Le circostanze della sua morte non sono mai state del tutto chiarite, ma molti indizi conducono al temibile Federal’naja Sluzba Bezopasnosti (FSB), i sertvizi segreti russi agli ordini di Vladimir Putin, eredi del famigerato KGB. Antonio Russo infatti solo due giorni prima di venire ucciso, aveva detto confidato alla madre di essere in possesso di una documentazione scioccante sulle torture e le violenze consumate dai reparti speciali russi ai danni della popolazione cecena.
E’ il 16 ottobre del 2000 quando in Italia giunge la notizia del ritrovamento del corpo privo di vita di Antonio nelle vicinanze di Tiblisi, capitale della Georgia. Lo hanno massacrato di botte, le percosse gli hanno procurato lesioni mortali. La porta dell’abitazione che lo ospitava viene trovata aperta. Qualcuno ha frugato nei suoi effetti personali, e fatto sparire materiali e documenti. Ucciso, come sei anni dopo viene uccisa un’altra giornalista, Anna Politoskaja, per aver denunciato gli stessi crimini.
Giornalista anomalo (“Un radicale che fa il giornalista, non un giornalista che fa il radicale”, dice di lui Marco Pannella), Russo è inviato di “Radio Radicale”; coraggioso al limite della temerarietà, è presente in tutti i luoghi caldi del mondo: testimone sul campo dei terribili massacri hutu e tutsi in Ruanda e Burundi; a Sarajevo, quando i cecchini freddano i civili al mercato; in Kossovo, è l’unico giornalista occidentale, i serbi gli danno la caccia,lui fortunosamente riesce a fuggire, e documenta la “pulizia etnica” dei miliziani di Milosevic, consegna documentazione preziosa al tribunale internazionale sulla ex Jugoslavia. Il suo nome compare nella lapide dei martiri ad Arlington, nel museo della stampa di Washington, assieme a quello di altri giornalisti scomparsi in servizio.
Agli amici Antonio diceva “Chi ci ascolta e legge deve poter comprendere una realtà in cui non è presente. Questo è lo sforzo che dobbiamo compiere”. Per questo impegno, di capire e far capire, Antonio Russo è stato ucciso.