Le nuove svolte in casa Facebook allarmano i governi del mondo. Lo scorso 5 maggio l’Oversight Board, la “Corte Suprema” del social network voluta da Mark Zuckerberg, ha pubblicato la sua decisione sul ban di Donald Trump dalla piattaforma. I membri del Comitato per il controllo hanno confermato il fermo per il profilo dell’ex Presidente reo di aver incitato la folla durante i fatti del 6 gennaio, chiedendo però una maggiore chiarezza nelle condizioni di Facebook. L’Oversight Board ha raccomandato la stesura di norme riguardo la durata dei ban in quanto, secondo i suoi componenti, Facebook non può impedire l’accesso ad un utente in modo permanente. Trump, dunque, resta fuori dai social network ma potrebbe ritornare in un futuro. Intanto, i membri dell’Oversight Board hanno tradito un certo fastidio nei confronti di Menlo Park per via del rimpallo di responsabilità su una faccenda così importante.
L’Oversight Board non è uno scherzo. La così-detta “Corte Suprema” di Facebook (e Instagram) nasce come risposta alle accuse di poca trasparenza ed accountability dimostrata dall’amministrazione del social network soprattutto riguardo fake news e odio in rete. L’organo di vigilanza è composto da membri neutrali e provenienti da vari stati e differenti aree politiche. Fra loro Helle Thorning-Schmidt (ex primo ministro danese), Tawakkul Karman (premio Nobel per la pace) e Alan Rusbridger (storico editor del The Guardian). L’Oversight Board risponde ad un trust indipendente ma finanziato da Facebook con cifre milionarie. Il trust deve spendere i suoi fondi soltanto per il funzionamento dell’organo di vigilanza e ha un’autonomia di almeno cinque anni. Da parte sua, l’Oversight Board ha la funzione di una corte di appello: gli utenti che hanno subito azioni di moderazione da parte di Facebook possono portare la controversia all’organo di vigilanza per ottenere un parere vincolante. Lo scorso 28 gennaio, il Comitato aveva già pubblicato sei decisioni basate su ricorsi, quattro delle quali sono state accolte favorevolmente e allegate di raccomandazioni per modificare le normative di Facebook per renderle meno discrezionali.

Le criticità sono molte. Da una parte c’è chi ritiene l’Oversight Board come un organo utile soltanto a lavare la coscienza di un’azienda sempre meno popolare, nonostante i suoi oltre 2 miliardi di utenti. Dall’altra, l’organo di vigilanza apre le porte a nuove frontiere giuridiche ancora inesplorate. Secondo Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali italiano, “l’iniziativa di Facebook mette […] in luce l’inspiegabile immobilità degli attori istituzionali a livello, se non statale, almeno transazionale”. L’Oversight Board baserà le sue decisioni sul diritto internazionale ed i diritti umani in materia di libertà di pensiero e di parola. Non è ancora chiaro, però, come valuterà casi nei diversi paesi dove la libertà di pensiero si declina in diverse sfumature. Inoltre, la mancanza di un collegamento con Facebook nel nome dell’organo fa pensare che l’Oversight Board possa puntare a diventare la “Corte Suprema” di internet in generale, uniformando di fatto la libertà di espressione sotto un unico standard.
Spaventati da queste evenienze, alcuni governi hanno iniziato a muoversi verso una maggiore regolamentazione della libertà di espressione nei social network. Il Regno Unito, l’India ed il Brasile hanno deciso di accelerare su alcune riforme dopo la “sentenza” su Trump dello scorso 5 maggio. In particolare, è stata presa di mira la censura di un politico “newsworthy” (cioè dall’importanza pubblica), categoria finora ignorata dalle azioni di moderazione dei social network, in barba ad ogni principio di uguaglianza. Il Regno Unito va verso una legge che attribuisca maggiori responsabilità (anche penali) alle piattaforme che permettano messaggi di odio e fake news, restringendo allo stesso tempo il loro potere di moderare figure “democraticamente importanti”. In Brasile, Bolsonaro ha minacciato riforme delle normative sui social network che vadano a punire quelle piattaforme che censureranno i post del Presidente (spesso moderati per fake news sull’emergenza coronavirus). In India è stata approvata una legge che consente al governo di indicare alle piattaforme social e streaming quali contenuti moderare. I social network dovranno anche collaborare ad indagini in corso. Si sono alzate molte proteste per una svolta che, secondo parte della società civile, restringe la libertà di espressione e crea uno stato di sorveglianza permanente.
Ancora una volta ciò che accade negli Stati Uniti riesce ad avere un impatto globale. I social network, pur gestiti da aziende private sono sempre più uno spazio pubblico che va istituzionalizzandosi. Per i governi riformare il proprio approccio ad internet diventa sempre più una questione di sopravvivenza.