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Stati uniti contro Trump: sul censimento, il “quesito di cittadinanza”

Lo annuncia l'amministrazione Trump: nel censimento del 2020 tornerà la domanda sulla cittadinanza ma alcuni stati si ribellano

Davide MamonebyDavide Mamone
Stati uniti contro Trump: sul censimento, il “quesito di cittadinanza”

Un form del censimento 2010

Time: 5 mins read

Nelle ore in cui il presidente Donald Trump continua a negare la sua disponibilità per trovare un accordo con i Democratici sul programma DACA e, anzi, propone di inasprire i controlli per la realizzazione di un muro al confine con il Messico, un altro tema relativo all’immigrazione sta continuando a tenere banco negli Stati Uniti e a New York: il censimento del 2020. Secondo quanto annunciato dall’amministrazione Trump, infatti, per la prima volta dal 1950 verrà reinserita la domanda sulla cittadinanza. Una richiesta giunta direttamente dal Justice Department presieduto da Jeff Sessions, già approvata dal presidente statunitense. Una decisione che ha creato scalpore e provocato forti reazioni da parte di associazioni, governatori e cittadini, a New York fino al New Jersey.

donald trump
Il Presidente USA, Donald Trump

Dal 1790 a oggi il censimento degli Stati Uniti analizza, a cadenza decennale, lo status demografico del Paese a stelle e strisce. Seguendo ad esempio la struttura del censimento 2010, a ogni casa o appartamento viene chiesto di segnalare il numero di persone che ci cive, di specificare i legami familiari o personali al loro interno, e di rispondere a domande personali ben precise: nome e cognome, età e sesso, razza e professione. Il censimento è sancito per Costituzione, secondo l’articolo 1, sezione 2 della Carta. E, evidenzia il governo federale sul suo sito, è utile perché permette di fare chiarezza sui numeri del Paese. Dai dati emersi dal censimento si determinano infatti sia “le modalità di rappresentanza all’interno del Congresso”, sia “le modalità con cui il governo federale decide di investire, ogni anno, circa 400 miliardi di tasse per infrastrutture e servizi”. La posta in gioco, insomma, è alta. Molto più delle apparenze, molto più di una semplice conta.

Un esempio della domanda sulla cittadinanza che si potrebbe trovare sul form (da Pewresearch.com)

Dal 1890 al 1950 la domanda sulla cittadinanza ha fatto parte del documento federale. L’obiettivo nemmeno troppo nascosto era quello di vagliare l’andamento delle immigrazioni, all’epoca in evidente crescita all’interno del Paese. Ma dal 1954 in poi, quella domanda della discordia era stata abolita, a seguito di numerose polemiche.

Quello che in tanti si stanno chiedendo in queste ore, quindi, è a che cosa possa servire oggi, negli USA del terzo millennio. Secondo un memo pubblicato da Wilbur Ross, segretario del Commerce Department USA, la domanda sulla cittadinanza servirebbe a capire meglio i dati sugli elettori “idonei”, ovvero sulla popolazione che ha l’età adatta per votare. Secondo quanto scritto da Ross, grazie ai dati del censimento si potrebbe far rispettare meglio lo status di “protezione” degli elettori appartenenti minoranze, inclusi coloro i quali parlano lingue diverse dall’inglese, ai sensi della legge federale sul diritto di voto. Il dipartimento di Giustizia, infatti, oggi si basa sui dati del Census Bureau’s American Community Survey, un campione che però risulta essere incompleto. Si tratta di un’indagine che copre appena il 2,6% della popolazione ogni anno: “Il Dipartimento vuole più copertura, maggiore dettaglio e più certezza” nei dati, che solo un censimento completo può dare, ha concluso Ross.

Una tabella del Pew Research Center sull’andamento dell’immigrazione

C’è però chi non è convinto di questa motivazione. E crede che il reinserimento della domanda sulla cittadinanza abbia un secondo fine: controllare lo stato dell’immigrazione. In effetti, dal 1970 ad oggi, la percentuale di immigrati negli USA è nuovamente aumentata in modo sensibile negli States. Secondo quanto risulta da un’indagine del Pew Research Center, nel 1970 il tasso di immigrati era al 4.8%, mentre nel 2015 risultava essere al 13.9%, quasi ai livelli del 1890 (14,8%), quando la domanda sulla cittadinanza venne introdotta. Abbiamo provato a chiedere un commento a riguardo direttamente all’ufficio regionale dello Stato di New York, che si occupa del censimento 2020, ma siamo stati reindirizzati semplicemente alle parole e al memo di Wilbur Ross, all’interno di questo statement ufficiale. Se al 26 di Federal Plaza si rimane abbottonati e ancora alla posizione ufficiale, una manciata più strade più in su a Manhattan, sulla 33esima, c’è già chi è sul piede di guerra. Stiamo parlando del New York Immigration Coalition, una delle più importanti organizzazioni no-profit che offre servizi a supporto degli immigrati nella città di New York.

Steve Choi, Executive Director del New York Immigration Coalition

Nelle ore in cui l’organizzazione sta lanciando la sua campagna “New York Counts 2020”, il direttore Steven Choi, interpellato da La Voce di New York, ha definito “tossica” una domanda sulla cittadinanza nel censimento statunitense per una città come New York “dove vivono quattro milioni di immigrati”. Così come “tossica”, ha proseguito Choi, lo è “per tutti i newyorkesi che stanno per perdere milioni di dollari in aiuti federali e di peso politico nel Congresso di Washington”. Una scelta vista come scelerata: “Il censimento del 2020 dovrà essere capace di raggiungere municipalità locali storicamente difficili da intercettare, con l’obiettivo di dare loro le risorse di cui hanno bisogno e che meritano: non perderemo un centesimo dei nostri soldi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda sono sembrati essere i governatori di New York, Andrew Cuomo, e del New Jersey, Phil Murphy. Entrambi, a una domanda della Voce di New York, sono apparsi letteralmente in fibrillazione: il quesito sulla cittadinanza e l’idea che possa essere reintrodotto, infatti, non piace proprio a nessuno dei due. “Questa decisione dell’amministrazione Trump di richiedere informazioni sulla cittadinanza all’interno del censimento è un atto politico madornale che lancia un missile nel cuore di New York. Non commettete errori di valutazione: questa decisione è anti-immigrati ed è intesa solamente a servire l’agenda politica di chi è al potere a Washington” ha detto in uno statement ufficiale Andrew Cuomo.

Il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo

Che ha proseguito, all’attacco: “Questa sconsiderata questione minerà l’accuratezza e la legittimità dei dati del censimento, che determina la rappresentanza al Congresso e la distribuzione di miliardi di dollari di fondi federali. Questa domanda metterà a repentaglio i finanziamenti critici per l’assistenza sanitaria e i servizi sociali vitali per New York e i suoi cittadini”. Per Cuomo “la nostra diversità è la nostra più grande forza”, anche perché “a meno che non si è nativi americani, in questo Paese siamo tutti immigrati”.

Duro, durissimo anche il governatore democratico del New Jersey, Phil Murphy: “Inserendo una domanda sulla cittadinanza all’interno del censimento, l’amministrazione Trump sta cercando di seminare paura tra le comunità di immigrati e sta cercando di iniettare incertezza in quello che dovrebbe essere un procedimento sopra le parti” ha detto alla Voce di New York Murphy.

Phil Murphy, governatore dello Stato del New Jersey

Che prima ha difeso la Costituzione e il censimento: “La Nazione ha estremo bisogno di un accurato e inattaccabile conteggio della popolazione. Se i residenti del New Jersey proveranno invece paura ad essere contati, questo avrà un impatto sulla nostra capacità di essere adeguatamente rappresentati al Congresso, e adeguatamente finanziati dai fondi federali”. Poi ha concluso: “Il censimento dovrebbe essere sopra le parti. Lo Stato del New Jersey è pronto ad agire, in qualsiasi forma necessaria, con i nostri Stati ‘gemelli’, preoccupati per le conseguenze di questa mossa”.

* Articolo aggiornato alle 2.30pm ET di mercoledì 4 aprile.

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Davide Mamone

Davide Mamone

Davide Mamone è un giornalista freelance di base a New York. Cresciuto a Milano, di origini palermitane, collabora con Radio Popolare, ha scritto reportage per testate italiane come L'Espresso, Panorama e InsideOver e per testate americane come Market Watch del gruppo Dow Jones Newswires. Ha coperto le Nazioni Unite per La Voce di New York.

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