In Sicilia c'è una nuova mattanza, una nuova strage, ma con radici antichissime, che fa più vittime della mafia, alla quale nessuno può assistere indifferente. È il femminicidio, l'odio assassino da parte di un uomo padrone che non tollera di perdere la "sua" donna. L'ultima morte, appena due giorni fa a Palermo, dove è stata uccisa una ragazza di 25 anni, Rosi Bonanno, che non voleva più stare con il suo compagno aguzzino e contro di lui aveva presentato anche due denunce per violenze. Inutilmente.
Sono 17 le donne uccise dall'inizio dell'anno in Sicilia, tre solo a Palermo, sicuramente di più degli omicidi di mafia. Insisto su questo paragone mafia-femminicidio perché come al solito c'è qualcosa che non torna e vale la pena di riflettere senza gridare allo scandalo o tirare facili conclusioni.
La procura di Palermo conta una settantina di sostituti procuratori, metà dei quali impegnati quasi del tutto a tempo pieno contro Cosa nostra. Quali sono i risultati? Guardiamo i fatti. Da almeno un paio di anni a questa parte, tranne alcune considerevoli eccezioni soprattutto sul fronte del riciclaggio, le inchiesta ci consegnano sempre la stessa fotografia della mafia contemporanea. Un manipolo di picciotti semi analfabeti, comandati dal macellaio o dal cassamortaro di turno, che non riescono a mettere in piedi un solo vero affare. Elemosinano 100 euro dal commerciante della borgata, vivono di pizzo miserabile e non riescono a pagare nemmeno gli stipendi alle famiglie dei detenuti. Finalmente, è il caso di dire. Se la mafia si è ridotta a questo, allora una lotta che sembrava impossibile è stata vinta. Non sono affatto sicuro che sia così, anzi. Continuiamo a non sapere nulla dei movimenti finanziari dei boss imprenditori, delle loro complicità con i professionisti, né tantomeno conosciamo un solo mandante dei tanti omicidi eccellenti, da quello di Piersanti Mattarella, fino a Paolo Borsellino. Conosciamo soltanto i nomi di delinquenti di mezza tacca e nel frattempo sono spuntate nuove emergenze, come le stragi delle donne, oppure la corruzione nella pubblica amministrazione, nuovo e vecchio cancro della Sicilia.
Una presa di coscienza, ad iniziare dalla stampa e dai mezzi d'informazione, sarebbe fondamentale. Anche nell'ultimo omicidio, quello della ragazza palermitana, è emerso un dato. Le sue denunce, per un motivo o per un altro, non sono riuscite ad evitare la tragedia. Già si leggono le giustificazioni. "Siamo in pochi ad affrontare un fenomeno ormai dilagante" , dicono gli inquirenti. E allora qualcosa deve cambiare.