La probabile revoca della storica sentenza ‘Roe vs Wade’ con cui nel 1973 la Corte Suprema riconobbe il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti infiamma la politica americana e cambia i piani per le future battaglie politiche. Per i Democratici nell’immediato la posta è quella di puntare alle legislazioni statali in modo da poter far passare leggi locali per proteggere il diritto delle donne ad interrompere la maternità. La prima possibilità sarà a novembre, quando si voterà per le elezioni di Mid Term per il rinnovo dell’intera Camera e 33 seggi del Senato. Queste elezioni dovranno rinnovare anche 33 governatori e in 46 Stati deputati e senatori locali. Le nuove legislature potranno varare leggi locali in difesa dei diritti sull’interruzione della gravidanza. Saranno però questi organismi territoriali a decidere sulla libertà di aborto.
Ieri sera una trentina di senatori democratici si sono uniti ai manifestanti sui gradini del Campidoglio per dichiarare il loro sostegno al diritto di interrompere la maternità, dopo che martedì era trapelata la bozza della sentenza della Corte Suprema scritta dal giudice Alito in cui si afferma che la decisione sull’aborto non spetta al governo federale ma ai singoli Stati.
I democratici hanno accusato i repubblicani di aver volutamente creato una maggioranza all’interno della Corte Suprema per porre fine alla protezione federale del diritto all’aborto ribaltando la decisione della sentenza Roe v. Wade. Hanno parlato di una generazione di donne che probabilmente avrà meno diritti riproduttivi rispetto alle loro madri e hanno promesso di ritenere responsabile ogni senatore. Nel mirino della contestazione c’è soprattutto il leader della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, che pur di arrivare a ribaltare la Roe vs Wade, ha permesso tutto all’ex presidente Donald Trump, salvandolo da due impeachment.
Il presidente della commissione giudiziaria del Senato, il democratico Dick Durbin ha ribadito che l’unico modo per proteggere il diritto all’aborto è quello di eleggere più democratici al Congresso a novembre. “Senza una solida maggioranza non riusciremo a far passare la legge federale che codifichi questo diritto delle donne”, ha detto il senatore.
La Camera lo scorso settembre ha approvato con 218 voti favorevoli e 211 contrari il Women’s Health Protection Act, con un democratico, il rappresentante del Texas Henry Cuellar – che ha il sostegno del DCCC alle primarie contro uno sfidante pro-aborto – che ha votato no. Nessun repubblicano ha sostenuto la legislazione, che comunque è passata. Al Senato, il disegno di legge non è riuscito ad infrangere l’ostruzionismo, con Manchin che si è unito ai repubblicani all’opposizione.
Da quando il presidente Biden è entrato alla Casa Bianca quasi un anno e mezzo fa questa storia si è ripetuta più volte: con il diritto di voto, la riforma della polizia, il cambiamento climatico e la spesa per migliorare gli aiuti sociali. Ora, è il diritto all’aborto. E la frustrazione per il mancato raggiungimento, o mantenimento, dei traguardi sociali, si trasforma in rabbia. Il leader della maggioranza democratica al Senato, Chuck Schumer, ha detto che metterà al voto la prossima settimana la legge approvata dalla Camera per costringere i repubblicani ad assumersi le proprie responsabilità davanti all’elettorato.
Renee Bracey Sherman del gruppo per i diritti all’aborto We Testify era alla dimostrazione davanti il palazzo della Corte Suprema. Ha detto che i legislatori invece di limitarsi a condannare devono esporre i piani di cosa verrà fatto effettivamente per proteggere i diritti all’aborto. “Abbiamo chiesto al presidente di parlare con tutti noi, parlare della crisi dell’aborto e darci un piano sulle misure che intende presentare per contrastare l’offensiva repubblicana”, ha detto Bracey Sherman.
Altri attivisti stanno sfogando frustrazioni simili. “Di volta in volta, abbiamo visto i Democratici usare i diritti dell’aborto come una questione elettorale e non mantenere le loro promesse di proteggere ed espandere il nostro diritto alla libertà riproduttiva”, ha affermato Anallia Mejia, co-direttore esecutivo del Center for Popular Democracy. “Meritiamo una leadership che rappresenti la stragrande maggioranza degli americani che credono che l’aborto deve essere accessibile e alla portata di tutti coloro che ne fanno richiesta”.
Ma c’è poco che i Democratici possono fare in questo momento per risolvere la situazione. I sondaggi hanno costantemente dimostrato che la maggioranza degli americani sostiene il diritto all’aborto. Un recente sondaggio del Washington Post ha rilevato che gli elettori sono favorevoli a mantenere l’attuale status quo. Ma questo massiccio sostegno non è sufficiente per superare le stesse divisioni politiche che hanno impedito ai Democratici di approvare la maggior parte delle priorità che si erano preposti.
I repubblicani cercano di schivare le loro responsabilità puntando il dito sul modo in cui è trapelata la notizia pubblicata da Politico. Una “soffiata” che li ha messi in pessima luce nei confronti del Paese. Chiedono indagini dell’Fbi, la nomina di un procuratore speciale. Parlano della violazione della “santità” della giustizia. Finora solo gli US Marshall stanno indagando. Il giudice Samuel Alito, che ha redatto la bozza della decisione ha ricevuto numerose minacce. Ieri ha cancellato la sua partecipazione ad un convegno.
I MAGA (Make America Great Again) festeggiano. Nel mondo trumpiano l’abolizione del diritto delle donne all’aborto rappresenta una grande vittoria, conseguenza delle scelte fatte dall’ex presidente per i giudici della Corte Suprema.
“Un presidente che ha perso le elezioni con più di 3 milioni di voti è stato in grado di dare un cambiamento alla società che durerà per molti anni. E questa sarà la sua eredità sociale” ha affermato Amanda Hollis-Brusky, professoressa di politica al Pomona College di Claremont, California.