Ogni cinque anni il Governo degli Stati Uniti decide cosa fa bene mangiare e cosa no. Una sua molto autorevole pubblicazione quinquennale, Dietary Guidelines for Americans, ha un impatto immenso sulla formulazione dei menù nelle mense scolastiche, accademiche, carcerarie e militari, nonché quelle private. Detta legge sul linguaggio dei pubblicitari, sull’etichettatura del packaging alimentare, incide sulla legislazione fiscale. Attraverso l’educazione nutrizionale nelle scuole e nelle pubblicazioni femminili, influisce pesantemente sulle scelte fatte in ogni cucina del Paese.
Nel 1977, quando le Dietary Guidelines hanno annunciato la presunta pericolosità del colesterolo, il consumo americano delle uova è crollato del 30% in un anno. Le critiche allo zucchero raffinato hanno praticamente rimesso lo zucchero detto “di canna” in Italia, quello beige, sui banchi dei bar di tutto il mondo. È da lì che parte anche la guerra universale al “fritto”. Sempre di più però emerge che molte delle indicazioni riportate dalle Guidelines non sono basate su dati scientifici solidi, ma piuttosto su ricerche “spazzatura” dallo scarso rigore metodologico. Il tutto poi filtrato attraverso un processo necessariamente politico – tenendo presente che il campo alimentare è uno dei preferiti da quelli che vogliono dire agli altri come dovrebbero vivere, alla maniera della mamma che raccomanda di finire gli spinaci perché “fanno bene”.
Le prove della nocività del colesterolo non sono mai state troppo stringenti. La critica “moderna” nasce da una ricerca condotta da Nikolaj Aničkov, un famoso patologo russo che nel 1913 ha dimostrato gli effetti negativi di un eccesso della sostanza nella dieta dei conigli. Il fenomeno non era invece riscontrabile nei topi – è risultato poi che i conigli ne vanno specialmente soggetti – ma il dato ha acquisito una vita propria.
Negli anni Sessanta, la molecola diventa invece una sorta di escamotage, un codice cifrato. Un’importante minoranza dei nutrizionisti è da sempre contraria al consumo della carne, a volte più per motivi etici che strettamente dietetici. Specialmente nelle raccomandazioni ufficiali, non era politicamente accettabile (almeno negli USA) consigliare l’esclusione delle carni dalla dieta. Il compromesso tra gli estensori delle Guidelines è stato quello di proporre la limitazione al colesterolo, sempre presente nei prodotti animali e in pratica mai in quelli vegetali.
Ora, dopo quasi quarant’anni, le raccomandazioni contro il colesterolo sono scomparse dalle Dietary Guidelines 2015-2020. Sono state inoltre alleggerite le critiche al consumo del sale e quasi del tutto abbandonate quelle al caffè. In tutti i casi perché, a guardare proprio bene, mancano le basi scientifiche. David Allison, dell’University of Alabama-Birmingham, un’autorità, concede che le cose nutrizionali di cui siamo certi “oltre ogni ragionevole dubbio” sono poche: “Sappiamo che non si può vivere senza cibo, e che se mangi troppo ingrassi. Ci sono certi nutrienti essenziali – vitamine e minerali – che bisogna assolutamente assumere. Dovresti assicurarti che non ci siano piombo, mercurio o altre tossine nel cibo che ingerisci. Al di là di ciò, la base della nostra reale conoscenza diventa sempre più striminzita”.