Il 17 dicembre del 1967, James Earl Ray, l’uomo che secondo la storia spara a Martin Luther King a Memphis il 4 aprile 1968, arriva in auto a New Orleans dalla California. Alloggia al Provincial Motel, fino al 19 dicembre. Durante la sua permanenza incontra alcuni esponenti della mafia del Sud, la Cosa Nostra dominata dal boss Carlos Marcello. Dopo aver ricevuto dei soldi ($ 2000), e la promessa di riceverne tanti altri, parte per preparare la sua missione per cui è stato pagato. La concluderà a Memphis, Tennessee…
Questo breve riassunto è tratto da un racconto, mai pubblicato, che si trova in un manoscritto di un giornalista, William ( Bill ) Sartor. Il manoscritto é stato visto dalla Commissione del Congresso che indagò nel 1978-79 negli omicidi di John F. Kennedy e Martin Luther King. Il manoscritto, che faceva parte di una ricerca che il reporter stava compiendo per un libro, si trova ancora “top secret” in un archivio federale fino all’anno 2022. Sartor, quel libro, non riuscirà a pubblicarlo. Infatti muore in circostanze misteriose a Waco, Texas, nel 1971, dove vive con sua madre, mentre sta completando le ricerche sul coinvolgimento della mafia di New Orleans negli omicidi di JFK e MLK (e, crediamo, anche RFK).
Quanti di voi lettori sapevano di questa storia? Quanti di voi conoscevano la storia di un giornalista, non uno qualunque, ma uno bravo che scriveva anche per “Time” ed era molto stimato in Louisiana, morto mentre stava cercando di pubblicare un libro che contestava la ricostruzione ufficiale degli omicidi Kennedy e di Martin Luther King?
Nel fare questa domanda agli studenti del Lehman College CUNY che seguono il mio corso “The Mafia: Demystifying a Social and Political Phenomenon”, ad alzare la mano su 35 di loro in ogni classe, in dieci anni di corsi, due corsi all’anno, me ne è capitato uno solo. Un ragazzone ispanico del Bronx, molto appassionato dei misteri sugli assassinii politici degli anni Sessanta. Uno studente su circa 700. Prima di frequentare il corso, lui aveva letto il libro di John Davis, Mafia King Fish. Temo che quella sondata all’inizio di ogni corso, sia la stessa statistica che si avrebbe a livello nazionale.
Ascoltando i lavori di una conferenza tenuta qualche mese fa alla NYU, a proposito dell’anniversario dell’omicidio di Aldo Moro, alcuni studiosi dicevano che non si dovrebbero ricordare questi importanti uomini della storia solo per le circostanze della loro morte violenta, ma studiarli soprattutto per le loro idee, per cosa fecero in vita. Insomma come se continuare a ripetere e a cercare i fatti sul loro tragico assassinio, svilisca la loro grande personalità politica, fatta invece di idee e di programmi. Non sense! Semmai il contrario. Spiegare finalmente in maniera credibile e logica, scoperchiando la verità sulla loro morte, serve a capire meglio la maestosità e il valore di quelle idee che ne decretarono la condanna a morte. Si potrebbero capire le idee rivoluzionarie di un certo Gesù di Nazareth senza sapere anche chi e perché lo volle morto?
Mentre in questi giorni sul New York Times, così come in altri media “main stream” americani e internazionali si ricorda la grandezza dei discorsi e della “vision” del reverendo Martin Luther King, paladino della lotta non violenta per i diritti civili (di tutti non solo degli afro americani), stupisce come si faccia attenzione a non pubblicare titoli centrati sulla verità: chi volle la morte di MLK? Una verità che sarebbe stata facile da scoperchiare fin dal 5 aprile 1968, ma che resta invece sepolta dentro gli archivi delle varie agenzie governative degli Stati Uniti.

Quel giorno quando spararono a MLK, l’uomo che non aveva paura di morire perché credeva che le idee in difesa della giustizia, per la loro forza, avrebbero camminato anche senza di lui, troppe coincidenze accaddero per essere solo tali. MLK non avrebbe dovuto alloggiare quella volta in quel Motel, ma una polemica su dei giornali orchestrata ad arte gli fece scegliere ancora una volta il Lorraine invece di uno molto più sicuro ma considerato troppo “lussuoso”. L’uomo che lo vide cadere e che lo soccorre per primo e che si vede nella famosa foto appoggiare un fazzoletto nella testa sanguinante di MLK, Marrell McCullough, fa sì parte dell’ entourage del reverendo ma é anche un “informatore segreto” della polizia. Almeno tre testimoni che videro sparare non dalla finestra di un bagno di una pensione di fronte al Motel, ma da dietro i cespugli della collinetta, non furono mai più interrogati. Infine la coperta abbandonata con dentro il fucile all’uscita della pensione con le impronte di Earl: cioè ammazzi un pezzo da novanta come MLK e poi lasci in grande evidenza l’arma del delitto (ma era l’arma del delitto?) per farti scoprire subito? Chi la mise lì?
Lo stesso James Earl Ray, catturato due mesi dopo all’aeroporto di Londra, già prima dell’omicidio e soprattutto dopo riesce a dileguarsi grazie all’assunzione di identità di persone veramente esistenti e a lui somiglianti, che vivevano tutte a Toronto, Canada. Chi gli ha dato quei nominativi e i documenti? Con tutte quelle informazioni che, si scoprirà dopo, solo i governi di Canada e Stati Uniti potevano avere (si tratta, in particolare, anche di persone impiegate in una fabbrica canadese che aveva contratti con il Pentagono).
Per non tralasciare nulla delle strane indagini condotte dalla FBI e dalla polizia di Memphis (come avevano del resto fatto a Dallas), un uomo che poco prima delle 6 pm del 4 aprile, l’ora in cui MLK venne ucciso, ascolta per caso in un negozio di frutta e verdura il proprietario, un certo Frank Liberto, dire al telefono: “fallo fuori quando è sul balcone e poi vai a prenderti i $5000 da mio fratello a New Orleans”. Non solo quest’uomo non verrà più interrogato dall’FBI dopo la sua prima testimonianza volontaria, ma il povero John McFerren, così si chiamava, dopo aver ricevuto minacce e subito una rapina e un pestaggio, dalla paura resterà “muto” fino alla fine dei suoi giorni. Già, l’omertà è la legge che la mafia sa far rispettare.
Nel giro di cinque anni (1963-1968), negli Stati Uniti, le autorità guidate nelle indagini dal capo dell’FBI J. Edgar Hoover, vogliono far credere al popolo americano (riuscendoci per molti anni) e anche al mondo (che invece resta incredulo) che prima un presidente USA in carica che vuol terminare la guerra fredda, poi il leader dei diritti civili che lotta contro la guerra in Viet Nam e esorta i giovani neri quanto anche i bianchi a rifiutarsi di imbracciare i fucili, e infine anche il fratello giovane del presidente ucciso e a sua volta candidato alla Casa Bianca con la promessa di far uscire gli USA dalla guerra, siano stati tutti uccisi da tre squilibrati, che hanno agito da soli, senza alcuna cospirazione. Poi, a distanza di dieci anni, la Commissione del Congresso, pur non riuscendo (o volendo?) a trovare le prove, la cosiddetta “pistola fumante” capace di scoperchiare le relazioni tra mafia, CIA e un sempre più probabile cover-up dell’FBI, scriverà che nel caso di JFK, così come di MLK, non fu una persona sola ad agire ma probabilmente si trattò di una cospirazione ma senza indicare i mandanti.
Se siete arrivati a leggere fino a qui, nell’epoca del web dove si finisce invece per leggere solo le prime righe senza mai scavare fino in fondo, sappiate che il libro di William Sartor non é mai uscito. Di lui di certo si sa solo che è morto, mentre le sue note restano secretate in un archivio del Congresso. Ma per veramente rispettare quel giornalista coraggioso, così come Martin Luther King e le sue idee, la verità sulla loro morte, come del resto quella sull’assassinio dei fratelli Kennedy, dovrà essere rivelata una volta per tutte, invece di restare merce di scambio e di ricatti come sembra stia avvenendo ancora con l’amministrazione di Donald Trump.
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