Ferdinando Cionti è avvocato a Milano ed è stato professore di Diritto Industriale per il Management presso l’Università di Stato di Milano Bicocca. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Napoli nel 1960, ha iniziato subito la pratica professionale a Milano. Dal 1960 al 1970 ha collaborato con celebri avvocati, quali il prof. Giandomenico Pisapia, Mario Luzzati e il prof. Remo Franceschelli. Negli anni Settanta, fonda lo “Studio legale Cionti”.

Nella sua ultra-quarantennale attività l’avv. Cionti ha maturato esperienze in quasi tutti i settori del diritto civile e anche in alcuni settori del diritto penale, ma, coerentemente ai suoi interessi scientifici, si è sempre occupato e ancora si occupa, prevalentemente, di proprietà intellettuale. Ferdinando Cionti a suo tempo era stato incaricato da Bettino Craxi di verificare se la Procura di Milano, nei giorni convulsi di Tangentopoli, avesse commesso illegalità, compito che ha portato a compimento.
La prima domanda che Le faccio è: a seguito di due suoi libri Il colpo di Stato e Il patto segreto di Tangentopoli fra Pool e Pds ci sono state reazioni da parte della Procura di Milano e dagli eredi del Pds? E se si di che genere?
“No, nessuna reazione di nessun tipo”.

La tesi sul colpo di Stato è stata sostenuta nel 1998 anche da Stanton H. Burnett con The Italian Guillotine: Operation Clean Hands and the Overthrow of Italy’s First Republic la conosce?
“All’epoca della pubblicazione me la segnalò Bettino Craxi, ma non riuscii ad avere una copia del libro”.
Non ritiene che le improvvise dimissioni di Francesco Cossiga subito dopo le elezioni politiche del ’92 che, nonostante tutto, confermarono la maggioranza al pentapartito contribuirono a far scivolare la crisi della Prima Repubblica?
“Certamente ed in modo considerevole! Alle elezioni del 5 aprile il Psi ebbe una lievissima flessione, insignificante in sé, ma in significativo contrasto con le previsioni di un consistente incremento, in seguito all’implosione dell’URRSS. Evidentemente la vicenda Mario Chiesa e le indiscrezioni sapientemente fatte circolare avevano avuto effetto. Quanto alle dimissioni di Cossiga, basta ricordare che aveva mandato i carabinieri al Csm che si rifiutava di adempire il suo ordine di cambiare l’ordine del giorno. Quindi un osso durissimo in meno. Due avvenimenti che sicuramente incoraggiarono la Procura di Milano a continuare a procedere segretamente (con indiscrezioni) ed illegalmente contro Craxi. Ma l’avvenimento decisivo che convinse definitivamente la Procura fu il patto di reciproca copertura che il 16 aprile successivo stipulò con il Pds”.
Nel libro Compagni di scuola. Ascesa e declino dei postcomunisti di Andrea Romano a pag. 70 Massimo D’Alema afferma: “non avevamo alternative, eravamo come una grande nazione indiana chiusa tra le montagne, con una sola via d’uscita, un canyon, e là c’era Craxi con la sua proposta di unità socialista; in sostanza un progetto annessionistico”. Non era l’unità socialista di Craxi il prezzo giusto da pagare per gli ex comunisti?
“Sulla posizione in merito di d’Alema ho trascritto e commentato un lungo brano della sua autobiografia nel mio libro Il patto segreto di Tangentopoli tra Pool e Pds, pag. 80, dove ho motivato la mia convinzione che l’alleanza (poiché di questa si trattava, non certo di incorporazione) con il Psi non sarebbe stata soltanto un prezzo accettabile, ma l’unica via di salvezza per il Pds. Naturalmente prima di ricevere la promessa di impunità dal Pool”.
Mattia Feltri nella ricorrenza dei 20 anni della morte di Bettino Craxi sulla Stampa del 10 gennaio 2020 scrive: che si “consegna alla storia del 900 il principio del primato della politica, mettendoci una pietra sopra. La politica che non sa più resistere a un procuratore, ceduta al servaggio dell’opinione pubblica, svilita a materiale di controllo via social ora per ora, e dunque immeschinita e disarmata, in balìa del capriccio. Una repubblica fondata sulla menzogna e che, in un mare di menzogne, naufraga amaramente.” E’ d’accordo con la tesi di Feltri?
“Mattia Feltri ha scritto il bellissimo libro Novantatré, del quale mi sono avvalso nel mio libro appena citato sopra, pag.124, per trascrivere la sua documentata narrazione dell’ossessionante impegno dell’allora Presidente della Camera Giorgio Napolitano nel sostenere e promuovere l’abolizione dell’immunità parlamentare, ridotta a quasi nulla. Abolizione che è il presupposto necessario dell’attuale oligarchia della magistratura”.
Fu solo la Procura di Milano ad agire da salvagente col Pci-Pds in tangentopoli?
“Non mi viene in mente nessun’altra Procura, ma non posso escludere che ci sia stata. Invece quello che posso affermare è che la Procura di Milano ha ostacolato altre Procure che intendevano indagare sul Pci/Pds ed in particolare la procura di Brescia e la Procura di Torino con l’autorità che le derivava dal fatto che aveva la competenza a conoscere i reati dei magistrati di quelle città, nonché la Procura di Roma terrorizzata dall’arresto del giudice Renato Squillante”.

Non ritiene collegati la tangentopoli milanese sotto l’ala del procuratore Francesco Saverio Borrelli con la mafiopoli palermitana sostenuta da Giancarlo Caselli quale procuratore di Palermo?
“Per quello che so, no. Se non limitatamente al costume di privilegiare i risultati a scapito della rigorosa applicazione della legge. Ma sotto questo profilo bisogna capovolgere i termini della questione, nel senso che non è stata la Procura di Milano ad influenzare quella di Palermo, ma viceversa. E non solo per i noti rapporti del discepolo Di Pietro con il maestro Falcone, ma cominciando proprio dal maxi processo alla mafia che fu reso possibile da un’applicazione molto “evolutiva” dell’antico principio cardine della responsabilità penale personale ed ebbe un esito favorevole in Cassazione previa sostituzione del giudice naturale, mediante una ignobile persecuzione del grandissimo giurista e magistrato Corrado Carnevale, con l’indispensabile collaborazione dell’allora Primo Presidente Antonio Brancaccio, che poi diventò Ministro dell’Interno”.

Ha fatto cenno all’oligarchia della magistratura, si spiega meglio?
“È semplice. Posto che l’elemento essenziale per l’esistenza dello Stato è il monopolio della violenza legale, chi la esercita, esercita il potere dello Stato, che è assoluto se incontrollato. In Italia la magistratura è titolare del monopolio della violenza legale ed è assolutamente indipendente da qualsiasi altro potere.
Si dirà che anche in tutti gli altri stati democratici i giudici sono indipendenti ed esercitano il monopolio della violenza legale. I giudici appunto e non in via esclusiva, perché non possono pronunciarsi se non richiesti dal Pm che dipende dal Ministro della giustizia, cioè dal potere esecutivo. Al contrario in Italia anche i Pm, con legge ordinaria, sono stati nominati magistrati come i giudici di cui hanno condiviso indipendenza e privilegi. Quindi una sola corporazione di funzionari privi di qualunque legittimazione democratica e del tutto indipendente dagli altri poteri democratici esercita il monopolio della violenza legale. È lo stato oligarchico”.