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April 21, 2016
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I mostri Breivik, Provenzano e i diritti umani

La differenza tra Roma e Oslo nel trattamento dei loro rispettivi "mostri"

Valter VecelliobyValter Vecellio
diritti-umani
Time: 4 mins read

Ne hanno riferito giornali e televisioni di tutto il mondo. Un tribunale norvegese riconosce come fondate le rivendicazioni di Anders Behring Breivik, nella causa intentata allo Stato per violazione dei diritti umani durante la sua detenzione. Breivik, è l’autore delle stragi di Oslo e Utoya del luglio 2011: settantasette persone inermi uccise e un numero imprecisato di feriti, senza motivo. Una pazzia, senza “se” e senza “ma”. Una corte di giustizia norvegese ha concluso che le condizioni di detenzione di Breivik sono inumane, perché questo pazzo nazistoide è stato tenuto in isolamento per quasi cinque anni. Insistendo sulla durezza della detenzione, l’avvocato di Breivik, Oystein Storrvik ha accusato la Norvegia di violare due disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e parla di trattamenti “inumani” e “degradanti”.

Una disumanità, detto per inciso, che prevede 31 metri quadrati di cella divisi in tre settori: area notte, area studi, area per esercizi fisici; un televisore, un lettore DVD, una console per i giochi, macchina per scrivere, libri, giornali. Poi, certo: si sono inconvenienti, come i caffè serviti freddi, e piatti cucinati secondo standard gastronomici che Breivik definisce “peggiori del waterboarding”. Vien da sorridere vero? Sono strani questi norvegesi?

Andiamo ora in Italia e vediamo il caso di un altro “mostro”: Bernardo Provenzano, soprannominato “Binnu u’ Tratturi” per la violenza e la determinazione con cui ha eliminato i suoi nemici, chiunque gli facesse ombra. Condannato a svariati ergastoli, tutti meritati per una caterva di delitti, “Binnu”, da oltre due anni, giace in un letto del reparto ospedaliero del carcere San Paolo di Milano. Immobile da mesi con il cervello, dicono le perizie, distrutto dall’encefalopatia; si deve nutrire con un sondino naso-gastrico; pesa 45 chili. Ha 83 anni; il suo cuore – si citano sempre le perizie mediche – continua a battere, ma ha perso la cognizione dello spazio e del tempo. In una parola, è un vegetale. Chi lo ha visto, parla di un boss fisicamente irriconoscibile, mentalmente confuso, che non riesce a prendere in mano la cornetta del citofono per parlare con il figlio né riesce a spiegare al figlio l’origine di un’evidente ferita alla testa asserendo prima dice di essere stato vittima di percosse, poi di essere caduto accidentalmente.
La richiesta di differimento della pena sollecitata dal magistrato di sorveglianza dopo che i medici avevano definito incompatibili le condizioni del boss con il carcere, viene respinta dal tribunale di sorveglianza di Milano; respinta anche la subordinata dell’avvocato di Provenzano: lasciarlo in regime di carcerazione nello stesso ospedale, però nel reparto di lunga degenza, invece che in quello del 41bis.

Il no dei giudici, a differenza del passato, non è motivato dalla pericolosità del detenuto, ma dal suo interesse. Si sostiene che “non sussistono i presupposti per il differimento dell’esecuzione della pena, atteso che Provenzano, nonostante le sue gravi e croniche patologie, stia al momento rispondendo ai trattamenti sanitari attualmente praticati che gli stanno garantendo, rispetto ad altre soluzioni ipotizzabili, una maggior probabilità di sopravvivenza”. I giudici sostengono che spostarlo, anche solo per 48 ore, potrebbe essergli fatale; ad ogni modo l’attuale condizione è di “carcerazione astratta”, in altre parole lo tengono lì solo per curarlo.

Nella relazione medica si legge: “Il paziente presenta un grave stato di decadimento cognitivo, trascorre le giornate a letto alternando periodi di sonno a vigilanza. Raramente pronuncia parole di senso compiuto o compie atti elementari se stimolato. L’eloquio, quando presente, è assolutamente incomprensibile. Si ritiene incompatibile col regime carcerario”.

Il primario della V divisione di Medicina Protetta del San Paolo, dottor Rodolfo Casati, nell’ultima relazione con cui Provenzano è dichiarato incapace di partecipare a un processo penale, scrive che il detenuto “è in uno stato clinico gravemente deteriorato dal punto di vista cognitivo, stabile da un punto di vista cardio-respiratorio e neurologico; allettato, totalmente dipendente per ogni atto della vita quotidiana… Alimentazione spontanea impossibile se non attraverso nutrizione enterale. Si ritiene il paziente incompatibile con il regime carcerario. L’assistenza di cui necessita è erogabile solo in struttura sanitaria di lungo-degenza”.

Chissà se queste relazioni siano state lette dal ministro della Giustizia Andrea Orlando o dai suoi collaboratori perché il 24 marzo scorso il ministro ha firmato una proroga del 41-bis nei confronti di Provenzano per altri due anni, e così motivata: “Non risulta essere venuta meno la capacità del detenuto Provenzano Bernardo di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenza, anche in ragione della sua particolare, concreta pericolosità…non sono stati rilevati dati di alcun genere idonei a dimostrare il mutamento né della posizione del Provenzano nei confronti di Cosa nostra, né di Cosa Nostra nei confronti di Provenzano”. Insomma: un capomafia ancora a tutti gli effetti.
Ma questo non è il solo paradosso. Le Procure di Caltanissetta e Firenze confermano l’assenso alla revoca del 41 bis, già espresso nel 2014; la Procura di Palermo invece cambia idea: due anni fa era favorevole al “regime ordinario”, oggi non più. Perché? Nelle sedici pagine del provvedimento ministeriale, si legge: “Seppure ristretto dal 2006, Provenzano è costantemente tuttora destinatario di varie missive dal contenuto ermetico, cui spesso sono allegate immagini religiose e preghiere, che ben possono celare messaggi con la consorteria mafiosa”. Anche la Superprocura è d’accordo al mantenimento del “carcere duro”. Il ministro si è uniformato. Ad ogni modo, delle due, l’una: o Provenzano è un “vegetale”, e non ha senso tenerlo al 41 bis; oppure è tutta una mistificazione, e a questo punto lo si dica.

Infine Alfonso Sabella, magistrato non certo sospettabile di indulgenze vista la sua fama di “cacciatore di mafiosi”, come si intitola un suo libro; si dichiara convinto assertore della validità del “regime” carcerario 41-bis. Proprio per questo, per evitare che “si getti discredito su questo strumento che può servire solo se applicato nei casi necessari… si devono evitare ‘rischi’ come quelli che si stanno correndo con l’insistenza su un ex padrino ormai alla fine”. Provenzano, appunto.

Due “mostri”, Breivik e Provenzano; e la conferma di quanto, pur essendo sempre Europa, Oslo e Roma siano diametralmente lontani.

E per dire: cos’è un diritto umano? I casi di Breivik e di Provenzano ci dicono che il quesito è molto meno ozioso di quanto possa sembrare a prima vista.

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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