A conclusione del ciclo dei 5 articoli su Napoli mi consentirà il direttore Vaccara di cercare di dimostrare l’assioma per il quale essere napoletani non vuole per forza significare di esservi nati, bensì di esserlo. Diego Armando Maradona fu un vero napoletano salito al rango mondiale come il grande Enrico Caruso. Qui si valuterà l’immensa grandezza del calciatore senza dimenticare i difetti dell’uomo che, come tutti gli uomini, aveva. Supererò di prepotenza la risposta alla solita domanda: chi era più forte Maradona o Pelè? La risposta è nei fatti: Diego venne a giocare in Europa mentre Edson non lo fece mai e, si sa, il calcio brasileiro era ed è molto lasco nelle marcature mentre in Europa e, soprattutto in Italia, era molto ma molto duro. Agli amici milanisti e non solo vorrei ricordare che a San Siro il 12 maggio del 1963 Giovanni Trapattoni, umiliò O’ Rei non facendogli toccare palla e costringendolo a chiedere il cambio per cui: Maradona è meglio ‘e Pelè!
Non me ne voglia il professor Guido Clemente di San Luca, ordinario di Diritto Amministrativo presso la Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, se per questo articolo mi approprio, indegnamente, del titolo del suo libro che, agli albori degli anni ’90, diede in stampa convincendo un gruppo di intellettuali a dar vita al Te Diegum, “una manifestazione convegnistica, tradotta poi in un libro, organizzata per comunicare la gratitudine nei confronti di chi aveva promesso e mantenuto, regalandoci la vittoria senza rinnegare il nostro modo di essere, massimizzando il risultato del genio, a dispetto di moralisti e bacchettoni, che predicavano bene razzolando nell’ipocrisia”. Il calcio come metafora di vita e come specchio di una città intera inebriò tutti, intellettuali e non.
Il Te Diegum nacque ad una cena a casa del penalista Claudio Botti al quale sembrò giusto rendere omaggio a Diego che andava via da Napoli anche per far sentire la voce dei tifosi non organizzati. Decisero di fare un convegno con il comitato de “La classe non è acqua” che venne moderato da Gianni Minà.
Con lui è morto il simbolo della bellezza e della gioia.
Dopo la fallimentare e mutilante esperienza al Barcellona “el 10” sbarcò a Napoli il 5 luglio del 1984 e alle 18,31, dinnanzi a circa 400 giornalisti, una ventina di tv di tutto il mondo e 80.000 tifosi sugli spalti calciò la palla al cielo. Alcune definizioni giornalistiche dimostrano la sua unicità: “El fùtbol mismo” scriverà “El Grafico”, “Si muove come Fred Astaire”, scriverà Peter Green sul “Sunday Mirror” per finire con “Morfologicamente sembra uno sgorbio irrecuperabile: ma non appena in lui si accende l’uranio, quel goffo anatroccolo assurge a cigno solenne. Allora devi escluderlo dal genere umano e trovargli d’urgenza una specie differente. Sia dunque il leone andino, e in definitiva re Puma.” Gianni Brera, “la Repubblica”, luglio 1989.
Che la leggenda sia ancora viva ad un anno esatto della sua morte lo dimostrano alcuni eventi ed autori e qui ne citerò solo alcuni come Paolo Sorrentino col suo ultimo film intimista intitolato “È stata la mano di Dio”. Ciro Ferrara che ha appena pubblicato il suo libro “Ho visto Diego”. Amazon ha appena finito di produrre la miniserie “Maradona, sueño bendito”, sogno benedetto.
Fra le tante la storia narra che un bambino di Acerra, di nome Luca, avesse bisogno di un delicato e costoso intervento chirurgico: una malformazione alla bocca che poteva essere operata solo in Francia. Ma servivano soldi e molti. Pietro Puzone un calciatore del Napoli che ad Acerra era nato e cresciuto ne parlò a Diego che gli rispose: “E che problema c’è, li troviamo!“. L’idea gli era venuta in un attimo, infatti pensò di organizzare un’amichevole, il resto lo si sarebbe raccolto con una colletta in spogliatoio fra i calciatori del Napoli. Sembrava una cosa molto semplice, ma non lo era affatto. Perché il presidente Corrado Ferlaino non ci pensava minimamente di mettere a rischio le gambe dei suoi ragazzi per beneficenza senza calcolare, inoltre, il rischio di perderli per qualche eventuale infortunio senza il mancato risarcimento da parte dei Lloyds in quanto incidente avvenuto non nelle sedi appropriate, partite ufficiali ed allenamenti. “Che si fottano i Lloyds di Londra. Questa partita si deve giocare per quel bambino!” e così si decise di andare a giocare nella risaia del campo di calcio di Acerra dove non si tirò indietro oltre a pagare di tasca sua 12 milioni per l’assicurazione.
E così il 25 novembre, ad un anno dalla morte, molti tifosi napoletani ma anche argentini, nonostante la forte pioggia si sono accalcati per ammirare da lontano il monumento al fuoriclasse posto per poche ore davanti allo stadio che porta il suo nome. Una statua che raffigura Maradona mentre corre col pallone incollato al piede messa nel piazzale antistante il settore Distinti. Il monumento è stato realizzato dall’artista scultore Domenico Sepe ma, more solitu, non poteva mancare la classica ciliegina dell’italica burocrazia: la statua è rimasta nel piazzale fino alle 22,00 e poi è stata riportata in deposito in attesa dell’autorizzazione del “Genio civile”.