Una serata all’insegna del femminismo, del coraggio, dell’ambizione. Gabriella Belloni, ospite d’onore alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, intervistata dal direttore della Casa Stefano Albertini, ha ripercorso sulla falsariga del suo libro “My American Dream” la sua vita di fotoreporter, regista, e donna. Una donna che, fin dalla più giovane età, ha acquisito la consapevolezza profonda di voler rifuggire da quella severa impostazione patriarcale che dominava la società e che aveva conosciuto sin dall’infanzia anche in casa propria. Da quel padre ingombrante, autoritario, che sua madre – nonostante i tempi – ha avuto il coraggio di lasciare, è partita la sua personalissima riscossa, sempre fuori dagli schemi. Guardando il coraggio della donna che le aveva dato la vita – una madre che, ha sottolineato l’autrice, l’ha sempre incoraggiata e sostenuta -, Gabriella è infatti riuscita a mettersi in ascolto del proprio io più autentico, e a scegliere una strada difficile, soprattutto per una donna dei suoi tempi. È così che, ancora giovanissima, ha iniziato una collaborazione come fotoreporter con la rivista “Ciao 2001”, prima di salutare l’Italia e partire per la favolosa New York.
Sì, perché in quel rigido ordine sociale patriarcale, per cui la donna è destinata necessariamente ai pannolini, al ferro da stiro e ai fornelli (e poi se sei fortunata, le disse il suo datore di lavoro di allora, puoi finire in pensione con un bell’orologio d’oro al polso), Gabriella non si è mai riconosciuta: lo ha rigettato, anzi, al punto di cadere in depressione al solo pensiero di essere costretta a vivere un’esistenza che non avrebbe mai sentito come propria. Una depressione che solo la partenza per la Grande Mela è riuscita a farle superare.
Sono i mitici anni Settanta, e viverli a New York – nel Village, suo epicentro culturale – era come stare al centro del mondo. Gabriella racconta di aver iniziato a lavorare, per mantenersi, al Caffé Reggio, tradizionale punto di ritrovo degli italoamericani, che però sembravano all’epoca replicare le aspettative da cui lei era sempre rifuggita: lei, donna, doveva saper cucinare, doveva prendersi cura del focolare, doveva comportarsi come tutti si aspettavano da lei. Quel lavoro, infatti, è durato poco: la giovane ha ben presto iniziato a fare la cameriera da Max’s Kansas City, mitico tempio del rock and roll, dove il suo datore di lavoro – un afroamericano dal cuore grande -, consapevole della scarsità delle mance accumulate, la mandava di buon grado ad Harlem a fotografare l’incredibile vita nei nightclub: quale esperienza, per una giovane donna bianca negli anni Settanta! Non solo: Gabriella ha anche frequentato la New York University’s Film School, e ha partecipato al video gruppo di avanguardia “Global Village”, collaborando alla realizzazione del controverso documentario “Remember Attica”.
La New York di Gabriella Belloni non è stata tutta rosa e fiori. La donna ha raccontato anche lo stupro subito da parte di un uomo, probabilmente un protettore, che, inseguito dalla polizia, uno sventurato giorno la incrociò nella sua fuga, e con una pistola puntata addosso le ordinò di offrirgli un rifugio a casa sua. Ma la tempra della donna è emersa dirompente anche in quel momento drammatico della sua vita: consapevole di quello che stava per succederle e non avendo alcuna intenzione di rischiare la pelle, Gabriella non ha opposto resistenza, ma ha chiesto al proprio aggressore di non farle male e di fare in fretta perché era attesa a un colloquio di lavoro. È vero: la donna doveva recarsi all’Espresso per vendere alcune fotografie. E, nonostante tutto, a quell’appuntamento non è mancata.
Una storia di vita, una storia che parla del coraggio di restare fuori dagli schemi ed aderire unicamente ai propri desideri – e non alle aspettative altrui -, un cammino che poi l’avrebbe condotta a vivere per più di vent’anni a Los Angeles – “la mia città”, l’ha definita – e ad intervistare grandi e indimenticabili personaggi: esattamente il lavoro dei suoi sogni, che tanti le dicevano non avrebbe mai potuto fare perché donna. Una storia raccontata attraverso la visione del raccomandatissimo documentario – puntata della serie “Le Ragazze del ’68” – a lei dedicato, attraverso l’avvincente conversazione con Stefano Albertini e la lettura di stralci della versione inglese del suo libro, sintesi perfetta, intrisa di sentimento e ironia, dei momenti più importanti della sua esistenza. Il suo invito a non accontentarsi mai, a non farsi mai scoraggiare dagli ostacoli, e soprattutto a viaggiare e scoprire il mondo non può non ispirare, soprattutto, le giovani generazioni: a maggior ragione, oggi che molte conquiste per le donne sono state raggiunte, ma che, come dimostra il movimento #MeToo, di strada da fare ce n’è ancora molta. Fortunate noi, ad aver avuto donne come Gabriella Belloni ad aprirci la via.