Volare. Una coniugazione infinita del celebre verbo di movimento per l’astronauta siciliano Luca Parmitano: la passeggiata nello spazio, le àncore emotive, le rampe di lancio e gli obiettivi futuri.
È in occasione della presentazione della nuova edizione del suo best seller sulla missione VOLARE, che l’autore, dalla sua Sicilia, sposta l’orizzonte del suo racconto alle esperienze vissute nella stazione orbitante, crocevia di pensieri e stati d’animo da accogliere e agli esiti delle ricerche condotte tra le stelle. Luca Parmitano, tra gli sguardi curiosi dei follower accorsi a Catania da ogni angolo dell’isola e quelli rassicuranti della mamma e del papà, primi e sempiterni sostenitori: ”Luca ha sempre avuto chiaro il suo obiettivo. –confida la mamma- Sin da bambino sapeva già che avrebbe voluto fare l’astronauta e grazie alla sua fortissima determinazione ha raggiunto il suo obiettivo”. Per i lettori de La Voce di New York il racconto dell’esplorazione, della riflessione, della scoperta delle frontiere proprie dell’uomo e di quelle della scienza che ci porterà nello spazio, ma anche di uno sguardo nuovo sul nostro mondo: le relazioni umane e il rapporto con il pianeta Terra, la sfida a se stessi e ai propri limiti, il significato del sogno e della realizzazione personale.
Buongiorno Luca e grazie per essere qui con noi. La tua vita, il tuo lavoro… hai quello che sognavi da bambino?
“Sognare di diventare astronauti accomunava molti bambini della mia generazione, ma come tutti i sogni ritenevo impossibile che si realizzasse. Di fatto ho cercato, crescendo, di capire cosa mi piacesse fare e ho cambiato idea tante volte. Poi da adolescente mi sono riavvicinato all’idea del volo e del pilotaggio, che mi ha portato a tentare la via dell’Accademia Aeronautica per diventare un pilota. In un certo senso, il percorso che mi ha portato alla realizzazione del sogno è passato attraverso mille progetti, grandi e piccoli. Ma non per questo la sensazione di privilegio è mai diminuita”.
Comfort zone. Questo luogo immateriale, nel quale la prevedibilità degli eventi nutre la nostra sicurezza personale, come un punto dal quale partire… per arrivare dove?
“Da qualsiasi altra parte, purché fuori dalla comfort zone. Più esperienza abbiamo, più questa zona si allarga, tendendo a rallentarci, a vincolarci al conosciuto, alle abitudini. Fino a pensare che non ci sia più nulla al là che possa darci emozioni, o per la quale valga la pena mettersi in gioco. Per me, l’unico di modo di evolvere come esseri umani, per essere domani un po’ meglio di quel che siamo oggi, è di ricercare i propri limiti, per cercare di spostarli – o superarli”.

Dallo spazio, che distanza ha il futuro? Cosa acquista e cosa perde il proprio peso? Relativizzare è un modo di vivere? Oppure è una paradossale via all’assoluto?
“È strano ma, nella mia esperienza in orbita, mi concentravo piuttosto sul presente. Ero consapevole che il tempo in orbita era limitato, e che non mi apparteneva, per cui ho cercato di viverlo a fondo, momento per momento. Il futuro era una data ben precisa – quella del rientro – e preferivo non pensarci troppo. Questa necessità, questo fortissimo desiderio di vivere con consapevolezza ogni istante, purtroppo non è diventato parte di me. Una volta rientrato, mi sono lasciato spesso prendere dai ritmi della vita di ogni giorno, in cui diamo tutto per scontato. Devo forzarmi di ricordare quanto sia prezioso ogni istante, legato a ogni emozione e ogni ricordo. In un certo senso, è il contrario di relativizzare”.
Come definisci il tuo legame con la Terra, intesa come pianeta del sistema solare e con la tua terra?
“Di entrambe ho parlato e scritto nel mio blog mentre ero in orbita – perché volevo essere certo di catturare i miei pensieri e le mie sensazioni alla sorgente, prima che il tempo ne inquinasse il ricordo e ne sbiadisse i colori. Non sono certo il primo astronauta a innamorarsi del pianeta, ma non mi rattrista affatto di far parte del coro: la Terra dallo spazio è un magnifico splendore, e l’amore che proviamo nel vederla è ancestrale, primordiale. Come chi vede per la prima volta il mare, e nel sentirne il suono, l’odore, il colore, comprende di averlo amato da sempre – anche se non lo sapeva. E se la Terra rappresenta il mondo degli uomini, e il nostro desiderio di vivere in società, la Sicilia – la mia terra – per me rappresenta il legame con la famiglia, con un percorso che mi ha formato e trasformato, che attraverso ostacoli e opportunità mi ha portato al presente”.
L’addestramento rigoroso, la distanza da chi ami, la paura data dall’incertezza che funzioni tutto in modo corretto. Come fai a superare queste ed altre àncore?
“La sola àncora che mi trascino senza potermi mai svincolare dal peso è la distanza dai miei cari. In particolare dalle mie figlie, perché hanno un’età in cui ogni attimo è un’esperienza diversa, che le cambia, facendole crescere, trasformandole: e io, di questi attimi, me ne perdo tanti, troppi. Senza potermi davvero giustificare, né con loro, né con me stesso. Tutto il resto, è il mio lavoro, ma al tempo stesso è parte di me: l’addestramento è sfida a migliorarsi, la conoscenza è trasfigurazione dell’ignoto e della paura”.
Chi passeggia nello spazio è ritenuto dai più un essere privilegiato, un mago quasi. Se da quel luogo lontano e ad oggi inarrivabile per l’uomo comune, avessi potuto avvertire i terrestri rispetto ad un evento –splendido o catastrofico, quale avresti scelto?
“È la prima volta che mi viene fatta questa domanda, e non mi ero mai soffermato a pensarci. Di fatto, parte del nostro lavoro è l’osservazione terrestre, poiché grazie alla cupola abbiamo una vista unica sulla Terra, a 360 gradi. I grandi eventi naturali (uragani, alluvioni, eruzioni e così via) sono difficile da predire, e gli scienziati fanno già il loro meglio utilizzando la tecnologia esistente per limitare per quanto possibile l’incertezza. Preferisco mostrare invece l’opera distruttiva dell’uomo – ad esempio, gli incendi dolosi che distruggono territori e vita, o la coltre perenne di smog nelle zone più industrializzate del pianeta – per passare il messaggio che siamo responsabili di quello che avviene, dai cambiamenti climatici all’inquinamento ambientale. E contemporaneamente, far comprendere che non esiste evento più splendido (e, per quanto ne sappiamo, unico!) della vita”.

Quali orizzonti intravedi per la situazione economico politica mondiale di questo particolare momento storico? Su che pianeta si trova l’Uomo?
“Siamo certamente ancora sul pianeta Terra. Ben vincolati, aggiungerei. Nonostante la mia laurea in Scienze Politiche, non mi considero certo un esperto di politica economica, per cui preferisco non ritrovarmi a scrivere banalità; il mio lavoro di divulgazione consiste piuttosto nel far comprendere che una politica spaziale mirata (italiana, europea, globale che sia) porta benefici ben al di là dell’immediato: spazio vuol dire esplorazione, sì, ma con il supporto di scienza e tecnologia. E scienza e tecnologia migliorano la qualità della vita sulla Terra”.
Puoi scegliere una space crew ideale da inviare in orbita a riflettere. Chi? Su quali temi?
“Forse avremmo tutti bisogno di un soggiorno in orbita per riflettere”.
Chi è il tuo eroe?
“I miei eroi? Tutti coloro che ogni giorno, a testa bassa e in silenzio, portano il proprio contributo alla società, senza pretendere nulla in cambio. Ne conosco moltissimi: medici, ingegneri, scienziati, militari, docenti, operai, volontari, madri e padri… la lista è molto lunga”.

Cosa sappiamo dei pianeti extrasolari simili alla terra?
“Ho rivolto questa domanda poche settimane fa al prof. Davide Gandolfi, dell’Università di Torino, che è un esperto in materia, avendo scoperto egli stesso svariati pianeti extra solari – ed è inoltre uno dei miei più cari amici. Al momento sappiamo tutto quello che la tecnologia e l’ingegno umano ci permettono di misurare e dedurre. Ma forse la cosa più importante per noi terrestri è aver capito che esistono, e che non sono neanche rari”.
Puoi dirci qualcosa sulla missione Mars?
“Non esiste una sola missione “Mars”, che io sappia, ma tanti progetti che puntano tutti nella stessa direzione. Il pianeta rosso è tuttora la sfida da superare, un mistero che, più lo si studia, più si infittisce. È normale che il nostro desiderio di poterci un giorno andare sia immutato da decenni. Ecco perché missioni come ExoMars, dell’Agenzia Spaziale Europea (ma con una leadership indiscussa dell’Agenzia Spaziale Italiana) sono così importanti: non abbiamo ancora sviluppato la tecnologia necessaria per mandare esseri umani, ma possiamo fare molti passi avanti inviando prima Rover e Landers che possano indicarci dove andare quando saremo pronti”.
Ci racconti il progetto intercultura, finanziato dai proventi della vendita del tuo libro Volare?
“Intercultura è una ONLUS che permette a giovanissimi studenti di scuola superiore di andare all’estero per studiare in una scuola del paese di destinazione. Nel 1993-94 sono stato borsista negli Stati Uniti, un’esperienza che ancora oggi, a oltre 20 anni di distanza, ricordo con entusiasmo e con la consapevolezza che mi ha cambiato la vita, aprendomi porte e opportunità. I proventi del mio libro Volare hanno permesso a un giovane studente di partire per un anno, e spero che la seconda edizione aggiornata del libro possa dare la stessa opportunità a un altro studente o studentessa meritevole”.
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