«Sarebbe una svolta politica sismica», ha titolato il New York Times per commentare la possibilità che la Corte suprema Usa adotti l’orientamento restrittivo in materia di aborto, anticipato alla stampa con la fuga di notizie. Quali le probabilità che accada? La posizione sembra condivisa dai cinque giudici “conservatori” che sono la maggioranza.
L’evento che ha riacceso lo scontro sull’interruzione di gravidanza è di per sé sconcertante, senza precedenti: perché vi è stata la diffusione arbitraria di un atto interno. Lo scoop ha fatto conoscere ciò che doveva rimanere riservato, riguardando i lavori della Corte e la formazione delle decisioni. Cioè il parere scritto dal giudice Alito come bozza di discussione in vista della decisione che la Corte dovrà prendere a breve sulla questione, riproposta al suo vaglio.
Il testo poi è altrettanto sorprendente per il contenuto: rappresenta il ripensamento della linea adottata 50 anni fa in America, a partire dalla sentenza Roe contro Wade del 1973, confermata anni dopo, nel 1992, con la sentenza Planned Parenthood contro Casey.
Si tratta delle pronunce nelle quali è riconosciuto il principio costituzionale di autodeterminazione della donna nell’interruzione di gravidanza, con la possibilità di accedervi senza restrizioni “di principio”. «La Roe vs Wade» – questa l’osservazione centrale di Alito – «fu mal concepita» e profondamente sbagliata, in quanto «fondata su di un diritto non menzionato dalla Costituzione».
Il modo in cui la questione è (ri)emersa (la fuga di notizie) ha sollevato domande immediate sulle ragioni per cui il documento è stato fatto trapelare (gettare discredito sulla Corte?) e sulle ricadute politiche in vista delle elezioni di medio mandato a novembre (ci sarà una polarizzazione nello scontro tra democratici e repubblicani: chi trarrà vantaggio da questa polemica?).
Soprattutto la prospettiva di un cambio di passo radicale (stravolgimento dell’orientamento giurisprudenziale) ha scosso il Paese sul piano delle conseguenze sociali e delle implicazioni di principio. Si torna ad interrogarsi su questioni di non poco momento, come l’ampiezza e i contenuti dei diritti di libertà individuali, il rapporto tra principio di autodeterminazione della donna e sistema di garanzie costituzionali. Aspetti però che nel mondo liberale sembravano definiti.
Rivedere manifestazioni di piazza e cartelli sulla libertà di decidere del proprio corpo, assistere a rivendicazioni di diritti elementari nel più grande paese di democrazia occidentale ha uno strano sapore, riporta indietro le lancette della storia, ci proietta in un passato che, almeno per grandi linee, appariva superato, anche se – lo sappiamo – infinite sedimentazioni conservatrici sono presenti ovunque. In molti Stati americani e in vasti settori di quell’opinione pubblica, come da noi.
Quello strano “sapore” di antico deriva dall’inattualità rispetto alle conquiste di emancipazione, e anche da “stonature” evidenti in questa fase, quasi dissociazione emotiva e razionale davanti ad altre sfide drammatiche da affrontare: la pandemia ancora presente, soprattutto la tragedia dell’Ucraina.
Ma la vicenda, oltre le apparenze, evidenzia una problematica attuale, che riguarda tutti, non solo l’America, e si manifesta nella sua tragicità. I sistemi costituzionali democratici sono fragili, hanno bisogno di cura costante, devono fronteggiare il pericolo continuo di derive oltre la legalità. Le incognite sono evidenti oltre Atlantico.
Questa potenziale decisione verrebbe adottata da una Corte che presenta, come detto, una maggioranza conservatrice, circostanza di per sé non inconsueta né anomala nell’alternarsi degli orientamenti dei giudici nominati dai presidenti. Sennonché in questo caso la composizione è influenzata da un “incidente” costituzionale che mina la credibilità dell’organo. Uno dei giudici (un progressista) doveva essere nominato dal democratico Obama, ma il Senato controllato dai repubblicani rifiutò – pretestuosamente – di prendere in considerazione il candidato. Ciò dette la possibilità a Donald Trump di nominare ben tre giudici (conservatori).
La revoca del principio della tutela costituzionale del diritto all’aborto lascerebbe la questione in mano ai singoli Stati: la legislazione locale, soprattutto al Sud e nel Midwest, è fortemente condizionata da tendenze reazionarie in materia di famiglia, diritti delle donne, assistenza sanitaria. L’aborto risulterebbe praticamente impossibile in molte parti d’America per le restrizioni già in atto o possibili ove mancasse il riconoscimento costituzionale del diritto, mentre la povertà e l’ignoranza renderebbero precaria o nulla l’eventualità di recarsi negli Stati più liberali per accedervi: emergerebbe insormontabili ostacoli materiali.
Non è ancora tutto. Anzi. La più consistente anomalia della possibile retromarcia nella consolidata giurisprudenza americana è quella che concerne proprio le argomentazioni giuridiche del giudice Alito, i motivi del suo convincimento su temi cruciali dell’impianto normativo del Paese, come l’individuazione dei “beni” di rilevanza costituzionale e la definizione dei principi di fondo del sistema.
C’è da tenere conto – per contestualizzare – della specificità del sistema americano, ispirato alla ripartizione delle materie da disciplinare tra legislazione federale e statale, e al ruolo della Corte suprema come giudice risolutore di casi pratici e interprete della carta costituzionale secondo le regole della common law, quindi del precedente vincolante, dello “stare decisis”, come diremmo secondo il diritto romano.
Ebbene nulla impedisce ai singoli Stati americani di regolare la materia, e quindi di disciplinare a modo proprio l’accesso all’aborto, ma è decisivo che la Corte suprema con le sue pronunce riconosca o meno che si tratti di un diritto previsto dalla Costituzione vigente. Solo in tal caso sono illegittime le eventuali restrizioni di principio (il “se” abortire) e i singoli Stati non possono frapporre ostacoli di questo tipo, devono uniformarsi al criterio generale stabilito.
Tale era la situazione riconosciuta dalle sentenze Roe e Planned, che oggi rischia di essere stravolta con l’affermazione del giudice Alito, secondo cui il diritto di aborto non è riconosciuto dalla Costituzione degli USA.
In particolare non potrebbe rientrare a suo avviso nella tutela prevista dal 14° emendamento – presidio delle libertà civili e politiche – che tra l’altro recita: «Qualsiasi Stato (non potrà) privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi».
L’aborto dunque non sarebbe un diritto tutelato dalla Costituzione perché non raccordabile alla nozione di “libertà della persona”. Tuttavia, stupefacente è la motivazione addotta da Alito per giustificare l’assunto: «quell’emendamento è stato introdotto in un’epoca (1868 ndr) in cui neanche si discuteva di aborto», scrive senza remore Alito.
L’infortunio in cui incorre il relatore è giuridico, non sociologico. È certamente vero che nell’’800 non si parlava pubblicamente di aborto. Ma ciò non basta per escludere che il 14° emendamento possa costituire l’ancoraggio normativo della materia. L’errore sorprendente per il giurista è quello di negare che la norma sia regola generale e astratta, scritta non già a titolo di riassunto del passato, ma come proiezione verso il futuro, principio in grado di disciplinare nuove realtà secondo le pratiche di interpretazione delle norme giuridiche adottate ovunque.
Si può discutere sul significato odierno della nozione di libertà, e sui suoi contenuti, non sul principio che ciò debba essere fatto dall’interprete, nello sforzo di raccordare passato e presente, dare attuazione a principi antichi, scoprirne le implicazioni nuove che i cambiamenti sociali rendono attuali.
La vicenda mostra che i diritti (in questo caso delle donne) non sono mai al sicuro, possono essere facilmente revocati. Anche quando sono in vigore per anni. E, se affermati, possono rimanere sulla carta. Accade quando manca l’effettività dei principi, la messa in pratica delle regole (a questo proposito: là dove previsto il diritto, le cliniche garantiscono l’aborto adeguatamente? Esiste un’assicurazione sanitaria per le spese? Le procedure sono abbinate al sostegno al reddito e all’infanzia?).
«La lezione – scrive Nancy Fraser, filosofo, femminista americana – è che il mantenimento delle libertà duramente conquistate richiede sforzi continui». La questione delle libertà investe ogni settore e incombe a livello internazionale, come abbiamo visto con il disordine eversivo della presidenza Donald Trump, le restrizioni della pandemia e ora le ripercussioni della brutale invasione russa in Ucraina.
La possibilità di perdere le nostre libertà è fin troppo reale. È evidente anche nelle scelte private. «Autonomia personale e autonomia pubblica sono due facce della stessa medaglia», avvertiva il filosofo Jürgen Habermas.