Sono importanti le parole. In questi giorni, per esempio, accade di imbattersi in invocazioni rivolte al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, definito “arbitro”. Non è una partita di football, di tennis, con un signore che ha il compito di stabilire la ragione e il torto di Tizio o di Caio. Il presidente Mattarella, come tutti i Presidenti della Repubblica Italiana, è “garante” del rispetto della Costituzione. Se proprio si vuole usare il termine “arbitro”, lo si usi per la Corte Costituzionale: che ha il compito di stabilire se una norma sia o no compatibile con la Costituzione.
Il presidente Mattarella, dopo le dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e constatato che la maggioranza in Parlamento non è più tale, affida all’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi il compito di dare vita a un esecutivo “di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”; un governo “adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria”.
Un esecutivo definito “tecnico”. Come non esiste “l’arbitro”, non esiste neppure il “governo tecnico”. Un governo, quale sia, ha un dovere: quello di fare scelte; anche quando non le fa, e si limita a “galleggiare”, sceglie di farlo. Scelte che sono, in quanto tali, politiche. Si possono condividere o avversare, ma la sostanza dei fatti non muta. Ogni ministro “governa” nel suo ambito e il presidente del Consiglio indirizza, coordina, influenza, armonizza, queste scelte. Ci possono essere (è accaduto, accadrà ancora), singoli ministri “prestati” alla politica, distolti per un periodo più o meno lungo dalle loro abituali occupazioni. Ma nel momento in cui un governo si insedia, ottiene la fiducia del Parlamento, è pienamente, legittimamente, politico. Anche se il Presidente e l’intero esecutivo non hanno tessere di partito in tasca; anche se non sono militanti o dirigenti di alcuna organizzazione politica o sodalizio che sia. Nel momento in cui sono ministri, governano; quindi fanno politica.
Se riuscirà nel compito che gli viene affidato, il governo guidato da Mario Draghi sarà pienamente politico come i governi che l’hanno preceduto, e come quelli che verranno. Per inciso: fin da subito Draghi dovrà assumere decisioni e farsi carico di responsabilità eminentemente politiche: quelle chiaramente indicate dal presidente Mattarella: “le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria”. Non di governo tecnico si deve dunque parlare, ma più propriamente di governo del Presidente della Repubblica: voluto e più o meno discretamente guidato da Mattarella. Ovviamente Draghi dovrà essere rispettoso delle prerogative del Parlamento; tenere presente gli equilibri politici, cercare una maggioranza che lo sostenga, non snobbare le “parti sociali” (sindacati, confindustria, ecc.). Ma la sua stella polare, il suo principale interlocutore è e sarà il presidente della Repubblica.
Altro punto da chiarire: quello relativo ai periodicamente evocati “poteri forti”. In queste ore gran ciarlare su chi sia Draghi: se “figlio” del Vaticano (ha studiato dai Gesuiti, è membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, nominato da papa Bergoglio); se sia sensibile agli interessi della Germania di Angela Merkel, degli Stati Uniti di Obama e Biden; della Francia tecnocratica di Macron; delle banche centrali; non si mancherà di scomodare il gruppo Bilderberg o qualche altro sodalizio…
In attesa di capire di chi Draghi sia “figlio” (o “padre”, non escludiamolo; o “fratello” o “cugino”) val la pena di chiarire un concetto non irrilevante: non esistono poteri che NON siano forti: il potere, in quanto tale, NON può essere debole. Esistono poteri che sono tecnicamente (e spesso non solo tecnicamente) “IRRESPONSABILI”, e poteri “RESPONSABILI”. Questi ultimi, i “RESPONSABILI”, nei fatti possono essere massimamente IRRESPONSABILI, ma comunque rispondono a qualcuno del loro operato: ci sono controlli e controllori, siano essi elettori, magistrati, agenzie che hanno il compito di vistare e valutare atti e comportamenti. Ci sono poi poteri IRRESPONSABILI, che nei fatti possono essere responsabilissimi, ma non rendono conto a nessuno del loro “fare”: sono le grandi concentrazioni economiche e finanziarie; loro sì, concretamente transnazionali e transpartitiche.
Questo per orientarsi nel mar dei Sargassi costituito dal compiaciuto bla-bla, pio-pio, bau-bau, miao-miao in cui si dilettano, in TV e sui giornali i tanti Cip e Ciop della politica politicante.
Ora un paio di premesse: in politica spesso bisogna complicare le cose per renderle più semplici.
L’altra, un ammonimento di Montaigne: “Occorre, per ben giudicare un uomo, controllare le sue azioni abituali e sorprenderlo nel suo procedere quotidiano”.
Il presidente Mattarella (la felice definizione è del costituzionalista Paolo Armaroli), è persona dal “sangue-ghiaccio”; un giurista e politico di vecchia scuola, di cui sembra essersi persa la matrice. In famiglia, dopo il padre Bernardo, era destinato alla politica il fratello Piersanti, tra i più vicini ad Aldo Moro. Sappiamo tutti come è andata. Sergio coniuga il “sapere” del costituzionalista a una lunga, sperimentata, variegata esperienza di politico; scuola sinistra DC, morotea, con tutto quello che questo significa e comporta. Può non piacere, ma qui si cerca di ragionare su quello che è, non su quello che piace.
Ora Matteo Renzi l’uomo che ha fortissimamente voluto la crisi per sloggiare da palazzo Chigi Giuseppe Conte; di fatto ha ripetuto l’operazione già consumata con Enrico Letta: a quest’ultimo, anche lui presidente del Consiglio, aveva assicurato che poteva starsene sereno. Non aveva finito di dirlo che già lo aveva accoltellato alle spalle, e sostituito; anche questa volta ha assicurato fino all’ultimo che non si trattava di una questione personale, che non era Conte il suo obiettivo. E similmente a Pinocchio, mentre lo diceva, il naso si allungava e le gambe si accorciavano.
Anche Renzi è un democristiano, ma di altro conio; nulla sembra aver preso dal felpato e pragmatico padre Graziano, per tutta la vita si è mosso con discrezione, un “nessuno” che tuttavia nella Toscana rossa e massonica sapeva ben navigare e muoversi. Renzi è di tutta evidenza, “figlio” di un’altra scuola politica. Lui e i suoi sodali (oggi un po’ meno sodali), sono democristiani che nulla hanno a che spartire con l’originaria sinistra DC, e neppure con la successiva generazione: i Pierferdinando Casini o i Bruno Tabacci.
A questo punto, tocca dare un’occhiata all’opposto versante, quello del Partito Democratico; i suoi dirigenti sono speculari. Anche loro “figli” del PCI, ma con ben poco che spartire con quel partito, con quella scuola, anche se ad essa a volte si richiamano. Perfino Nicola Zingaretti, che pure aveva la tessera comunista fin da ragazzino, e si fa “consigliare” da Goffredo Bettini che s’atteggia ad allievo del “migliore”, nulla ha a che fare con il partito che albergava a Botteghe Oscure.
Descritto il contesto, si può ora tornare a Mattarella: è un democristiano alla Romano Prodi. L’emiliano e il palermitano hanno tanto in comune: come carattere, come prospettiva, come visione delle cose. Entrambi hanno buona memoria, entrambi sanno, quando è il caso, attendere in riva al ruscello della favola.
Oggi Renzi canta vittoria, e molti gliela riconoscono. Al vincitore (a chi si presume lo sia) da sempre si corre in soccorso. Resta il fatto che Renzi è politico dell’immediato e del beau geste. Tattico senza strategia, vince talvolta alla slot machine; ma alla fine è sempre il proprietario della slot, che incassa la vincita più consistente. Mattarella e Prodi hanno strategie; possono non piacere, ma agiscono come il Mahdi, che alla fine del XIX secolo distrugge una colonna anglo-egiziana di diecimila uomini al comando del generale William Hicks, nella regione semidesertica del Kordofan; come il generale Sam Houston, che nel 1836 sconfigge, con la stessa ‘tecnica’, a San Jacito l’armata messicana comandata dal generale-dittatore Antonio Lòpez de Santa Ana, e nasce così la repubblica del Texas, poi Stato dell’Unione. Probabilmente Renzi nulla sa di Hicks, del Mahdi, di Houston e Santa Ana; e non ci si sente di giurare che abbia sfogliato le pagine di ‘Guerra e pace‘ nelle quali Tolstoj racconta e spiega come il generale russo Kutuzov sconfigge, ritirandosi, il borioso Napoleone.
Joe Biden, quando era ancora vice di Obama, in un discorso alla “New York University” si è richiamato a un celebre motto del presidente Theodore Roosevelt: “Speak softly and carry a big stick”, “Parla piano e tieni con te un bastone”. Biden si intenderà perfettamente con Mattarella e Draghi, se riuscirà nel suo incarico. Anche Mattarella parla molto piano; il suo parlare è “molto scritto”: ogni parola è cesellata; i suoi interventi vanno più letti che ascoltati. Forse, non subito, ma neppure tra molto tempo, per primo Renzi avrà modo di constatare che lo “speak” di Mattarella si accompagna sempre a un pesante “big stick”.
Per quel che riguarda Draghi, si può essere certi che sarà coerente con l’impegno assunto quando era alla guida della Banca Centrale Europea; il suo motto sarà, è: “whatever it takes”. E’ una partita politica e personale che richiede nervi saldi, prudenza, fantasia, determinazione, capacità, intuito, fortuna, empatia. Avrà molti estimatori, ma un solo alleato vero: Mattarella.
Come si è arrivati a questa situazione? Conte è causa del suo “male”, della sua disgrazia. Ha commesso una quantità di errori gravi. E’ stato a capo di governi che erano quello che erano, d’accordo; circondato da una classe politica da operetta. Tuttavia, un direttore d’orchestra, se vuole essere tale, non può fare a meno di orchestrali, per mediocri che possano essere. O scende dal podio, o suona con quello che c’è. A un certo punto, come preda di un impazzimento dovuto a delirio di potenza, ha creduto di poter fare tutto, e tutto da solo. La prima bozza del Recovery Plan era una semplice copertina con l’elenco di finanziamenti a pioggia a tutti un po’. Neppure un titolo delle riforme strutturali che l’Unione Europea esige in cambio del denaro stanziato. A Bruxelles, quando hanno ricevuto il “dossier” si sono messi a ridere. Non ha neppure coinvolto il Governo, nella discussione del “piano”; e voleva che tutto venisse elaborato da una mega commissione composta da trecento esperti.
Nel primo governo, quello Lega-M5S, Conte si è limitato a fare il mediatore tra spinte diverse e spesso opposte; ha galleggiato fino a quando la situazione non si è fatta insostenibile: certamente gli errori gravi commessi da Matteo Salvini nel corso della famosa estate al “Papeete”, anch’essi frutto di un delirio da pretesa e supposta potenza; ma ben più determinanti devono essere state le pressioni di Stati Uniti ed Europa, preoccupati per la deriva italiana.
A Conte è stata data una seconda possibilità, il governo PD-M5S, e a questo punto, la metamorfosi. Smessi i panni del mediatore, indossa quelli del piccolo duce che tutto sa, tutto fa, tutto decide, tutto concentra. La Pandemia è stata una formidabile coperta che ha consentito tutto e il suo contrario; ma c’è pur sempre un limite.
Fallimento di Conte, ma anche del PD, partito che ha cercato di gestire e amministrare un esistente grigio e opaco, senza mai riuscire ad assumere un’iniziativa politica autonoma. Il M5S si è spappolato come del resto era giusto, essendo un aggregato senza arte e parte; e un centro-destra che non sa, non riesce, probabilmente non può neppure costituire un’alternativa credibile: Salvini è un disco rotto, Giorgia Meloni è una sovranista senza seguito, e fin quando non muterà rotta se lo sogna di andare al governo. Silvio Berlusconi, in quel bigoncio è perfino il meno peggio, non fosse che pesano i tanti acciacchi dell’età, e le continue baruffe all’interno della sua Forza Italia con una quantità di capponi che si beccano tra loro senza rendersi conto che tra breve finiranno tutti lessati.
L’Italia tira avanti grazie alla Banca Centrale che acquista masse di titoli di stato italiani, e impedisce così la bancarotta. Ovviamente in cambio di progetti concreti: investimenti, occupazione, cantieri aperti. Al contrario, il secondo governo Conte è “segnato” da una quantità impressionante di fallimenti e disastri. Non c’è questione che sia stata risolta, problema che abbia trovato soluzione. Le proposte spaziano tra il cervellotico e il demenziale.
L’eredità consegnata a Draghi è roba da far tremare le vene ai polsi. Renzi ha la responsabilità storica e politica di aver aperto una crisi al buio, che sarà possibile risolvere (forse) solo grazie alla saggezza di Mattarella e di Draghi. Ma Renzi è causa, ma anche effetto. Se la situazione non fosse quella che è, Renzi nulla avrebbe potuto fare e dire. Si sconta l’impotenza del PD, l’incapacità del M5S. Draghi è la certificazione di un fallimento, di una catastrofe dell’intera classe politica. Il problema è questo: quella della cosiddetta prima Repubblica era certamente composta da personaggi detestabili, con mille e un difetto, e chi più ne ha, ne metta senza risparmio; ma almeno capiva qualcosa.
E’ un problema solo italiano? No, purtroppo. Il Regno Unito ha consumato una scellerata Brexit; gli Stati Uniti si sono “concessi” quattro anni di Donald Trump; Macron in Francia rappresenta si e no un quarto dei francesi, il fenomeno dei “Gilet gialli” è solo la punta visibile di un iceberg… Il concetto stesso di democrazia a essere in crisi, è messo in discussione, privo di efficaci anticorpi e antidoti; i modelli di rappresentanza appaiono superati, spinte e rigurgiti populisti sono tutt’altro che esauriti; è venuta meno una “scuola” di formazione delle classi dirigenti… Un po’ ovunque “grande la confusione sotto il cielo”; ma a differenza di quello che sosteneva Mao Zedong, la situazione non è assolutamente eccellente…