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Tutto lo splendore di Roma a bordo del tram 19, per dimenticare “Spelacchio”

Nei giorni precedenti a Natale il selfie con il triste albero romano è stato d'obbligo per tanti turisti: ma le bellezze di Roma sono ben altre

Irene RanaldibyIrene Ranaldi
Tutto lo splendore di Roma a bordo del tram 19, per dimenticare “Spelacchio”
Time: 6 mins read

La giunta grillina in Campidoglio, ha affermato con orgoglio che grazie al tristemente noto in tutto il mondo albero di Natale soprannominato “Spelacchio”, il turismo attorno a piazza Venezia e quindi nel centro storico romano, è aumentato. In effetti nei giorni precedenti il Natale (l’albero è stato addobbato già secco e morto e con l’avvicinarsi del 25 dicembre ha ceduto di giorno in giorno in vitalità) era facile vedere persone appostarsi sotto i rami essiccati per immortalarsi con l’onnipresente selfie. E’ anche quello che accade per eventi o scenari ben più macabri, come sulle macerie di un terremoto o sullo spiaggiamento di una nave da crociera. C’è poco da stare allegri, ma si sa ad amministrare la Capitale ci sono dei buontemponi diretti da un capocomico, e l’ilarità e le boutade sono pane quotidiano. Il centro storico romano è da tempo oggetto di vari studi che ne sottolineano la ormai perdita di identità per il susseguirsi di chiusure di marchi e botteghe antiche e storiche, in favore di brand globalizzati, di centurioni e gladiatori pronti a proporre foto, di “caldarrostari” ad ogni angolo da cui ignari turisti dovrebbero guardarsi da fare acquisti per non fare la fine di spelacchio, spelacchiati di ogni euro a causa dei prezzi altissimi.

Piazza Venezia a Roma, con Spelacchio e l’Altare della Patria

Va da sé che questa paccottiglia degna di una bolgia infernale, tra via del Corso e piazza della fontana di Trevi lasci il posto alla meraviglia di piazze come Piazza Navona, Piazza del Patheon e Trinità dei Monti. Eppure c’è una enorme Roma, la maggioranza assoluta in termini demografici e spaziali, dove un investimento nel “turismo locale” potrebbe portare milioni di turisti e un forte indotto in termini di ricettibilità turistica, gastronomia, consumi culturali, posti di lavoro nelle professioni legate alla cultura e alla comunicazione ecc. È la Roma delle “borgate ufficiali” nate negli anni Trenta del Novecento sotto il regime fascista di cui abbiamo scritto già su queste pagine (Quarticciolo, Tormarancia, Trullo, Primavalle, Tufello, Pietralata, Tiburtino III, Val Melaina, Gordiani, Acilia), la Roma dell’edilizia degli anni Sessanta legata al “Piano Fanfani” come il Tuscolano II, la Roma borghese degli impiegati dello Stato, centrale, ma non battuta dagli itinerari turistici come il Quartiere Italia, è la Roma set di film del neorealismo di Visconti, Pasolini, Fellini.

Virginia Raggi
Il sindaco Virginia Raggi per la prima volta indossa la fascia tricolore a Roma. (Ph. da Messaggero.it Paolo Caprioli-AG.TOIATI)

Oggi proviamo a fare una esperienza turistica very hard in porzioni di questa Roma appena elencata. Il very hard di questa gita urbana è tutta nella scelta del mezzo: non le gambe, ma a bordo del mitico e scassatissimo (come del resto la quasi totalità del parco mezzi dell’azienda di trasporti pubblici Atac, sull’orlo del fallimento) tram 19. Lo percorriamo da capolinea a capolinea, da piazza del Risorgimento a Piazza dei Gerani a Centocelle. Seguendo le orme del romanzo di Edoardo Albinati che nel 2001 fece lo stesso percorso, romanzandolo: «19  è nato dal vuoto, come si dice fin dalle sue prime righe. Il vuoto è un grande stimolatore della ricerca, la quale talvolta muove i primi passi senza sapere bene cosa stia cercando, e il suo oggetto lo trova (o non lo trova…) cammin facendo. Nel caso del 19 il mezzo non è un destriero come per i cavalieri alla ricerca del Graal, ma il tram che attraversa su binari un bel pezzo della città di Roma. Mentre giravo sul tram e scrivevo, scrivevo e giravo, poco alla volta mi sono reso conto quanto quell’osservatorio semovente fosse una bella, e pura, e semplice, occasione narrativa, poiché col suo procedere sferragliante costituiva da solo l’asse portante del libro – un libretto, un libricino, nemmeno cento pagine, svelto eppure lento, trasognato, come succede a qualsiasi passeggero appeso a una maniglia e scosso a ogni curva: che vede i paesaggi urbani avvicendarsi nei finestroni, e gli altri passeggeri scendere e salire, il tram riempirsi e svuotarsi di gente sempre diversa a seconda dei quartieri attraversati –  e al tempo stesso pensa, ricorda, sogna, si incanta…». La storia della città interagisce profondamente con quella dei suoi trasporti urbani. Il primo servizio di trasporto collettivo urbano a Roma fu un omnibus a cavalli che andava da via Montanara in centro alla Basilica di San Paolo, inaugurato a metà del 1845. Con l’unità d’Italia, crescendo la domanda di trasporto pubblico, altre imprese private cominciarono a gestire diversi percorsi. La prima convenzione tra il Comune di Roma e la “Società romana degli omnibus”, poi Società Romana Tramways Omnibus, per l’esercizio di una rete di trasporti, strutturata sempre su omnibus a cavalli, fu firmata nel 1876. Negli stessi anni cominciarono a svilupparsi le tranvie: la prima concessione a Roma fu quella per il percorso da Piazza del Popolo a Ponte Milvio lungo la via Flaminia, nel 1877, ancora a trazione animale.

La stazione Termini a fine Ottocento
La stazione Termini a fine Ottocento

Le linee erano svariate, tra cui quella che dal 1º novembre 1879 collegava il cimitero del Verano con la Stazione Termini. La prima linea a trazione elettrica fu attivata nel 1895, sul percorso piazza San Silvestro – via Capo le case – Stazione Termini. Nel 1925 viene istituito il Governatorato di Roma che sostituisce il Comune e viene fondara l’Azienda Tramvie del Governatorato. Nel 1944, con la fine della dittatura e il ritorno della città allo status di Comune nasce l’odierna ATAC (Azienda Tramvie e Autobus del Comune). Il 19 fa un percorso lunghissimo, per svuotarsi e poi riempirsi di nuovo a Porta Maggiore, dopo aver attraversato i borghesissimi ed esteticamente bellissimi quartieri Prati, Flaminio, Pianciano, Salario. Da piazza del Risorgimento ecco che il tram risale la Flaminia fino a piazzale delle Belle Arti, poi arriva a Piazza Ungheria  e poi sfocia nel lungo perimetro del cimitero monumentale del Verano, attraversando il quartiere Salario, la zona di piazza Quadrata, la Nomentana con i suoi villini, viale del Policlinico e viale dell’Università, un vero e proprio mondo a parte con fortini universitari delimitati dalle varie facoltà, viale Liegi, viale Regina Margherita, viale Regina Elena. E’ possibile attraversare Ponte Giacomo Matteotti, che prese ovviamente il nome dopo che il segretario del partito socialista unitario venne ucciso dalla barbarie fascista nel 1924, e da li entrare sferragliando sulle rotaie in quello che, toponomasticamente, è il primo quartiere di Roma, il quartiere Flaminio.

Chiesa di Sant’Andrea, quartiere Flaminio a Roma

Dai finestrini del tram si può vedere le architetture liberty del vicino “quartiere Coppedè” sul quale torneremo prossimamente per un articolo dedicato, set del fim horror “Inferno” di Dario Argento. E poi ancora, la zona di Porta Pinciana, quella del Salario e del bioparco e delle varie Accademie di cultura a Roma e della bellissima, e poco visitata rispetto alle collezioni che offre, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Con un giro interminabile, dopo circa mezz’ora da piazza del Risorgimento il 19 ci porta laddove di colpo tutto lo scenario cambia: piazza di Porta Maggiore. Ci troviamo da subito tra il romanzo di Albinati, che da osservatore attento qual è già dai primi anni Duemila registrava come la città iniziava a colorarsi di altre culture. Ma ci troviamo anche nella Roma di “Ragazzi di vita” di Pasolini, perché questo viaggio, ma a ritroso partendo dalle borgate per venire in centro a provare a raggranellare qualche spicciolo, con piccoli furti o prestazioni sessuali, lo fanno anche Riccetto e i suoi amici.

Edito nel 1955, “Ragazzi di vita” è il primo romanzo di Pasolini e nasce dall’impatto dello scrittore con la realtà della periferia di Roma, impatto destinato a lasciare, direttamente o indirettamente, il segno su tutta la sua successiva produzione letteraria e cinematografica. Quelli che racconta Pasolini sono i ragazzi del sottoproletariato romano, nei quali lo scrittore, al di là della miseria e della violenza, riconosce una primordiale vitalità non intaccata né dal perbenismo borghese di quegli anni né dalla azione omologatrice del neocapitalismo e del consumismo di massa. Questi sono quindi i “ragazzi di vita”: tutti giovanissimi e quasi tutti identificati non da un nome ma da un soprannome, si muovono fra le borgate della Roma dell’immediato dopoguerra e dei primi anni Cinquanta dove, accanto alle baracche abitate dagli sfrattati dal centro storico e da sfollati ed emigrati provenienti da mezza Italia, hanno già iniziato a sorgere i primi orrori della speculazione edilizia. Per i “ragazzi di vita” il centro della città è un altro mondo, distante in tutti i sensi e teatro di occasionali incursioni per qualche furto, per qualche “marchetta”, oppure quando decidono di andarsi a divertire “dentro Roma”. Non si può nemmeno immaginare – se ancora oggi lo appare – quanto potesse sembrare distante la “città” dalle borgate nei giorni in cui scriveva Pasolini. Anche oggi l’esperienza è quella di una vera a propria gita urbana con attese lunghissime e frequenti danni sulla linea o sui mezzi che, mediamente, hanno più di quaranta anni. Da Porta Maggiore tutto cambia, si va sulla Prenestina ed ecco intravedere il Pigneto, Villa Gordiani, Tor Tre Teste, il Quarticciolo (anche se non li attraversa, sono li a due passi) fino al capolinea a piazzale dei Gerani a Centocelle. Tutte borgate disseminate da ruderi romani, tronconi di acquedotti, ville e archi che appaiono solitari tra palazzoni anonimi e severi li a testimoniare la loro solitudine. Dalla Roma borghese alla Roma Popolare e viceversa un’esperienza di turismo totalizzante che una municipalità come Roma dovrebbe promuovere e valorizzare, ma non riesce nemmeno attualmente a far allontanare i camion bar che deturpano la godibilità visiva dei monumenti o a metter un freno ai “gladiatori” che chiedono decine di euro a sprovveduti turisti per una fotografia. Figuriamoci se pensino lontanamente alle innumerevoli risorse a soli cinque o sei chilometri da Spelacchio. A Roma lo fa però l’associazione culturale Ottavo Colle pioniera nel turismo nelle periferie.

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Irene Ranaldi

Irene Ranaldi

Irene Ranaldi è dottore di ricerca in teoria e analisi qualitativa presso la facoltà di Sociologia della Sapienza di Roma. È presidente dell’associazione culturale "Ottavo Colle" che promuove il turismo locale nei quartieri periferici delle città. È giornalista, ha svolto ricerche principalmente sul rapporto tra identità locale e mutamento sociale e ha pubblicato numerosi articoli in riviste scientifiche su temi riguardanti la sociologia urbana, con un particolare focus su gentrification e trasformazioni urbane e sul rapporto tra globalizzazione e città. È autrice di "Testaccio, da quartiere operaio a village della capitale" (Franco Angeli 2012), "Gentrification in parallelo. Quartieri tra Roma e New York" (Aracne 2014) e "Passeggiando nella periferia romana. La nascita delle borgate storiche" (Iacobelli 2018)

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