Con la Legge di Stabilità 2016 l’Italia diventa l’unico paese al mondo assieme agli Stati Uniti a riconoscere lo status giuridico delle società benefiche o B-Corp, aziende for profit che vogliono condurre il proprio business con l’obiettivo statutario di avere un impatto positivo su ambiente e società.
È una storia cominciata nel 2010 quando lo Stato del Maryland approva il provvedimento che introduce nel codice civile, accanto alle società for profit e no profit, quelle for benefit. In breve tempo grandi gruppi come Patagonia (abbigliamento sportivo) e Ben&Jerry’s (gelato industriale) e la piattaforma di crowdfunding Kickstarter ottengono la certificazione di benefit corporation, o B-Corp, che attesta e misura il loro impegno rispetto a valori sociali, nonché a pratiche responsabili da un punto di vista sociale ed ambientale.
Ormai le B Corp sono oltre 1.600 a livello mondiale e vogliono fare la differenza e contribuire al cambiamento del sistema. Un impegno che viene espressamente manifestato tramite una dichiarazione di interdipendenza: “Dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, tutte le aziende dovrebbero essere gestite in modo da creare benessere alle persone e al pianeta; attraverso prodotti, pratiche e profitti, le aziende dovrebbero ambire a dare beneficio a tutti”.
L’economista Robert Shiller, premio Nobel per l’economia 2013, dopo aver studiato in questi anni l’andamento delle aziende for benefit, è arrivato alla conclusione che oltre a portare dei vantaggi agli altri, realizzano risultati economici migliori rispetto alle imprese tradizionali.
È quindi diventato imprescindibile allineare economici e interessi sociali, per generare sviluppo oggi? La Voce di New Yorkne ha parlato con Roberto Randazzo, avvocato e docente di diritto degli Enti non profit all’Università Luigi Bocconi di Milano
Le società benefit possono considerarsi una nuova via di fare impresa sociale?
“Al riguardo occorre una precisazione preliminare: una cosa sono le B-Corp, società che decidono di sottoporsi ad un processo di analisi al fine di certificare il proprio modello di business, un’altra le Benefit Corporation, ovvero una nuova forma o qualifica giuridica, introdotta per la prima volta negli Stati Uniti e, con l’approvazione della legge di stabilità, anche in Italia con la denominazione di società benefit. Tornando alla domanda, ritengo che la distinzione tra società benefit ed imprese sociali sia abbastanza netta, se facciamo riferimento al contesto italiano. Nel nostro ordinamento quando si parla di imprese sociali, si fa generalmente riferimento a quegli enti che con dinamiche prettamente imprenditoriali, perseguono un fine di pubblica utilità, ancorate ad un divieto di distribuzione degli utili. Ciò vuol dire che l’infrastruttura imprenditoriale è lo strumento per perseguire in maniera più efficace una finalità di interesse collettivo, la vera mission dell’impresa. Le società benefit, invece, hanno nel proprio DNA il perseguimento di due finalità che sono poste dalla norma sullo stesso piano: da una parte vi è lo svolgimento di una attività economica, volta a generare un utile per gli azionisti, e dell’altra il perseguimento di una o più finalità di beneficio comune bilanciando l’interesse dei soci con quelli degli altri stakeholder. Dunque, ci possono essere dei punti di contatto, ma le due figure non possono essere sovrapposte e, men che meno, si può parlare di un nuovo soggetto del Terzo settore in Italia”.
Perché sta crescendo l’interesse per le B-corporation?
“È ormai del tutto evidente che stanno emergendo nuovi modelli di business che non guardano solo ed esclusivamente alla dimensione economica dell’impresa. La B-Corp, nelle sue diverse declinazioni, rappresenta un solido punto di riferimento per quegli imprenditori alla ricerca di supporto, anche normativo, in grado di valorizzare un approccio sostenibile ed inclusivo del mercato che, prendendo le mosse dai primi modelli di corporate social responsibility (ancora oggi in Italia troppo spesso considerata solo uno strumento di marketing) oggi si spinge verso le nuove frontiere dell’attività d’impresa che persegue anche un beneficio comune. Fra l’altro la norma sulle società benefit non prevede né deroghe al diritto societario, né tantomeno agevolazioni di alcuna natura, di conseguenza l’interesse degli imprenditori è legato esclusivamente a logiche di natura reputazionale”.
I fautori del movimento mondiale delle Benefit Corporation aspirano a rivoluzionare il capitalismo. È possibile?
“Direi che è un dato di fatto. Grazie a questi nuovi modelli le finalità economiche e sociali dell’azienda riescono ad armonizzarsi all’interno del medesimo modello imprenditoriale, che ne esce ovviamente non solo più solido ma anche maggiormente efficiente. È evidente che un’impresa che vede l’ambiente, i dipendenti, la comunità e tutti gli altri stakeholdercoinvolti nelle proprie iniziative come delle ‘risorse’, alimenta la diffusione di un nuovo capitalismo lontano dalle vecchie logiche produzione/redistribuzione ma che nel perseguire la propria mission aziendale genera dei benefici sociali. Non so se è una rivoluzione, considerato che si tratta di una visione che già diversi anni fa imprenditori illuminati come Adriano Olivetti avevano fatto propria, ma di certo vi è la consapevolezza di dover andare verso un nuovo modo di fare impresa. L’aspetto interessante è, inoltre, rappresentato dal fatto che, per la prima volta, siamo di fronte ad un modello globale che potrà essere applicato, con modalità analoghe, in tutti i paesi del mondo: un’opportunità per rendere trasversale un movimento imprenditoriale innovativo e sostenibile. Anzi, a pensarci bene, forse è questo l’elemento che più affascina del sistema delle benefit corporation, la visione comune e condivisa di un nuovo modo di fare impresa e la sua diffusione contemporanea in diverse parti del globo”.
Riusciranno queste società ad avere un impatto reale, conciliando profitto e sostenibilità?
“Il tema non è solo se queste società riusciranno ad avere un impatto reale ma, soprattutto, come misurarlo. La vera sfida riguarda, infatti, l’individuazione di metriche, condivise, che siano in grado di valutare le finalità di beneficio comune perseguite dalle società benefit. Anche se la norma fornisce delle indicazioni precise rispetto alle modalità di misurazione dell’impatto, fornendo delle indicazioni sia sulle caratteristiche dello standard di valutazione che occorrerà utilizzare che sulle aree di valutazione dell’impatto stesso, occorrerà verificare come saranno applicate in concreto”.
Negli Stati Uniti, dove la B-Corp esiste dal 2010 ed è legge in 32 Stati, diversi fondi investono già da tempo in queste società. In Italia solo alcune società sono diventate B-Corp certificate. Che prospettive ci sono?
“In Italia, anche a grazie all’approvazione della nuova normativa, si registra un vivo interesse per le B-Corp e sono già diverse società che hanno deciso di intraprendere il percorso per diventare società benefit, tra le quali Croqqer.it, Nativa, che crea nuove aziende, prodotti e servizi che siano rigenerativi ‘by design’, Dermophiosologique e Mailwork. Da segnalare D-Orbit, una società che sviluppa e commercializza tecnologia per il recupero a basso costo dei satelliti a fine vita, riducendo così l’inquinamento dovuto ai detriti spaziali. Intanto Banca Prossima è in attesa di ricevere lo status di società benefica e diventare così il primo istituto di credito a conciliare profitto e sostenibilità. Quanto agli investitori credo sia un fenomeno troppo recente per poter dare una valutazione; quello che posso dire è che stanno nascendo veicoli di investimento dedicati a questi nuovi modelli di business e che c’è un interesse sempre maggiore da parte di numerosi investitori, anche istituzionali, alla ricerca di forme di investimento “ad impatto” in grado di garantire un ritorno non solo ed esclusivamente sul piano economico e finanziario, ma anche sociale”.
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