Il giornalismo come lo conosciamo noi e come funziona da un secolo è morto. E quello che verrà, se verrà, dovrà cambiare pelle se vorrà sopravvivere. E non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Il processo di trasformazione è in corso in tutto il mondo, in America, come in Italia. Ma da noi nessuno ne parla, forse per non spaventare il mercato pubblicitario. Come al solito la realtà è coperta da una strato enorme di mistificazione. Ancora sui quotidiani si leggono articoli modello Inculpop (il ministero della propaganda fascista), con dati che illustrano ricavi e vendite. Alcuni perfini trionfalistici. Ne ho letto uno pochi giorni fa su Repubblica e diceva che tutto sommato il gruppo tiene, grazie anche alle edizioni on line. Piccolo particolare, le copie sono sotto quota 300 mila, dieci anni fa erano quasi il triplo. I numeri sono numeri, perchè camuffarli?
I quotidiani sono in picchiata perchè questo genere di contenitore non funziona più. La prova? Domandate ad un ragazzo sotto i 30 anni se è disposto a pagare 1 euro e 40 per comprare un giornale. Vi risponderà che non se ne parla nemmeno. L'informazione ormai è a costo zero, nessuno è intenzionato a pagare per sapere come vanno le cose nel mondo. Le notizie devono essere gratis ed a portata di cellulare, tablet, perfino il pc sembra avere fatto il suo tempo. Funzionano i siti, gli on-line, ma la carta è retaggio del secolo scorso. E dunque cosa fanno gli editori italiani per rendere più appetibili i giornali? Aumentano il prezzo. Ogni agosto, quando l'attenzione cala e ci si dedica ai tuffi, i quotidiani aumentano puntualmente di 10 centesimi. Intorno il silenzio, nessuno che tenti un'analisi, azzardi un'ipotesi di cambiamento. Anzi, i giornali sono morti? Viva i giornali.
Prendiamo il nuovo contratto di lavoro appena varato in Italia dopo trattative estenuanti tra il Sindacato dei giornalisti e la Federazione degli editori. Ci dovrà traghettare nella nuova era, quando tra qualche anno le edizioni on line supereranno quelle su carta. Bene, il contratto introduce il cosiddetto equo-compenso che prevede sulla carta un pagamento dignitoso, minimo 30 euro a pezzo, per i collaboratori stabili, quelli che scrivono almeno 150 pezzi all'anno, circa 13 al mese. Tutti contenti dunque. E invece attenzione, bisogna leggere tra le righe. Gran parte delle aziende editoriali non potrà permettersi un simile esborso per pagare i collaboratori. E dunque taglieranno, già in tanti quotidiani sono in corso le grandi manovre per il prossimo autunno. Resteranno sul libro paga solo i collaboratori più fidati, quelli a cui non si può dire di no. Gli altri a casa. Risultato: meno firme, meno pagine, meno articoli, più notizie di agenzie che sono uguali per tutti i giornali. Un prodotto uniformato, conformista, non il massimo quando bisogna recuperare spazi di mercato.
In Italia gran parte dei giornali, soprattutto quelli locali, sono scritti da collaboratori, mentre gli assunti si occupano dei titoli e dell'impaginazione. Con la stretta prevedibile introdotta dall'equo compenso (una norma sacrosanta che serviva paradossalmente a tutelare una categoria senza diritti), molti giovani colleghi resteranno senza lavoro. I giornali con meno firme, affronteranno inevitabilmente meno temi, le cronache locali, il settore dove lavora la percentuale maggiore dei precari, saranno ridotte al minimo. Tutto questo nel periodo di crisi più nera, con le copie in picchiata e l'assalto dei siti. Fare le cassandre è sempe un esercizio sgradevole, ma adesso è da kamikaze mettere la testa sotto la sabbia.
Per continuare ad esistere il giornalismo ha bisogno di tutto meno che di conformismo e uniformità. Bisogna trovare i lettori, offrendo prodotti diversi e intriganti. Non ne vedo molti in giro. Quello che abbiamo saputo inventare è la colonna di destra dei giornali on line. Dove si vedono autogol in rovesciata, struzzi sui marciapiedi e cani che cantano.