Il voto dei cittadini italiani che vivono negli Stati Uniti nel referendum del 20 e 21 settembre ha confermato la loro storica tendenza a favore delle modifiche della Costituzione italiana. Nei quattordici anni trascorsi dal 2006, quando si svolse il primo referendum costituzionale in cui i residenti all’estero ebbero la possibilità di votare per posta, il corpo elettorale nordamericano è sicuramente mutato, se non altro perché l’immigrazione italiana negli Stati Uniti si è indirizzata in questo Paese con cifre oscillanti in media tra le 5.000 e le 6.000 unità ogni anno. La costante, però, è stata il voto della maggioranza dei cittadini italiani degli Stati Uniti a sostegno dei diversi pacchetti di cambiamenti costituzionali, a prescindere dall’orientamento delle forze politiche che hanno elaborato tali emendamenti.
Nel 2006 il 61,29% degli italostatunitensi approvò il testo preparato dal governo di centro-destra presieduto da Silvio Berlusconi. Nel 2016 il 59,12% condivise la proposta avanzata dall’esecutivo di centro-sinistra guidato da Matteo Renzi. La scorsa settimana il 67,68% degli italiani residenti negli Stati Uniti ha ratificato il taglio dei parlamentari voluto soprattutto dal Movimento 5 Stelle e accolto dal premier Giuseppe Conte. La partecipazione al voto è stata molto bassa, appena il 20,88%, rispetto al 23,7% del 2006 e a poco meno del 29% del 2016, complice anche il fatto che il risultato era dato quasi per scontato dai sondaggi di opinione. Inoltre, è stata particolarmente alta la percentuale dei voti nulli, il 13,7%, rispetto anche a quella delle schede bianche, inferiore allo 0,4%, probabilmente per la scarsa dimestichezza degli elettori con le procedure.
Per la prima volta la scelta referendaria dei cittadini italiani che vivono negli Stati Uniti ha rispecchiato quella del corpo elettorale nel suo complesso. Infatti, mentre le modifiche del 2006 e del 2016 furono respinte a larga maggioranza nonostante il favore incontrato tra gli italostatunitensi, la scorsa settimana si è registrato un ampio consenso sulla riduzione dei parlamentari, approvata da quasi il 70% degli elettori. Tre sono gli aspetti principali che possono colpire nel voto degli Stati Uniti. Il primo è la constatazione che il taglio di deputati e senatori andrà a ridurre la rappresentanza dei residenti all’estero e pertanto finirà per penalizzare chi l’ha sostenuta negli Stati Uniti. Il secondo è che tale esito è stato apertamente avversato da tutte e tre le parlamentari elette nella ripartizione America settentrionale e centrale della circoscrizione estero (la senatrice di Forza Italia Francesca Alderisi e le deputate Francesca La Marca del Partito Democratico e Fucsia Fitzgerald Nissoli di Forza Italia) a prescindere dalla loro appartenenza partitica. Il terzo è che il principale sostenitore della riforma costituzionale, il Movimento 5 Stelle, non ha mai riscontrato particolari consensi tra gli italiani degli Stati Uniti. Per esempio, nelle elezioni politiche più recenti, quelle del 2018, non è riuscito a eleggere alcun candidato e non è andato oltre il 19,3% dei voti alla Camera e il 19,6% al Senato.
L’ipotesi più accreditata per spiegare il comportamento dei cittadini italiani degli Stati Uniti nei referendum costituzionali è quella secondo cui il loro voto sarebbe determinato soprattutto dal desiderio di migliorare l’immagine del Paese di origine o di ascendenza nella società di adozione in modo che il maggior prestigio dell’Italia all’estero possa arrecare benefici anche alla propria condizione e considerazione in America. I referendum del 2006, 2016 e 2020 sono stati giustificati dai promotori con la necessità di rendere più efficiente il sistema politico italiano. Pertanto, è ragionevole pensare che la maggioranza degli italostatunitensi abbia voluto ratificare modifiche costituzionali ritenute funzionali a tale obiettivo, in maniera da non venire più associati a una nazione considerata politicamente arretrata tra i Paesi all’avanguardia dell’occidente, un’identificazione con possibili riflessi negativi sulla propria vita professionale e sulle opportunità di carriera negli Stati Uniti.
Per cercare di comprendere appieno le motivazioni di voto dei cittadini italiani residenti non solo negli Stati Uniti ma in tutta la circoscrizione estero, sto conducendo una ricerca sul loro comportamento politico, insieme al Professor Simone Battiston della Swinburne University of Technology di Melbourne in Australia e al Professor Marco Valbruzzi, ricercatore allo European University Institute. Lo studio ha come fonte principale un sondaggio sul voto nei referendum e nelle elezioni politiche italiane più recenti. Gli interessati a partecipare al sondaggio (che devono essere cittadini italiani residenti all’estero) sono caldamente invitati a collegarsi a questo link.
Il testo è disponibile in sei lingue (italiano, inglese, spagnolo, francese, portoghese e tedesco). Il sondaggio è ovviamente anonimo (saranno utilizzati soltanto i dati aggregati) e ottempera a criteri etici e scientifici certificati dallo Human Research Ethics Committee della Swinburne University of Technology in linea con il National Statement on Ethical Conduct in Human Research del Commonwealth of Australia.