Regista, sceneggiatore, documentarista, ma anche poeta: ci ha lasciato uno dei più grandi maestri del cinema italiano, Bernardo Bertolucci. Cantore incendiario dei cambiamenti sociali ed interpersonali, ruggente provocatore ma anche autentico demiurgo di un cinema fatto di emozioni e sensazioni, Bertolucci, unico regista italiano capace di vincere l’Oscar come “Migliore film” e “Migliore regia”, (“L’ultimo imperatore”, 1987), aveva 77 anni. Da tempo era costretto su una sedia a rotelle dopo un intervento alla schiena.

Figlio del poeta, e critico cinematografico, Attilio Bertolucci, Bernardo nasce il 16 marzo 1941 a Parma, non lontano da Busseto, città natale di Giuseppe Verdi, da lui tanto amato e che con i suoi melodrammi romantici influenza la formazione culturale, ed intima, del giovane futuro regista. A 15 anni la famiglia si trasferisce a Roma, dove alcuni anni dopo Bernardo pubblica la sua prima raccolta di poesie “In cerca del mistero” (premio Viareggio opera prima, nel ’62). Nella città eterna Bernardo incontra Pier Paolo Pasolini, suo vicino di casa e grande amico di famiglia, e poco dopo lascia la facoltà di Lettere alla Sapienza di Roma per dedicarsi interamente al cinema. Muove i primi passi nel mondo della celluloide come assistente dello scrittore-regista friulano sul set di “Accattone” (1961) e dirige poi il suo primo lungometraggio, “La commare secca” (1962), sceneggiato per lui proprio da Pasolini e prodotto da Tonino Guerra.
Ma il suo stile personale comincia già ad intravedersi nella sua seconda pellicola, “Prima della rivoluzione” (1964), a cui fanno seguito “La via del petrolio” (1965), “Il canale” (1966), “Partner” (1968), “Il conformista” (1970) e “La strategia del ragno” (1970). E’ un cinema concentrato sul rapporto tra l’Io e un’ambiente circostante che cambia in continuazione, dando così vita conseguentemente a metamorfosi esistenziali: la scena politica e familiare di quegli anni è in subbuglio e Bertolucci se ne fa spettatore attento. Nel frattempo, nel 1968, assieme a Sergio Leone e Dario Argento firma la sceneggiatura di “C’era una volta il West”: fu proprio il padre degli “spaghetti-western” – come ha ammesso Bertolucci nell’ultima edizione del Festival del cinema di Bari (Bif&st), durante la sua lezione di cinematografia – ad insegnarli “l’uso della cinepresa come occhio privilegiato sulla realtà quotidiana”.
I suoi lavori sono apprezzati dalla critica ma poco dal pubblico, che invece esplode, anche morbosamente, nel 1972 con “Ultimo tango a Parigi”, con Marlon Brando (terza scelta, dopo il rifiuto di Jean Paul Belmondo, che lo riteneva un film pornografico, e Alain Delon, la cui accettazione era subordinata all’esserne lui il produttore) e la sconosciuta Maria Schneider (figlia illegittima dell’attore Daniel Gélin – che non ne riconobbe la paternità – e della modella Marie Christine Schneider): bersagliato dalla censura, ritenuto da molti uno scandalo (con la famosa scena del burro per un rapporto anale), il film costa a Bertolucci un processo e una condanna, in Italia (per 5 anni gli fu negato il diritto di voto), oltre al rogo, per fortuna simbolico, delle copie del film: una infatti si salvò e così lo scorso anno è stato possibile ammirare la versione restaurata del capolavoro grazie al grande direttore della fotografia Vittorio Storaro.
La risonanza internazionale che il film suscita, con pubblico e critica di tutto il mondo ferocemente divisi, apre a Bernardo le porte della cinematografia americana. Lui però non si piega alla logica degli Studios d’oltreoceano e anzi riesce a convincere Robert De Niro, Burt Lancaster, Donald Sutherland e Sterling Hayden a trasferirsi momentaneamente nella Pianura Padana per recitare in “Novecento” (1976): film in due parti, lungo ma mirabile affresco storico dell’Italia nei primi anni del XX Secolo, narrato dal punto di vista di una famiglia di proprietari terrieri. Con i mostri sacri appena menzionati recita anche un bravissimo Gerard Depardieu.
Negli anni Ottanta arriva il kolossal, la punta di diamante della sua carriera: “L’ultimo imperatore” (1987), con Peter O’Toole, girato in Cina e di straordinaria potenza visiva. Superpremiato in tutto il mondo, con 9 Oscar, un’incetta di premi BAFTA (gli Oscar inglesi), numerosi Nastri d’Argento, nove David di Donatello e chi più ne ha più ne metta!
Sempre più internazionale, il regista parmense si reca poi nel 1990 in Marocco per le riprese di “Il tè nel deserto”, tratto da un romanzo di Paul Bowles, e nel 1993 in Nepal e negli Stati Uniti per “Il piccolo Buddha”.
Seguono poi tre suoi film davvero particolari, per linguaggio cinematografico e contenuti, che mi sento di consigliare ad ogni giovane durante il suo processo di maturazione. Il primo, “Io ballo da sola” (1996) pennella una nuova filosofia, anche poetica, per vivere se stessi durante l’adolescenza; il secondo, “L’assedio” (1998), storia di un’ossessione amorosa, offre allo spettatore la riflessione sulla necessità di apertura mentale per non fare resistenza di fronte al prossimo; il terzo, “The Dreamers” (2003) è senza alcun dubbio un manifesto della libertà sessuale, mentale e spirituale che ripropone una sua utopia: l’incontro costruttivo tra culture diverse. “Continuo ad illudermi che un giorno le culture sui innamoreranno una dell’altra – disse il regista -, anche se in realtà vediamo in Italia che tutto questo è rifiutato, con l’aumento della xenofobia”.

Il suo ultimissimo lavoro, “Io e te”, tratto dall’omonimo romanzo di Nicolò Ammaniti, esce nel 2012. Rispetto ai lavori precedenti è un film piccolo, girato in interni, praticamente sotto casa. Bertolucci, ormai confinato alla sedia a rotelle, denuncia la difficoltà di muoversi a Roma. Il grande maestro riduce le dimensioni del suo progetto, ma non le ambizioni.
Al Festival di Bari aveva confessato di avere ancora per la testa diversi progetti cinematografici, che però resteranno ora solo opere astratte: un “Novecento” atto terzo e un possibile film in 3D.
Nel 2007 la 64esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia gli ha conferito il Leone d’oro alla carriera, poi nel 2011 la Palma d’oro onoraria al 64° Festival di Cannes.
Bernardo Bertolucci ha emozionato e fatto discutere intere generazioni e reso gloria e notorietà al cinema italiano, che oggi piange un grande maestro, non solo di cinema ma anche di umanità.