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Russiagate, Trump attacca l’FBI e approva il rilascio del memo della discordia

Si tratta del documento in cui i Repubblicani accusano l'FBI di mancata imparzialità nelle indagini e i Democratici di aver pagato un'ex spia inglese

Davide MamonebyDavide Mamone
La verità, vi prego, sulla Tax Reform di Donald Trump

Il presidente Usa Donald Trump

Time: 4 mins read

Ora è ufficiale. Il Presidente statunitense Donald Trump ha approvato il rilascio pubblico (e senza modifiche) del memo dei Repubblicani, allegato al fascicolo sul Russiagate della commissione House Intelligence Committee del Congresso (qui il link al documento integrale).

Il memo dei Repubblicani

Un documento fino ad ora tenuto segreto, nel quale vengono criticati dal Partito Repubblicano presunti abusi di potere dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia sull’indagine relativa ai rapporti di Trump e la Russia durante la campagna elettorale, che nel 2016 ha portato proprio l’ex tycoon a vincere le elezioni. Un memo che è stato al centro di durissimi scontri all’interno della commissione del Congresso americano e il cui rilascio potrebbe provocare un altro, l’ennesimo, terremoto di una Washington sempre più divisa.

La situazione è complessa. Assume sempre di più i contorni di un “tutti contro tutti”. E non accenna a calmarsi. Il memo descrive infatti alcuni dettagli su una situazione intricata. Viene descritto il modo con cui le informazioni di un ex spia inglese di nome Christopher Steele, che ha compilato un controverso dossier di accuse contro l’allora candidato Donald Trump, siano state usate dalla Corte FISA (Foreign Intelligence Surveillance Court) per condurre un’indagine su Carter Page, un ex consigliere della campagna elettorale di Trump. Secondo Trump e i Repubblicani, a pagare Steele per quel dossier di accuse sarebbero stati i democratici statunitensi. L’indagine della corte FISA avrebbe quindi delle basi fraudolente secondo l’accusa. E ad usarla sarebbe stata anche la FBI, accusata in modo frontale da Donald Trump in un tweet, proprio venerdì 2 febbraio, al mattino: “I vertici e gli investigatori della FBI e del Dipartimento di Giustizia hanno politicizzato la sacralità del processo investigativo in favore dei Democratici e contro i Repubblicani – qualcosa di impensabile fino a solo qualche tempo fa”.

Parole dure. Che seguono le difficoltà emerse negli ultimi giorni, con il direttore dell’FBI Christopher Wray oppostosi alla pubblicazione del memo e in odore di dimissioni (per ora né confermate, né smentite) e l’impianto accusatorio del Russiagate “accusato” dal Presidente e dai Repubblicani di presunta imparzialità.

La posizione del direttore dell’FBI Wray, infatti, continua a rimanere in bilico. Scelto da Trump per sostituire il licenziato Comey, Wray non si è mai esposto più di tanto pubblicamente nei primi mesi di “mandato”. E proprio come il suo profilo, sempre lontano dai rifelttori, allo stesso destino è stato affidato all’incontro con il Ministro degli Interno italiano Marco Minniti. I due si sono confrontati a Washington, proprio nella mattinata di venerdì 2 febbraio e proprio nelle ore del rilascio del memo repubblicano, per esprimere la loro “forte sintonia” e la “proficua collaborazione tra Stati Uniti e Italia”. E lo hanno fatto “ponendo al centro dei colloqui la sicurezza e stabilità del Mediterraneo, la cooperazione di polizia e giudiziaria con particolare riferimento al contrasto al terrorismo, al crimine organizzato e al traffico di stupefacenti, la gestione del fenomeno delle migrazioni, nonché la collaborazione nell’ambito della sicurezza cibernetica”.

Per qualcuno non è stato un caso che un incontro istituzionale di questo peso e su temi tanto scottanti – emerge all’occhio l’ambito della sicurezza cibernetica – sia avvenuto ugualmente in ore altrettanto calde. Qualcun altro invece lo ha considerato una semplice coincidenza. Certo è che le ore successive alla pubblicazione del memo repubblicano sul Russiagate sono state calde. E hanno visto reazioni contrastanti.

Quella del Presidente Trump è stata affidata al duro tweet sopra riportato in cui, di fatto, accusa FBI e Dipartimento di Giustizia di aver seguito logiche politiche per fare il proprio lavoro istituzionale. Mentre il Senatore John McCain, notoriamente critico contro Trump, ha tirato una chiara frecciatina alla Casa Bianca: “Gli ultimi attacchi contro l’FBI e il Dipartimento di Giustizia non servono agli interessi americani: a nessun partito, a nessun presidente, solo a Putin… Se continuiamo a minare il nostro stato di diritto, stiamo facendo il lavoro di Putin per lui”. Ben diversa la reazione di un altro repubblicano, Robert Aderholt, Congressman dell’Alabama: “Sono molto lieto che il memorandum della FISA del House Intelligence Committee sia stato reso pubblico. Ho letto il memo due settimane fa e ho ritenuto che l’informazione fosse estremamente importante e dovesse essere vista dagli americani”, ha scritto in un tweet. Mentre Jeff Sessions, Attorney General degli Stati Uniti, ha promesso: “Il Congresso ha fatto delle indagini su una questione di grande importanza per il paese e sono state sollevate preoccupazioni in merito alle prestazioni del Dipartimento: sono determinato ad accertare in modo completo e imparziale la verità”.

Dal canto suo, invece, l’FBI si è difesa a spada tratta: “Gli uomini e le donne dell’FBI mettono la loro vita in pericolo ogni giorno nella lotta contro terroristi e criminali facendo leva sulla loro dedizione al nostro paese e alla Costituzione. Il popolo americano dovrebbe essere sicuro di essere continuamente ben servito dalla più importante agenzia di polizia del mondo. Gli agenti speciali dell’FBI non possono, e non vogliono, permettere alle posizioni politiche ‘partigiane’ di distrarli dal solenne impegno per la nostra missione”. E sempre riguardo l’FBI, il suo ex direttore James Comey, licenziato da Trump, ha fatto ironia per attaccare il contenuto del documento declassificato: “Cioè, tutto qui? Un memo disonesto e fuorviante ha dilaniato la House Intelligence Committee del Congresso, distrutto la fiducia con la Intelligence Community, danneggiato il rapporto con la corte FISA e intaccato un’indagine ingiustificatamente esposta di un cittadino americano. Per cosa? Il Dipartimento di Giustizia e l’FBI devono continuare a fare il loro lavoro”. Mentre i Democratici hanno già levato gli scudi sull’ipotesi di licenziamento del procuratore speciale Robert Mueller o del suo supervisore Rod Rosenstein: “Potrebbe portare a una crisi costituzionale di una portata tale che non si vede dal Saturday Night Massacre“, ha dichiarato la leader democratica alla Camera Nancy Pelosi, riferendosi al caso Watergate quando il presidente Richard Nixon licenziò il capo del Dipartimento di Giustizia Archibald Cox.

Intanto, sullo sfondo, si fa sempre più imminente proprio lo scontro tra Robert Mueller, il procuratore speciale titolare dell’inchiesta sui rapporti tra Cremlino e Trump, e lo stesso Donald Trump, che potrebbe essere presto interrogato da Mueller. Uno scontro dai risvolti e dalle conseguenze imprevedibili e che potrebbero porre la parola fine su una vicenda che diventa più intricata ogni giorno che passa, senza però fare mai il bene di un Paese sempre più diviso.

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Davide Mamone

Davide Mamone

Davide Mamone è un giornalista freelance di base a New York. Cresciuto a Milano, di origini palermitane, collabora con Radio Popolare, ha scritto reportage per testate italiane come L'Espresso, Panorama e InsideOver e per testate americane come Market Watch del gruppo Dow Jones Newswires. Ha coperto le Nazioni Unite per La Voce di New York.

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