L’annuncio è giunto puntuale come previsto, alle 21:00 ora di Washington (le 3:00 del mattino in Italia). Seguendo un copione già sperimentato l’anno scorso con la nomina di Neil Gorsuch, Donald Trump ha presentato ufficialmente un altro giudice della Corte Suprema, scelto stavolta per sostituire l’ottantunenne Anthony Kennedy, che aveva rassegnato le dimissioni appena due settimane fa.
Il suo nome è Brett Kavanaugh, cinquantatré anni, cattolico, già giudice di Corte d’Appello nel distretto di Washington. Soprattutto, giurista conservatore doc laureato brillantemente a Yale e fedelissimo del clan Bush, al quale è stato legato a doppio filo per buona parte della sua carriera, tanto da ricoprire il ruolo di Segretario dello Staff della Casa Bianca sotto la presidenza di George W (dal 2003 al 2006).
Negli anni ’90, Kavanaugh collaborò inoltre sia con Kennedy sia soprattutto con Ken Starr, l’avvocato che guidava le indagini contro l’allora presidente Bill Clinton dopo lo scandalo del cosiddetto sexgate. In quell’occasione, nei suoi pareri legali, si dichiarò favorevole alla messa in stato d’accusa del presidente.
Che la scelta di Trump potesse ricadere su Kavanaugh non è stata una sorpresa. Il suo nome era infatti compreso nella lista di giudici (tutti graditi ai conservatori) resa nota qualche tempo fa dal presidente. Era dunque chiaro che il nuovo arrivato sarebbe saltato fuori proprio da quell’elenco.
Nel discorso di presentazione, il giurista ha rievocato alcuni aneddoti di famiglia, riassumendo il suo percorso professionale e sottolineando come intenda “interpretare” la legge e non “crearla”, in linea con l’imparzialità del proprio ufficio.
Sobrie frasi di circostanza, in perfetto stile d’oltreoceano. La nomina di Kavanaugh, tuttavia, è stata foriera di polemiche e secondo alcuni osservatori potrebbe infatti far pendere per molto tempo l’orientamento ideologico della Supreme Court verso destra.
I componenti della Corte Costituzionale americana sono infatti nominati a vita, anche se ovviamente possono dimettersi (come nel caso di Kennedy). Pur indicato nel 1988 dal presidente repubblicano Ronald Reagan, in varie circostanze il voto di Kennedy si è rivelato determinante per la stesura di sentenze care ai liberal, come quella che nel 2010 ha sancito la costituzionalità dei matrimoni omossessuali.
Che sapore hanno le invece le posizioni Kavanaugh su temi cruciali del dibattito politico? Di certo, rientrano nell’alveo della tradizione conservatrice. Forse più ortodosse rispetto a quelle di Kennedy, ma nello stesso tempo meno “estreme” delle vedute di alcuni suoi colleghi presenti nella rosa dei papabili di Trump.
In materia di aborto, per esempio, il nuovo giudice designato sembra propendere per il mantenimento della sentenza Roe vs Wade del 1973 (che per prima ha sancito il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza), sulla base della regola del precedente giuridico.
La stessa volontà è emersa in passate decisioni prese in tema di sanità, nelle quali non ha contestato la riforma a suo tempo approvata da Obama. Non è un caso che tali prese di posizione abbiano deluso i conservatori “duri e puri”, secondo cui sarebbe addirittura “troppo moderato”.
Su armi e finanziamento alla politica Kavanaugh si attesta su un fronte decisamente “di destra”, sostenendo un’interpretazione liberista del Secondo Emendamento della Costituzione (che sancisce il diritto dei cittadini a portare armi) e avallando la famigerata sentenza Citizen United vs Fec del 2010.
La pronuncia in questione, sulla base di una lettura discutibilissima del Primo Emendamento costituzionale, ha consentito che i cosiddetti “Super-Pacs” (comitati elettorali di raccolta fondi) finanziassero illimitatamente i partiti politici, i quali negli ultimi anni sono stati spesso ostaggio di lobby e potentati economici.
Una circostanza che mina alle fondamenta la democrazia americana, contestata in astratto dall’establishment democratico e concretamente solo da Bernie Sanders, che per coerenza preferì finanziare la propria campagna elettorale del 2016 ricorrendo solo a piccole donazioni private.
Insomma, se non piace a qualche ortodosso del campo conservatore, Kavanaugh è avversato fortemente sul fronte liberal. I democratici sono già sul piede di guerra e intendono bloccare il suo ingresso alla Corte Suprema allungando il più possibile l’iter di conferma della nomina. Questa dovrà infatti passare inevitabilmente dalle canoniche audizioni tenute da un’apposita commissione senatoriale, incaricata di fare le pulci al curriculum del nuovo arrivato.
L’obiettivo ideale, nell’ottica del partito dell’asinello, sarebbe guadagnare tempo fino alle elezioni di medio termine (che si terranno a novembre 2018) sperando poi di ottenere la maggioranza al Senato per far deragliare definitivamente la nomina di Kavanaugh.
La battaglia è però durissima: secondo le nuove regole procedurali, infatti, è sufficiente che l’aula esprima la maggioranza semplice per far avanzare la candidatura del giudice designato.
Conti alla mano, i democratici dispongono di una pattuglia di 49 senatori su 100 e per bloccare Kavanaugh hanno dunque bisogno di convincere almeno un repubblicano a passare dalla loro parte. A prima vista non sembrerebbe una missione impossibile, ma in realtà è più complicata di quanto appaia. Lungi dall’essere un blocco monolitico, il campo progressista potrebbe spaccarsi come già avvenuto in occasione della conferma di Gorsuch, con qualche senatore disposto ad appoggiare il giudice scelto da Trump (soprattutto coloro che a novembre tenteranno di essere rieletti in stati tradizionalmente repubblicani).
Certo, se guardiamo al passato le sorprese non mancano. Nella storia statunitense, sono innumerevoli i casi di giudici confermati dopo estenuanti tira e molla o bruciati all’ultimo istante. Dal celebre Louis Brandeis, progressista di origini ebraiche nominato nel 1916 da Woodrow Wilson e confermato al termine di un epico braccio di ferro, a Clement Haynsworth, scelto nel 1968 da Richard Nixon e “silurato” con la scusa di un conflitto d’interessi perché inviso anche a parte del partito repubblicano.
Oggi l’avanzata di Kavanaugh sembra priva di ostacoli significativi. Ma comunque vada a finire, prepariamoci a un’aspra battaglia politica, nella migliore tradizione a stelle e strisce.