Un elenco di 9700 nomi. Letti a Park Avenue, di fronte alla sede del Consolato Generale d’Italia a New York, nel cuore di Manhattan. Appartenenti a una parte di quelle persone italiane della comunità ebraica (circa 8mila in tutto) che, nell’oscuro periodo del nazifascismo in Italia, furono deportati dal Paese o dai territori sotto occupazione italiana. Senza ragione o motivo. Solo perché ebrei. Solo perché, secondo qualcuno, appartenenti a una “razza” sbagliata che non meritava più di esistere.
Nella mattinata di lunedì 29 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria celebrata ufficialmente sabato 27, il Consolato Generale d’Italia, il Centro Primo Levi, l’Istituto Italiano di Cultura, la Casa Italiana Zerilli Marimò NYU, il Calandra Institute for Italian American Studies e l’Italian Academy presso la Columbia University hanno organizzato un’iniziativa di commemorazione dell’olocausto. La lettura pubblica di centinaia e centinaia di nomi, dalle 9 del mattino alle 3 del pomeriggio, senza mai una pausa. Nomi pronunciati da cittadini e giornalisti, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni, a rotazione, liberamente. Nell’anno dell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, firmate da Benito Mussolini e dal re d’Italia nell’autunno del 1938.
Ad emergere durante la cerimonia sono stati due aspetti. Un contrasto e una sensazione. Da una parte il contrasto di atmosfere tra il palco improvvisato all’aperto di fronte al Consolato, dove il tempo per una manciata d’ore si è fermato per non dimenticare, e la Park Avenue incapace invece come al solito di fermarsi, durante un classico lunedì frenetico di inizio settimana a Manhattan. Dall’altra la sensazione, quella emersa durante l’interminabile elenco di nomi appartenenti agli ebrei deportati durante gli anni del nazifascismo, molti dei quali con lo stesso cognome. Un modo per rendersi conto per davvero, per realizzare che interi nuclei familiari, durante l’olocausto siano stati letteralmente annientati, spazzati via. Come se nulla fosse.

Alla cerimonia, che è stata aperta dal messaggio di un portavoce del sindaco di New York Bill de Blasio e che ha visto come protagonisti, tra i lettori del mattino, il Console Generale Francesco Genuardi, l’ambasciatore italiano alle Nazioni Unite Sebastiano Cardi e il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Giorgio Van Straten, hanno partecipato in tanti. Accomunati dall’empatia nei confronti di una brutta storia che non deve essere dimenticata. Tra i presenti, anche Stella Levi.

Che interpellata da La Voce di New York, che le ha chiesto se oggi la memoria dell’olocausto si senta di più o di meno rispetto al passato, ha detto: “Io soltanto spero e prego che rimanga viva perché è importante per la gioventù, per i giovani, che abbiano un senso di quello che è successo: loro sono quelli che devono lavorare per fare un mondo migliore per far sì che queste cose non succedano più. Ma per nessuno, per nessuno”. Ma lei è ottimista o pessimista? “Sono ottimista perché ci sono giovani che ci stanno raggiungendo e stanno venendo verso di noi e vogliono sapere. Anche se pochi, ma ci sono sempre”.

E tra questi “pochi”, ma buoni, nella mattinata di lunedì 29 gennaio hanno partecipato alla lettura delle vittime della deportazione sia i ragazzi della Park East High School, sia gli alunni della Scuola d’Italia Guglielmo Marconi. Ragazzi delle medie che, qualcuno alla prima volta per la lettura dei nomi, qualcuno invece già al secondo anno a New York, sono apparsi allo stesso tempo emozionati e timidi. E in coro hanno espresso una forte maturità, a dispetto della loro età: “Siamo qui per dimostrare che non ci stiamo dimenticando di quel brutto passato”, ci hanno detto.

Un concetto ribadito, non a caso, dalla preside dell’istituto, Maria Palandra: “L’obiettivo, certo, è non dimenticare. Sembra scontato dirlo, ma nel mondo di oggi non lo è ed è giusto che le giovani generazioni leggendo questi nomi si rendano conto di quello che è successo e non deve riaccadere” ha detto infatti a La Voce di New York la preside della scuola italiana Guglielmo Marconi. Ma i ragazzi italiani nelle scuole d’America, la sentono la celebrazione della Memoria come avviene in Italia? “Sì, perché noi seguiamo il curriculum scolastico italiano e trasmettiamo i valori della Giornata della Memoria allo stesso modo e con lo stesso approccio, come ogni scuola in Italia”.