“Un libro in salotto” è l’appuntamento letterario ideato e curato da Rossana Russo, giornalista e corrispondente del TG La7 e direttore di SudComunicazioni. Questo quinto appuntamento ha acceso i riflettori sulla corruzione: un tema caldo che il nostro Paese vive e subisce da Nord a Sud, con un dibattito sul libro “La corruzione spuzza“, edito da Mondadori, di Raffaele Cantone – Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, e Francesco Caringella – magistrato e consigliere di Stato. Punto di partenza della loro riflessione è l’analisi della corruzione del Terzo millennio che, come mostrano le inchieste su «Mafia Capitale» e sul Mose, è diversa dal passato, in quanto si è eretta a sistema pervasivo, tentacolare, spietato. Si tratta di un libro per comprendere il cambiamento avvenuto nel settore della corruzione, fortemente invasiva da declinarsi in mille sfaccettature, tra favori, piaceri e collusioni, con un sistema perfetto ben architettato che non lascia scampo. Il dibattito, condotto da Enrico Mentana con Raffaele Cantone, ha visto protagonista Luigi De Magistris – Sindaco di Napoli, il P.M. John Henry Woodcock, il magistrato Aldo de Chiara. “Un libro in salotto”, spiega la Russo “rappresenta un contributo della società civile al dibattito in atto sui temi più disparati del quotidiano ma anche del futuro della città e della regione. Il libro che viene presentato di volta in volta rappresenta una sorta di “innesco” per la discussione che coinvolge le numerose personalità presenti alla serata, ricreando le atmosfere di un salotto privato aperto al confronto tra scrittori e lettori con il contributo di invitati del mondo napoletano e campano delle professioni, delle università e delle istituzioni culturali”.

Il primo cittadino di Napoli Luigi de Magistris ha sottolineato che non parlerebbe di «distinzioni tra corruzione e mafia, poiché la capacità delle mafie di farsi istituzione rende tutto più difficile. La vera questione morale è che molti sono ricattati: oggi la corruzione è cercare di convincere le persone a entrare in un sistema. Non se ne parla, dunque, a sufficienza perché c’è una caduta di tensione morale. Per chi amministra è complicato perché si pone la necessità di agire in campo legislativo: per sconfiggere bisogna fare poche leggi ma chiare. C’è bisogno di chiarezza normativa. Che una città come Napoli possa essere dal punto di vista politico la prua di questa battaglia cercando di prevenire è un segnale importante. Ci sono responsabilità chiare sulla questione morale anche all’interno della magistratura, questo tema va affrontato con più nettezza». «Chi fa il sindaco, dirigente, magistrato deve mettere in conto di poter essere indagato – ha continuato l’ex pm – ma indagato non vuol dire colpevole: bisogna rispettare che chi assuma un ruolo politico amministrativo non deve sentirsi condizionato da un’indagine. Senza avere paura. In un paese democratico la magistratura deve avere la sua totale autonomia. Se l’azione è guidata dall’interesse pubblico e nel rispetto delle leggi non si può avere paura, è una regola etica».
Il sostituto procuratore John Henry Woodcock ha posto il focus sul numero molto basso delle sentenze passate in giudicato per corruzione. E ha rilevato che: «I processi per corruzione non si fanno, non c’è legge sulla prescrizione che regga. Occorre una legge seria di depenalizzazione. Se i processi non si fanno è anche e soprattutto per colpa nostra. E’ più facile giudicare chi si avverte come diverso, distante. Si trova difficoltà a giudicare l’ipotetico padre del compagno di scuola. La corruzione del magistrato è un fenomeno oltremodo odioso, si immagina che il magistrato sia il baluardo della legalità. Io dico che la magistratura ha un grosso problema che è una questione morale. La soglia si è abbassata. Siamo di fronte a una magistratura burocraticizzata, appesantita dal timore dello sbaglio. C’è da una parte una magistratura timorosa e dall’altra una magistratura aspirante: è un grande vulnus. L’idea del rappresentante del pm come eroe senza peccati e macchie è un’idea suadente ma insidiosa, perché in qualche modo ci allontana dalla giurisdizione».

Raffaele Cantone continua: “E’ evidente che il tema vero è quello di un affievolimento del livello di eticità di una parte della magistratura nell’attività ordinaria meno visibile io non credo che si possa pensare che ci sia una magistratura migliore della società civile, non è il tema magistratura a essere rilevate nella corruzione, ma è un tema di carattere sociale e culturale. L’idea che la magistratura debba di risolvere i problemi ha finito per fare un danno. Il nostro compito sarebbe di fare processi in tempi veloci e con rigore. Nei paesi in cui la corruzione è bassa la magistratura non brandisce la spada, ma funziona insieme ad un sistema burocratico. Affrontare il problema solo attraverso la magistratura è la soluzione sbagliata. Stiamo pagando il fatto che siamo usciti da Tangentopoli dando per scontato che il sistema giudiziario aveva eliminato la corruzione. Ma non abbiamo provato a mettere in campo gli anticorpi – ha aggiunto Cantone – non abbiamo fatto i conti con un sistema che superasse quel meccanismo di finanziamento pubblico ai partiti: tutti sappiamo che oggi la politica funziona attraverso le fondazioni e le associazioni e nessuno controlla nulla. Noi continuiamo a non fare i conti con un sistema , la politica comodamente ha delegato tante attività alla magistratura, anche nella scelta della classe dirigente».
È, quindi, un dovere civile rimboccarci le maniche e lottare, con armi nuove ed efficaci. Le regole e il codice penale non bastano. Serve la prevenzione, legislativa, amministrativa e culturale. Ma serve, soprattutto, la ribellione indignata di ognuno di noi di fronte a quella «spuzza» di cui ha parlato Papa Francesco nel suo indimenticabile discorso del 21 marzo 2015.
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