Donald Trump ha giurato sulla Costituzione degli Stati Uniti e da oggi è, con tutti i poteri garantiti e per fortuna ancora anche limitati da quella carta, il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Quindi il presidente di tutti i cittadini americani, compreso di chi scrive queste righe.
Anche se continuerò a partecipare, con tutta la mia famiglia, alle manifestazioni di protesta contro certe idee espresse da Donald Trump, da oggi lui è anche il mio presidente.
Trump ha dimostrato finora, anche nel discorso di insediamento, di essere anni luce dal Presidente che questo grande paese si meriterebbe, ma avendo vinto le elezioni, resterà lui per quattro anni alla Casa Bianca (a meno che non sia provato che abbia cospirato col Cremlino di Putin per vincere le elezioni, allora in quel caso, se non sarà troppo tardi, sarebbe inevitabile l’impeachment).
Non l’ha votato la maggioranza degli americani Trump, ma ha vinto con il sistema che c’è. Questo dovrebbe rincuorare chi, come me, pensa che il Trumpismo non dovrebbe durare più di quattro anni. Speriamo che anche al Congresso il potere di Trump venga limitato già tra due anni.
Nel discorso che ha pronunciato oggi, abbiamo cercato dove Trump potesse costruire dei “ponti” di contatto con i milioni di americani, ripetiamo la maggioranza, che resta scioccata dalla sua elezione. Trump ha fatto ancora un discorso come se si dovesse rivotare domani. Propaganda elettorale, ancora rivolto allo zoccolo duro dei suoi elettori, quello che gli ha permesso di conquistare la Casa Bianca e che oggi erano a Washington per applaudirlo, in migliaia con i loro cappellini rossi con su scritto “Trump, Make America Great Again” (Nelle zoommate delle telecamere che inquadravano la folla, si notava una marea di supporter solo bianchi e quando dopo tante immagini finalmente abbiamo scovato un fan non etnicamente bianco, ci ha fatto veramente impressione).
Il discorso è durato in tutto 16 minuti, e Trump lo ha iniziato dicendo: “Noi cittadini degli Stati Uniti siamo uniti in un grande sforzo nazionale per ricostruire il nostro paese. Insieme determineremo il corso dell’America e del mondo per molti anni… Ogni quattro anni ci troviamo qui per esercitare il tradizionale e pacifico trasferimento dei poteri. Ma la cerimonia di oggi ha un significato speciale perché non stiamo solo trasferendo il potere da un’amministrazione a un’altra o da un partito a un altro, ma stiamo ridando il potere da Washington a voi, il popolo. Oggi è il giorno in cui il popolo torna a comandare”.
Eccolo quindi Trump attaccare i politici di Washington che hanno “approfittato dei compensi al governo, mentre i cittadini ne hanno sopportato i costi. I politici hanno prosperato, mentre i posti di lavoro e le fabbriche chiudevano. L’establishment proteggeva se stesso e non i cittadini di questo nostro paese. Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie. I loro trionfi non sono stati i vostri trionfi. E mentre nella capitale festeggiavano, per le famiglie del nostro paese in difficoltà c’era poco da festeggiare. Tutto questo cambia qui, a partire da ora. Questo è il vostro momento, appartiene a voi. Appartiene a tutti voi che siete riuniti qui e a tutti quelli che guardano da tutte le parti dell’America. Questo è il vostro giorno. La vostra festa. Questo, gli Stati Uniti d’America, è il vostro paese”.
Trump attacca anche i loro partiti, compreso il Gop: “Quello che veramente conta non è quale partito controlli il nostro governo. Ma se il governo sia controllato dal popolo. Il 20 gennaio del 2017 sarà ricordato come il giorno in cui il popolo è tornato ad essere il governante di questo paese”.
Trump ad un certo punto ha cominciato a usare toni rooseveltiani, parlando di “forgotten men and women”, gli uomini e le donne dimenticate del nostro paese che non lo saranno più.
Una frase, quella del “forgotten man”, utilizzata da FDR, colui che resta, insieme a Lincoln, il più grande presidente della storia americana. Ma Trump non è Franklyn Delano Roosevelt. E l’America che ora prende in mano non è quella del 1932. FDR parlava alla maggioranza degli americani colpiti dal crollo del ’29 e dalla grande depressione, mentre Barack Obama – che di errori ne ha fatti ma non abbastanza per non farci restare certi che lo rimpiangeremo! – ha lasciato a Trump un’America ben diversa. Quando entrò alla Casa Bianca Obama, nel gennaio del 2009, quell’America era stata lasciata da George W. Bush sull’orlo di un disastro finanziario molto vicino a quello del ’29. Invece gli Stati Uniti che Trump oggi eredita non sono in quella condizione e Trump parla ad una moltitudine di americani ben diversa da quella a cui si rivolse FDR nel 1933, quando ciò di cui si doveva avere più paura, era “proprio la paura stessa”.
Non dimentichiamo che l’elettorato di Trump è composto da due gruppi ben diversi: da chi è sempre stato e continua a vivere benissimo dentro il sistema (ma vuole evitare di concedere qualcosa nei privilegi economici di cui gode e non vuole redistribuire nulla del suo altissimo reddito); ma anche da una larga fetta di elettori che da parecchi anni vive sempre peggio. Americani che hanno perso molto delle loro certezze e sicurezze. Americani bianchi, per lo più del Middle West, e anche degli Stati un tempo industrialmente avanzati, tipo il Michigan e l’Ohio, con un basso livello di istruzione e che soffrono il cambiamento arrivato con la globalizzazione degli ultimi venti anni che li ha danneggiati soprattutto nei “blue collar jobs”, facendoli sparire o riducendone il reddito.
Trump durante la campagna elettorale e ancora nel discorso di insediamento è stato furbissimo a far penetrare la sua propaganda in questa America bianca e tradizionale che spera di tornare “Great Again”. Un’America da tanti anni ignorata sia dai democratici (Shame on Hillary! Così ha fatto vincere Trump, cosa che non sarebbe accaduta con Bernie Sanders …) che dai repubblicani. Trump ha saputo conquistare questa America promettendo di farla tornare “Great Again” (per esempio attaccando i trattati commerciali internazionali) e quindi con soluzioni anche se queste andavano contro la linea tenuta dal Gop. Resta un mistero come Trump sia riuscito a farsi credere, lui miliardario palazzinaro di New York che non ha nulla in comune in stile e filosofia di vita con questa “America dimenticata”, e che è riuscito invece a farsi percepire come l’unico portatore di un cambiamento basato sul “ritorno al passato” agognato da chi non ha nulla da perdere.
Movimento, lo chiama sempre Trump nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca: “Ora tutti vi ascoltano. Siete arrivati in decine di milioni a far parte di questo storico movimento che il mondo non aveva mai visto prima. Al centro di questo movimento c’è una cruciale convinzione: che la nazione esiste per servire i propri cittadini. Gli americani vogliono ottime scuole per i loro figli, quartieri sicuri per le loro famiglie, e buoni lavori per loro. Sono tutte le ragionevoli richieste di un pubblico giusto. Ma invece per troppi dei nostri cittadini, una realtà molto diversa esiste. Madri e figli prigionieri della povertà nelle nostre città, fabbriche arrugginite lasciate come tombe nel paesaggio della nostra nazione, un sistema di istruzione con a disposizione anche tanti soldi ma che lascia i nostri giovani e bravi studenti privati della conoscenza, e il crimine e le bande e la droga, che ha rubato già troppe vite e ha deprivato il nostro paese di così tante potenzialità non realizzate.” E quindi Trump promette: “Questa carneficina finisce qui e ora”.

Trump continua a rivolgersi a questa massa di “uomini dimenticati” e riesce, con quel suo linguaggio condito di slogan e frasi rozze, a catturarne la fiducia: con lui “Noi siamo una nazione. Che il loro dolore è il nostro. Che i loro sogni sono i nostri. E che il loro successo sarà il nostro successo. Condividiamo un cuore, una casa, un glorioso destino”.
Ecco che il suo giuramento presidenziale diventa il giuramento “nei confronti di tutti gli americani. Per molti anni abbiamo arricchito l’industria straniera a scapito di quella statunitense. Abbiamo difeso i confini di altre nazioni e non i nostri. Abbiamo speso trilioni di dollari all’estero mentre le infrastrutture dell’America si rovinavano e decadevano. Abbiamo arricchito gli altri paesi mentre il benessere, la forza, e la sicurezza del nostro paese è sparita all’orizzonte… Il benessere della nostra classe media è stato strappato dalle loro case e ridistribuito attorno al mondo. Ma questo rappresenta il passato. Ora noi guaderemo solo al futuro. Da questo momento una nuova visione governerà la nostra terra. Da oggi ci sarà l’America First! (L’America viene prima). Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, in materia di immigrazione, sugli esteri sarà presa a beneficio dei lavoratori americani e le famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dalle devastazioni di altri paesi che distruggono i nostri prodotti, rubano le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro. Questa protezione porterà alla grande prosperità e forza. Lotterò per voi con ogni respiro del mio corpo, e non vi abbandonerò mai. L’America tornerà a vincere, come mai prima. Ci riprenderemo i nostri posti di lavoro. Ci riprenderemo i nostri confini. Ci riprenderemo la nostra ricchezza. E ci riprenderemo i nostri sogni… Ricostruiremo il nostro paese con mani americane e lavoro americano. Seguiremo due semplici regole: compra americano e assumi americano”.
Trump a questo punto avverte il mondo, sempre con un linguaggio apposta non diplomatico, che la musica cambierà: “Cercheremo l’amicizia con le nazioni del mondo, ma con la consapevolezza che è diritto di ogni nazione mettere i propri interessi prima di tutto. Non cerchiamo di imporre il nostro modo di vita a nessuno, ma semmai lasciarlo brillare come esempio per ognuno da seguire. Rinforzeremo le vecchie alleanze e ne formeremo di nuove per unire il mondo civilizzato contro il terrorismo degli estremisti islamici, che cancelleremo dalla faccia della Terra”.
Ecco, da qui in avanti i toni di Trump, almeno per chi scrive queste righe, raggiungono livelli di oratoria nazionalista che – possiamo dirlo? – sfiorano quelli del Fascismo classico. Alla base della politica americana, avverte per esempio Trump “ci sarà il totale giuramento di fedeltà agli Stati Uniti d’America, e attraverso la fedeltà al nostro paese, noi riscopriremo la fedeltà tra ognuno di noi. Quando si apre il cuore al patriottismo, non c’è più posto per il pregiudizio. La Bibbia ci dice, ‘che è buono e piacevole quando il dio del popolo vive dentro nell’unità”.
Davvero? Quel valore così americano, garantito dal First Amendment, dell’essere fieri del pensarla diversamente, non è più così patriottico? Ecco che qui, chi ha scritto il discorso a Trump, ha forse capito che il 45esimo presidente stesse esagerando. E quindi ecco inserita una piccola frase che sembra ammorbidire la medicina del pensarla tutti allo stesso modo per rendere l’America “Great Again”: “Dobbiamo esprimere quello che pensiamo liberamente, dibattere i nostri disaccordi onestamente, ma sempre perseguendo la solidarietà”.
Fiù, per fortuna che è arrivata la frasetta, altrimenti già pensavamo di essere entrati nell’anno I dell’era trumpascista. Ma subito dopo Trump torna Trump con un linguaggio nazionalista spinto al limite: “Quando l’America è unita, l’America è totalmente inarrestabile. Non c’è d’aver paura. Noi siamo protetti e noi saremo sempre protetti. Saremo protetti dai grandi uomini e donne del nostro esercito e della nostra polizia e, ancora più importante, siamo protetti da Dio”.
Impressionante? Ho sempre pensato che il patriottismo americano si potesse esprimere con i valori della Costituzione, che da duecento anni difendono la diversità, proteggono le differenze religiose ed etniche, favorendone il dibattito aperto e libero delle idee. Ma nel discorso di Trump ecco che appare, a nostro parere, un patriottismo che sembra più una scopiazzata della formula cara a Benito Mussolini, del “credere, obbedire e combattere” per fare l’America “Great Again”.
Alla fine del suo discorso, Trump torna ad attaccare la classe dei politici: “Noi non accetteremo più politici che parlano soltanto senza mai agire. Che si lamentano costantemente ma che non fanno mai nulla. Il tempo dei discorsi vuoti è terminato. È giunta l’ora dell’azione (Proprio così: Now arrives the hour of action). Non lasciate che vi dicano che non si può fare. Nessuna sfida può essere superiore al cuore, alla lotta e allo spirito dell’America. Ce la faremo, il nostro paese prospererà e sarà di nuovo ricco (…) Un nuovo orgoglio nazionale smuoverà le nostre anime, alzerà la nostra visione e ci guarirà dalle nostre divisioni. E’ venuto il tempo di ricordare la vecchia saggezza che i nostri soldati non dimenticheranno mai: che anche se siamo neri, marroni o bianchi, dentro ci scorre lo stesso sangue rosso dei patrioti, godiamo tutti delle stesse gloriose libertà e noi tutti salutiamo la stessa grande bandiera americana”.
Cosi dopo aver detto ancora una volta che nessuno, a prescindere dove e in che condizioni si trovi in America “sarà più ignorato”, ecco che Trump conclude il suo discorso con gli slogan della campagna elettorale: “Insieme renderemo di nuovo l’America forte. Renderemo l’America di nuovo ricca, renderemo l’America di nuovo orgogliosa, renderemo l’America di nuovo sicura. E sì insieme, noi faremo l’America grande di nuovo. Grazie e che Dio vi benedica e benedica l’America”.
Ascoltando in diretta il discorso del 45esimo presidente degli Stati Uniti, l’inizio ci era sembrato condivisibile, perché le difficoltà sociali, economiche e quindi anche psicologiche di milioni di americani catapultati in una spasmodica e caotica affermazione continua della globalizzazione da parte di grandi gruppi di interesse che hanno avuto in mano la politica a Washington senza farsi scrupoli di proteggere gli interessi di cittadini americani, sono questioni legittime e urgenti. A Trump si deve riconoscere di aver messo al centro del dibattito politico questa classe di americani dimenticati, cosa che aveva anche tentato di fare Bernie Sanders stoppato dall’establishment dei democratici rappresentato dai Clinton.
Ma la seconda parte del discorso di Trump, con quei passaggi iper nazionalisti, portano sul sentiero di un pensiero “autoritario e totalitario”, in cui il patriottismo viene qui identificato con valori che sono semmai in antitesi con quelli tradizionali della Costituzione americana. Qui Trump ci preoccupa e ci fa temere il peggio. Per questo, e lo ripetiamo come nella notte dell’8 novembre del 2016, la presidenza di Donald J. Trump, 45 esimo Commander in Chief dell’America “che nessuno potrà mai fermare”, fa venire certi brividi di terrore al pensiero di come, alla prima grande crisi internazionale, che presto e con certezza arriverà, Trump vorrà mettere in pratica il suo modo di rendere l’America “Great Again”.
Qui tutto il testo del discorso del Presidente Donald Trump in lingua originale