“Houston abbiamo un problema”. La frase divenne celebre con il film Apollo 13 in cui Tom Hanks, alias il capitano Swigert della Apollo 13 lanciata dal Cape Canaveral John Kennedy Center, in Florida, con il Saturn V, con queste parole comunica a terra, al centro di controllo di Houston, Lyndon B. Johnson Space Center, nel Texas, di avere dei problemi a bordo. In realtà Swigert disse: “Houston abbiamo avuto un problema”, perché nel frattempo aveva risolto l’emergenza. Tuttavia la missione per raggiungere la Luna fu abortita e l’equipaggio dovette rientrare a Terra. Da allora non solo per gli addetti, ma per tutti, la frase indicò la capacità di affrontare e risolvere situazioni di crisi imprevedibili.
In questi giorni il nostro presidente della Repubblica, in viaggio istituzionale negli USA, va a Houston a visitare la sede della NASA. La collaborazione spaziale tra l’Italia e gli Stati Uniti ha una lunga storia che data fin dagli anni ’60 quando l’Italia fu il terzo paese a lanciare un satellite dopo l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Grazie all’aiuto degli Stati Uniti, l’Italia, con il progetto San Marco, diretto da Luigi Brolio riuscì a lanciare da Wallops Island, nel 1964, il San Marco 1 un satellite per lo studio della Stratosfera.
Da allora l’industria Italiana ha contribuito alla realizzazione dei moduli della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e alla realizzazione delle missioni congiunte tra Agenzia Spaziale Europea e NASA.
Negli anni 2000, tuttavia, due tra i maggiori produttori nel settore aerospaziale, per competere a livello internazionale, hanno fatto degli accordi vendendo quote di partecipazione ai francesi e agli inglesi. Alenia Spazio, che produce la costellazione italiana Cosmo SkyMed, componenti e satelliti che verranno imbarcati sulle missioni ESA denominate Sentinel, è partecipata al 67% da THALES e dal 23 % da Finmeccanica. AVIO che produce il lanciatore VEGA è stato acquistato dal fondo d’investimento CINVEN.
Accanto a queste due industrie esiste un indotto di varie industrie raggruppate attorno all’AIAD che è la Federazione, della Confindustria, che rappresenta le Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza e all’ AIPAS, Associazione delle piccole e medie Imprese per le Attività Spaziali.
A fronte di un quadro internazionale in grande movimento, si pensi ad esempio alle novità tecnologiche introdotte da Space X e da Blue Origin negli Stati Uniti con i lanciatori recuperabili, la fusione di varie industrie in Airbus Defence and Space in Francia, senza contare le industrie tedesche come la OHB (che produce il sistema Galileo) e soprattutto le industrie di stato russe e cinesi, la competizione internazionale nel settore aerospaziale è diventata stringente.
Tuttavia la politica che un paese fa per lo sviluppo del settore aerospaziale è indicativa della volontà di sviluppare un’industria nazionale competitiva, sia per l’elevato impatto economico che il comparto ha, sia per lo sviluppo tecnologico, sia per il ritorno nel settore dei beni (investendo un euro, il ritorno è dell’ordine 1,35, come nel settori dei prodotti di largo consumo , fino a 30 euro, come nel settore delle telecomunicazioni).
L’attuale tendenza mondiale è quella di ridurre i costi, sviluppando nuove tecnologie, riducendo la dimensione dei satelliti, miniaturizzandoli, e di conseguenza riducendo la potenza e la dimensione dei lanciatori che vengono anche ricuperati per poterli riutilizzare in lanci successivi.
Iniziative come quella di OneWeb, per portare la comunicazione senza fili per l’emergenza e no, in ogni parte della Terra indica che c’è un grande interesse a creare reti satellitari globali, costituite da piccoli o piccolissimi satelliti.
In questo contesto l’Italia potrebbe recuperare quel ruolo che aveva negli anni precedenti al 2000, avendo le competenze diffuse su varie piccole industrie, purché queste siano capaci di riaggregarsi come hanno fatto e stanno facendo in altri paesi. Tutto ciò dovrebbe nascere da un progetto di reindustrializzazione del paese, per cui, parafrasando la frase dell’inizio dell’articolo, direi: “Italia, abbiamo un problema, ci stiamo deindustrializzando” , ma siamo in tempo per recuperare.
È un problema culturale prima che industriale, ma bisogna ripartire dalla ricerca che è il motore dello sviluppo di una società. I dati sui finanziamenti in ricerca e sviluppo in percentuale sul PIL collocano l’Italia agli ultimi posti tra i paesi OECD. Il Sistema Universitario Italiano è da anni sotto-finanziato (il fondo di finanziamento ordinario alle università è in continua discesa dal 2009 ad oggi). I fondi per la ricerca di base italiana, distribuiti su base competitiva, per i progetti scientifici che sono valutati più validi, sono dieci volte di meno di quelli della Francia. Il settore aerospaziale nazionale ha finanziamenti marginali e se perdiamo le grandi industrie, come sta accadendo con le acquisizioni succitate, la nostra capacità industriale diventerà marginale.
Per questo motivo 69 scienziati italiani , tra cui Giovanni Ciccotti, Duccio Fanelli, Vincenzo Fiorentini, Giorgio Parisi e Stefano Ruffo hanno scritto una lettera , apparsa sulla autorevole rivista scientifica Nature il 4 Febbraio 2016, in cui si chiede all’Unione Europea di fare pressione sul Governo Italiano perché finanzi adeguatamente la ricerca in Italia e porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza.
Se l’Europa chiede attualmente ai governi di rispettare i limiti sul bilancio, dovrebbe con altrettanta forza pretendere dai governi nazionali una soglia minima di finanziamento alla ricerca, come richiesto dal trattato di Lisbona (previsto al 3% e non come è ora, a meno dell’1%).
Il presidente Mattarella potrebbe farsi portatore di questo messaggio che potrebbe ripartire da Houston per affrontare e risolvere situazioni di crisi.. purtroppo prevedibili.