La missione di Andrea Orlando a New York si era aperta martedì all’ONU con un intervento importante in memoria di Giovanni Falcone: un attacco a quei “Paesi che non cooperano a livello internazionale” e che “volontariamente o involontariamente sono complici delle mafie transnazionali”. Ma il Ministro della Giustizia non rivelava con chi ce l’avesse. Quindi la nostra domanda alla conferenza stampa era scontata: ma chi sono questi Paesi? La risposta ci è arrivata mercoledì 20 giugno, presso la sede permanente della Missione Italiana alle Nazioni Unite. Un evento che, assieme all’incontro pomeridiano di Orlando al Consolato Generale d’Italia, ha chiuso l’intensa 2 giorni del Ministro a New York.
Durante la conferenza stampa, Orlando ha innanzitutto ribadito i concetti già espressi alle Nazioni Unite. La velocità con cui la criminalità organizzata sia riuscita e stia riuscendo a fare rete in modo internazionale è molto più elevata delle contromosse prese dai singoli Stati, limitati da vincoli normativi e resistenze ideologiche. Per questo motivo, non c’è più tempo da perdere: “Giovanni Falcone era stato il primo a predire che l’abbattimento delle barriere linguistiche avrebbe rafforzato il potenziale delle mafie – ha dichiarato durante la conferenza stampa. E a distanza di anni possiamo dire che aveva ragione”. Poi ha evidenziato la necessità di rinnovare e adeguare la convenzione di Palermo, questione su cui l’Italia è in grande sintonia con la Francia. Due le criticità principali. La prima, la questione dei fondi. Perché lottare contro la criminalità transnazionale significa spendere e quando si deve spendere, le divisioni ci sono sempre: “C’è un problema, se questa nuova implementazione debba gravare totalmente sul bilancio ONU o possa esserci un finanziamento misto tra Paesi aderenti e Nazioni Unite”. Posizione, la seconda, che vede l’Italia favorevole. Ma non solo: si dibatte anche “sulla partecipazione delle ONG nella fase di revisione del testo, perché alcuni Paesi non hanno piacere che ci siano”.
Alla domanda della Voce di New York su quali fossero, invece, gli Stati inconsapevolmente o consapevolmente complici delle mafie con il loro atteggiamento ostile alla cooperazione internazionale, il Ministro ha provato ad evitare incidenti diplomatici. E ha spiegato: “Dobbiamo classificarli secondo tre fasce: da una parte gli Stati in cui le mafie hanno un peso significativo e quei Paesi in cui si tutelano particolari regimi fiscali, che agevolano forme di riciclaggio del denaro di provenienza illecita”. Ma non solo: dall’altra ci sono anche “quei Paesi che pur portando avanti una politica comune su questo fronte hanno delle difficoltà a costruire una dimensione sovranazionale”. E qui il riferimento, questa volta senza remore, è all’Unione Europea: “Abbiamo fatto una battaglia per la costituzione di una procura europea, che avesse poteri anche nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata, e questa battaglia ha avuto una fortissima resistenza da parte di molti Paesi”. Anzi, “direi di quasi tutti i Paesi” dell’UE, ha ribadito Orlando. Una grave conseguenza del fatto che sul “tema della cessione di sovranità nell’ambito del diritto penale ci sia una resistenza fortissima”.
I destinatari dell’attacco di Orlando alle Nazioni Unite, insomma, non erano gli Stati Uniti di Donald Trump. Ma i rapporti tra la nuova amministrazione USA e il Governo italiano anche in materia di giustizia non sono comunque tra i migliori. Ne avevamo avuto una prova qualche mese fa a Washington. Ne abbiamo avuto una ulteriore conferma durante la missione di Orlando. In sei mesi, il Ministro della Giustizia non ha mai incontrato il suo pari statunitense al Dipartimento di Giustizia americano, Jeff Sessions. E alla richiesta fatta dai giornalisti, se le posizioni della nuova amministrazione USA in termini di scambio di informazioni e di dati tra Paesi alleati, possano cambiare qualcosa, Orlando è stato chiaro: “Avevamo stretto rapporti molto positivi con la Attorney General Loretta Lynch, con un livello di cooperazione molto forte – ha detto. Oggi però non siamo in grado di capire se quella linea proseguirà o se invece si è interrotta, anche perché non ci sono stati più incontri formali con gli Stati Uniti”.
La conferenza stampa si è focalizzata anche su temi nazionali: lotta alle mafie, sovraffollamento delle carceri e riforma del codice penale. Una legge, quest’ultima, approvata in via definita in Parlamento, e sulla quale dal Ministro Orlando è arrivata una promessa. Radio Radicale, nel corso della conferenza, ha chiesto quando i decreti delegati nella parte legata alla riforma penitenziaria verranno emanati e il Ministro ha preso l’impegno “di riuscire a chiudere questa partita entro il mese di agosto”. Una promessa importante, ancor di più in giorni come questi, in cui la coordinatrice della presidenza del Partito Radicale Rita Bernardini è impegnata in uno sciopero della fame – non senza conseguenze -, per chiedere di scandire i tempi del governo sull’attuazione del DDL penale approvato di recente. Che bastino le parole del Ministro per fermare lo sciopero? Staremo a vedere.
Mercoledì, intanto, la missione di Andrea Orlando a New York si è conclusa al Consolato Generale d’Italia. Un’iniziativa aperta dal Console generale Francesco Genuardi, alla quale hanno presenziato i rappresentanti eletti della comunità italiana, il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Giorgio Van Straten, il direttore dell’Italian Trade Agency ICE Maurizio Forte, e il direttore della Banca d’Italia a New York Giovanni D’Intignano. Un incontro in cui il Ministro ha fatto il punto sui provvedimenti adottati negli ultimi quattro anni da parte degli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni: dalla revisione dell’organigramma generale (che risaliva al 1861) alla deflazione del carico del contenzioso civile (da più di 5 milioni di fascicoli aperti a più di 3,5), dalla revisione organica del processo civile, alla diminuzione dei procedimenti complessivi del 7%: “Credo sia importante raccontare il cambiamento in atto, senza invenzioni e senza propaganda – ha dichiarato nel suo intervento Orlando. La giustizia italiana non è come quella che vorremmo, ma negli ultimi 5 anni è passata dalla bassa classifica alla zona salvezza”. Secondo il Ministro bisogna anche sfatare un luogo comune: “Basta dire che non si può investire perché la giustizia civile è lenta in tutta Italia, bisogna valutare distretto per distretto: ci sono delle aree dove la performance è elevatissima e altre in cui si deve migliorare e stiamo provando a farlo. Ma non bisogna generalizzare, perché la giustizia italiana non è più – secondo il Ministro – quel macigno che pesa sulla competitività del Paese”.
Un fatto questo, che però dovrà essere compreso e fatto comprendere alle imprese, e trovare conferma negli investimenti. Perché oggi le aziende italiane e quelle straniere ci pensano bene due volte prima di investire in Italia, timorose della burocrazia ma anche del fatto che in caso di inadempienze nei pagamenti, i tempi della giustizia possano essere troppo lunghi. Sono decine e decine, i casi in cui questo timore si è concretizzato e si concretizza tutt’oggi in realtà. E Orlando, in questo senso, ha evidenziato la bontà “dell’istituzione del Tribunale delle Imprese“. Una sezione specializzata in materia di impresa, istituita presso i Tribunali e le Corti d’Appello con definitiva emanazione nel gennaio del 2012: nel corso della legislatura, il Ministero ha investito molte energie nel miglioramento del Tribunale delle Imprese e Orlando ha sottolineato come “la sede di Milano, ad esempio, sia oggi un fiore all’occhiello per la capacità di risolvere i processi che riguardano le imprese in tempi adeguati”. Una strada importante, quella tracciata dal lavoro dei tribunali delle imprese, che però dovrà essere perfezionata costantemente, per stimolare gli investimenti e non far scappare (ancora) gli imprenditori dal Belpaese.