Vincere è sempre bellissimo. Può accadere su una pista sportiva, nella classifica mondiale dei grandi chef o in una miliardaria sfida industriale. L’emozione è comunque fortissima. La vittoria porta gloria, celebrità e, in molti casi, tanti quattrini. Ma genera anche invidie, risentimenti, recriminazioni. Di tutto questo in Italia si chiacchiera e si scrive molto nelle ultime settimane, perché da un po’ di tempo capita spesso che l’Italia vinca. Contro l’Inghilterra, ad esempio. Prima agli Europei di calcio e subito dopo, alle Olimpiadi, in una straordinaria finale della staffetta 4 per 100. Gli inglesi, battuti per un solo centesimo di secondo, hanno accusato il colpo. “Basta Italia”, ha titolato a piena pagina un celebre quotidiano britannico.
Se limitiamo lo sguardo all’ambito dell’alta cucina e della gastronomia, la guerriglia più lunga e cruenta si combatte però tra Francia e Italia. Lo scontro si è appena riacceso con la cosiddetta ‘guerra dello spritz’: il gruppo francese Lvmh (quello di Louis Vitton e di tanti altri grandi marchi del lusso) ha annunciato il lancio di un prodotto che andrà all’attacco del florido mercato degli aperitivi, dove Campari e altre aziende italiane raccolgono da anni grandi soddisfazioni e utili con molti zeri. Nulla di nuovo, ovviamente: da almeno vent’anni Italia e Francia litigano sul cibo, sulla ristorazione, sui vini e su tutto quanto ha a che vedere con la buona tavola. E sempre più spesso la Francia incassa delusioni.

I successi internazionali del cuoco modenese Massimo Bottura riaccesero la miccia. Quando lo chef dell’Osteria Francescana cominciò a sbaragliare il campo nei ‘Best 50’, ovvero nella classifica dei ristoranti migliori del mondo, la Francia entrò in una specie di lutto nazionale. L’affronto a Ducasse e agli altri portabandiera dell’orgoglio culinario transalpino risultò insopportabile. E lo è diventato ancora di più in anni successivi, quando i cuochi francesi sono spariti quasi completamente dalle prime posizioni mondiali. Con una sola vera eccezione: Mauro Colagreco, del Mirazur di Mentone, che però (come si può capire già dal nome) è più argentino e italiano che francese. Dopo anni di schiaffoni, Colagreco ha riportato la Francia al primo posto nel 2019, e all’ottavo posto è spuntato un big parigino, Alain Passard dell’Arpege. Nei precedenti anni di batoste la Francia decise, per protesta e rappresaglia, di creare una sua classifica mondiale dei ristoranti top, nella quale ovviamente i cuochi francesi hanno sempre primeggiato.
Ma gli affronti italiani alla ‘grandeur’ ormai non si contano. La pizza, orgoglio della nostra tradizione, è il cibo più popolare di Parigi che ne consuma più di Roma o Milano. Un giovane cuoco italiano, Simone Zanoni, si è preso la stella Michelin dopo pochi mesi di lavoro in un tempio dell’ospitalità parigina, il magnifico Hotel George V, e ha perfino osato imbottire la carta dei vini di spumanti italiani, relegando gli champagne a un ruolo di nobile complemento.

Già, gli champagne. Orgoglio e magnificenza di sempre. Nel 2019 il loro mercato è cresciuto, ma le esportazioni hanno registrato una flessione, mentre le bollicine italiane stanno sbaragliando il campo in mezzo mondo. In un solo anno (sempre il 2019) l’export di spumanti italiani in Francia è cresciuto del 28 per cento, mentre i nobilissimi prodotti francesi faticano a tenere le posizioni.
Stessa musica sul fronte caseario. Diceva De Gaullle: “Come si può governare un Paese che produce 246 varietà di formaggi?”. Il generale, che ovviamente si riferiva alla Francia, non sapeva che in Italia se ne producono 487 tipi diversi. E non poteva certo immaginare la situazione di oggi: in Italia le importazioni di formaggi francesi sono in costante calo, mentre crescono le esportazioni di prodotto italiano in Francia.

La verità è che, da sempre, Francia e Italia sono mondi assolutamente diversi e, per tanti aspetti, perfino opposti. La cultura gastronomica di Pellegrino Artusi non è quella di Anthelme Brillat-Savarin. La cucina italiana è ricchezza di materie prime, fantasia, gusto popolare, tipicità. Quella francese è un rito rigoroso, mutato nel tempo ma non nella filosofia della precisione, delle regole ferree, del culto di ghiottonerie rare e costose. Certo, i francesi hanno insegnato e continuano a insegnare tanto (in cucina, in sala, nei vigneti) ma la ricchezza e la varietà regionale della cucina italiana ha raggiunto risultati internazionali imprevedibili.
Una cosa è sicura: questa guerra infinita è uno stimolo a migliorare i vini, la qualità dei prodotti artigianali e di tante eccellenze gastronomiche. Qualche benefico effetto riguarda anche i prezzi (che però, quando ci riferiamo a preziosi prodotti di nicchia, non possono mai essere popolari). Insomma, fra tutte le guerre della storia ce n’è una che produce soprattutto effetti positivi. Una volta tanto non è proprio il caso di essere pacifisti.