Mentre il PD e Fratelli d’Italia sono impegnati a contendersi la palma del partito di maggioranza relativa nelle elezioni del 25 settembre, è probabile che tale primato andrà ad appannaggio degli astenuti. Secondo i sondaggi più recenti, infatti, quasi il 30% degli aventi diritto non andrà a votare. Si tratterà non solo di una scelta, ma anche di una causa di forza maggiore per i quasi cinque milioni di lavoratori e studenti fuori sede, ma residenti e impegnati nelle loro attività in Italia, che per mancanza di tempo, costo del viaggio e lunghezza della distanza da percorrere non rientreranno a casa per recarsi al seggio.
Alla loro condizione di elettori penalizzati, perché per esercitare il diritto di voto sono costretti ad andare alle urne di persona, viene generalmente contrapposto il presunto privilegio dei cittadini residenti all’estero, che possono invece votare per corrispondenza, a differenza dei loro connazionali che vivono in Italia. Per evidenziare maggiormente la sperequazione nel godimento dei diritti politici, viene di solito richiamato l’alto tasso di astensionismo tra gli italiani all’estero, quasi a voler sottolineare il paradosso per il quale chi ha il vantaggio del voto a distanza tende a non avvalersene.
È un dato inconfutabile che la partecipazione elettorale degli italiani nel mondo, mai particolarmente elevata, è crollata nelle consultazioni più recenti per il Parlamento, passando da quasi il 40% nel 2006 – la prima volta in cui fu possibile votare a distanza per Camera e Senato – al 30% nel 2018. Nei referendum dello scorso giugno si è addirittura espresso appena il 16% degli aventi diritto. Si potrebbe aggiungere che l’astensionismo effettivo risulta ancora più alto delle statistiche ufficiali. Infatti, per libera scelta (per esempio, per non essere cancellati dal servizio sanitario nazionale) ancorché in violazione della legge, pur vivendo all’estero da più di un anno, numerosi italiani non si iscrivono all’AIRE e, quindi, non vengono neppure conteggiati tra gli elettori potenziali della Circoscrizione estero.
Tuttavia, l’astensionismo degli italiani che vivono fuori dai confini nazionali non è soltanto una decisione personale. Può anche essere indotto da circostanze esterne, indipendenti dalla volontà dei singoli elettori potenziali.

ANSA/MASSIMO PERCOSSI
In primo luogo, la legge non consente il voto per corrispondenza nei Paesi dove manchino le “condizioni di eguaglianza, di libertà e di segretezza” per esercitarlo, tra l’altro un concetto astratto che lascia ampia discrezionalità al governo. Per le elezioni della fine del mese il Ministero dell’Interno ha disposto che gli Stati dove non sarà possibile votare per posta saranno diciannove. Il principale per consistenza numerica della comunità italiana è Cuba, dove, secondo il più recente rapporto della Fondazione Migrantes, vivono oltre 4.300 cittadini italiani.
Ma restare esclusi dal voto a distanza saranno anche le migliaia di italiani che complessivamente risiedono in Eritrea, Etiopia, Libia e Zimbabwe, per tacere del caso dell’Ucraina. Tutti costoro potranno esercitare il suffragio solo nell’eventualità, alquanto improbabile, che tornino in Italia per votare.
Per i Paesi dove è ammesso il voto per corrispondenza, che ovviamente costituiscono la stragrande maggioranza degli Stati esistenti, il fattore più rilevante a indurre un astensionismo “di necessità” è paradossalmente rappresentato dal servizio postale stesso. La mancata consegna agli elettori dei plichi contenenti la scheda è una criticità che continua a funestare le procedure di voto dal 2006, quando questo esito coinvolse il 9,2% delle buste spedite dai consolati. Inoltre, in passato, gli elettori hanno dovuto scontrarsi con altre disfunzioni indipendenti dalla loro volontà, come lo sciopero dei postini brasiliani che intralciò l’esercizio del voto, sia in occasione delle elezioni politiche del 2008, sia in coincidenza col referendum costituzionale del 2020, oppure un’analoga astensione dal lavoro che coinvolse gli addetti delle poste sudafricane nel 2013.

Ancor più penalizzante per gli elettori, però, risulta, la tempistica della restituzione delle schede una volta votate. Per essere conteggiate, è imprescindibile che giungano al consolato competente entro il giovedì precedente la domenica in cui si svolgono le elezioni in Italia. Quelle che arrivano in seguito devono essere immediatamente incenerite e, quindi, chi le ha spedite di fatto non risulta tra i partecipanti alle elezioni sebbene abbia regolarmente votato.
Poiché, per legge, i consolati possono attendere fino al diciottesimo giorno prima di quello delle elezioni per spedire agli aventi diritto i plichi con le schede, la finestra di opportunità per completare in modo valido l’intero iter della procedura di voto può ridursi ad appena due settimane, un lasso temporale non ottimale in situazioni in cui, per ricorrere a un’espressione colorita ma non necessariamente iperbolica di Claudio Fancelli, presidente dell’Ufficio centrale per la circoscrizione estero della Corte d’appello di Roma nel 2006, “all’ufficio postale ci si reca a dorso di mulo o di cammello”.
Sembra, dunque, auspicabile che il ricorso al voto elettronico, proposto per gli elettori fuori sede in Italia, si allarghi anche gli italiani all’estero, che nell’esercizio del suffragio sono molto meno privilegiati di quanto comunemente si ritenga.
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