Fumata bianca per l’accordo bipartisan sulle infrastrutture. Lo scorso 28 luglio, il Senato americano ha raggiunto un’intesa su un pacchetto da 550 miliardi di dollari in nuovi fondi federali da destinare alle infrastrutture, all’interno di un più massiccio piano da $1.2 trilioni. Al momento della conta, i favorevoli sono stati 67 senatori a fronte di 32 contrari. Nonostante i tentativi di Donald Trump di intimidire la frangia moderata del GOP, 17 senatori repubblicani hanno appoggiato l’accordo, permettendo il superamento della soglia minima di 60 voti favorevoli. Ma ancora manca un testo ed un voto che trasformi l’accordo in legge.
“Il più importante investimento di lungo termine nelle nostre infrastrutture da oltre un secolo”, così il Presidente Joe Biden ha salutato l’accordo, paragonandolo ad un nuovo New Deal. Alcuni senatori repubblicani del calibro di Mitt Romney, Mitch McConnel e Susan Collins hanno a loro volta applaudito questo compromesso come “un buon punto di partenza”. A galvanizzare ulteriormente i sostenitori del pacchetto di investimenti è stato il voto del 30 luglio al Senato superato con 66 voti a favore e 28 contrari che ufficializza l’inizio del dibattito parlamentare sul piano. Il testo, scritto in gran fretta nell’ultima settimana, potrebbe essere discusso già il prossimo lunedì e diventare legge qualora non venissero presentati emendamenti controversi. Joe Biden dagli schermi della CNN si è detto sicuro che il processo legislativo si concluderà con la prossima settimana.
L’accordo, frutto di un compromesso bipartisan, ha lasciato scontente le correnti più radicali di entrambi i partiti. Da un lato, i repubblicani più fedeli a Trump hanno mantenuto la linea del non dialogo con gli avversari, dall’altra i democratici più progressisti sono rimasti delusi dai fondi tagliati rispetto al piano originale. Infatti, l’accordo prevede fondi per le infrastrutture adibite alla mobilità come strade, autostrade, ferrovie, porti, trasporto pubblico oltre che per le infrastrutture energetiche e di approvvigionamento come la rete idrica, la rete internet e quella elettrica. Fuori gli investimenti sull’edilizia e la scuola ma anche quelli sul welfare di prossimità.
Il pacchetto, che verrà finanziato grazie alla tassazione sulle criptovalute ed altre voci non riconducibili ad imposte dirette, piace a molti senatori perché si focalizza sulle così-dette “core infrastructures” di cui tutti possono godere. Secondo un report del Council on Foreign Relations, alcuni studi valuterebbero la qualità delle infrastrutture USA con un impietoso “D+”, auspicando investimenti per la manutenzione stradale e non solo, fermi agli anni ’60. A livello internazionale, gli Stati Uniti stanno perdendo questa sfida con la Cina che invece investe pesantemente in infrastrutture essenziali.
Per Joe Biden, la sfida per il suo personale Recovery Plan resta aperta. Oltre al piano per le infrastrutture, i democratici puntano ad approvare un massiccio piano sul budget da $3.5 trilioni che andrà a coprire i grandi temi della transizione ecologica, istruzione e sanità. Attraverso una procedura speciale chiamata budget reconciliation, i Dem potrebbero ignorare il filibuster al Senato, necessitando soltanto di una maggioranza semplice di 51 voti. Il massiccio piano di investimenti è fortemente ostacolato dai repubblicani e non piace ad alcuni democratici più moderati. Si prospetta una lotta fra le correnti democratiche con Biden a fare da mediatore. Nel frattempo, però, il Presidente può godere di una storica vittoria con un accordo bipartisan sulle infrastrutture in discussione nei prossimi giorni al Senato. Un ottimo risultato per un Presidente che fa della diplomazia parlamentare il suo marchio di fabbrica.