, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, si presentò in televisione in diretta e tirò fuori l’archivio segreto iraniano sul nucleare trafugato dal Mossad e portato a Tel Aviv? L’operazione del Mossad aveva dello stupefacente, perchè riuscì a sottrarre oltre 50.000 documenti, fra cartacei ed elettronici, che avevano un peso totale di ben cinquecento chilogrammi. Secondo gli esperti dell’intelligence americana, che ne aveva già controllato l’autenticità, quei documenti dimostravano incontrovertibilmente che l’Iran stesse ingannando tutti i firmatari dell’accordo sul nucleare, lavorando per costruirsi la bomba atomica.

La forza di quell’operazione, come già capitato in altre occasioni, modificò alcuni sensibili equilibri internazionali e, primo fra tutti, quello degli Usa, che con Donald Trump, l’8 Maggio 2018, uscirono dall’accordo e inasprirono le sanzioni. Comunque la si pensi e si valutino i soggetti in campo, Trump è stato quello che, accogliendo l’appello di Netanyahu, ha maggiormente sostenuto Israele e la pace in Medio Oriente, ripristinando le alleanze con i Sunniti e iniziando una fase di apertura di rapporti tra Stati arabi e Tel Aviv per cercare di giungere a una pacificazione dell’area.
L’obiettivo è stato realizzato e ad agosto del 2020 alla Casa Bianca sono stati firmati gli accordi tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, definiti gli “accordi di Abramo”. In aggiunta a questa intesa, il 22 dicembre dello stesso anno il re del Marocco, Mohammed VI, insieme ai rappresentanti israeliani e statunitensi, guidati da Jared Kushner hanno siglato un’intesa.
L’incontro ha portato all’ufficializzazione dell’accordo di normalizzazione tra Marocco e Israele e alla firma di altre intese tra i due Paesi, sotto l’egida degli Stati Uniti. Se si aggiungono i vecchi patti con Egitto e Giordania, il quadro si completa e porta Israele a essere leader nel Mediterraneo. Da tutto ciò, l’Europa ne esce a dir poco male, ma soprattutto l’Italia scompare totalmente, quando invece dovrebbe recitare un ruolo nel bacino mediterraneo per contribuire a pacificare l’area e difendere gli interessi nazionali.