Guardare al futuro con ottimismo è sempre stata una prerogativa del carattere americano. Un popolo, quello degli Stati Uniti d’America, che si è plasmato negli ultimi quattro secoli attraversando l’Oceano in cerca del “better future”. Fin dalla nascita delle colonie e con la stessa rivoluzione, gli americani non hanno avuto paura delle sfide improbabili. Come descrisse Alexis De Tocqueville, “gli americani hanno una gran fede nella perfettibilità dell’uomo… considerano la società come un organismo in continuo miglioramento”. Questa attitudine così americana ha, nel bene e nel male, finito per trasformare anche il resto del mondo.
Cosa accade quindi quando l’ottimismo viene di colpo a mancare in America? Quando gli americani pensano che domani sarà peggio di ieri?
Tra le colpe più gravi dell’amministrazione di Donald Trump, c’è anche quella che qui chiamiamo “trumpessimismo”, atteggiamento che si esplicita fin dallo slogan elettorale: “Make American Great Again”. Quel “di nuovo”, che si rivolge al passato, che vorrebbe indicare che si torna “great” e felici solo guardando all’indietro, seguendo modelli già vissuti e rinnegando la ricerca di nuove soluzioni.
Come il fascismo guardava al culto della “Roma imperiale” per la riscossa del popolo italiano, il trumpessimismo cerca il “great again” nel passato “isolazionista”, “sovranista”, dell’ “America First”, rinnegando quel presente così “contaminato” dai trattati internazionali, dal multilateralismo, dove per esempio gli accordi internazionali sul Cambiamento Climatico sarebbero anti-Americani e persino la NATO diventa per il trumpessimista una alleanza controproducente agli interessi americani.
La viscerale ostilità nei confronti dell’immigrazione, che ha dato per secoli ossigeno al sogno americano, è in linea con questa filosofia trumpessimista e quindi “anti-americana”.
Se il 2016-17 ha segnato l’avvento del trumpismo e gran parte del 2018 la sua maturazione nel trampessimismo, sembra che la malattia abbia consumato la sua fase più virale e che gli americani siano in via di guarigione, come si è visto nelle elezioni di novembre. Si dovrà solo aspettare di capire se per esserne usciti del tutto si dovrà aspettare il 2020 o la “febbre” trumpista sarà debellata prima, nel 2019, grazie anche ad un Congresso non più controllato dai repubblicani timorosi di Trump.
La battaglia sul Muro e i 5 miliardi di dollari per finanziarlo, che hanno portato allo “shutdown”, con Trump arroccato nell’infantile-catastrofismo del “Congresso cacci i soldi oppure provoco una recessione”, sembra più il colpo di coda di chi vede ritrarre l’ondata populista che lo ha catapultato alla Casa Bianca e ora teme l’epilogo delle inchieste del procuratore speciale Robert Mueller, e che la restante popolarità sia disintegrata dalla discesa di Wall Street.
Attenzione però, proprio nel 2019, il trumpismo non più vincente potrebbe, invece di sciogliersi con le dimissioni di Trump (soluzione alla Nixon, per salvarsi dalla galera), ostinatamente credere che lo zoccolo duro di sostenitori del “Great Again” possa essere abbastanza motivato per resistere. Poi, alla Casa Bianca non ci sono più i generali “badanti” Kelly e Mattis… Saranno pronte le istituzioni della democrazia USA a reggere all’impatto di una sfida elettorale in cui il presidente in carica non accetti la possibilità della sconfitta?
Con l’inizio del 2019, agli auguri di guarigione dal trumpismo per l’America, aggiungiamo una nota per l’Italia: il governo Conte, si è troppo vantato di una sua somiglianza con il trumpismo, come se il “populismo” italiano possa godere di più forza se riconosciuto figlio di quello americano. Ma il governo giallo-verde sbaglia a scommettere nella lunga vita del trumpismo. Non hanno capito a Roma che Trump rappresenta un incidente piuttosto grave della storia della democrazia americana, l’elezione di un imprenditore fallito, miracolato quindici anni fa da uno show televisivo di successo e che alcune circostanze irripetibili e altre sospette hanno eletto alla Casa Bianca pur essendo il più inadeguato presidente della storia americana. Scommettere su Trump oltre il 2020, isolerà l’Italia ancora di più da un’Europa che invece si prepara, con l’uscita di scena del trumpessimismo, al riavere a fianco gli USA nell’affrontare le sfide mondiali, da quelle strategiche e quelle ambientali.
Non è quindi solo un augurio, ma chi scrive ha la convinzione che lo spirito dell’America riconosciuto già due secoli fa da Tocqueville, si riaffermerà nel 2019, per trionfare nelle elezioni del 2020. Chi ha la responsabilità del governo in Italia farebbe molto meglio gli interessi degli italiani ricalibrando il rapporto con Trump, il presidente USA più anti europeo della storia e, anche per questo, il più anti-americano.
Ai lettori gli auguri per un 2019 di nuovo all’insegna del migliore spirito americano.