Gli inglesi, quelli dei Tre Leoni. Non hanno pensato che l’Italia ne mettesse in campo undici. Abbiamo vinto noi il campionato Europeo. Ci siamo riusciti 53 anni dopo e a Wembley lo stadio si è colorato di bianco rosso e verde, mentre Mancini e Vialli si abbracciavano piangendo, mentre Spinazzola (con le stampelle) cercava di saltare. Mentre un Paese intero, il nostro, era con il fiato sospeso, prima di esplodere in una gioia senza freni.
Il presidente Sergio Mattarella si è alzato in piedi, ha allungato le braccia verso il basso stringendo i pugni ma il suo sorriso e il suo volto non erano quelli della diplomazia. Se non fosse stato in veste ufficiale, chissà… Questa è un’Italia che ti riempie il cuore, che riesce a sintetizzare in una squadra di ragazzini le doti migliori del nostro piccolo e grande Paese.
Ci è mancato soltanto un attaccante che semplificasse un po’ le cose. Tutto il resto lo abbiamo fatto bene, da primi della classe. Il Ct non ha sbagliato una mossa sul campo e si è superato da psicologo capace di trasformare i depressi in indomabili. I nostri difensori, come nel 2006, non hanno avuto rivali. Donnarumma, Chiellini e Bonucci la fotocopia di Buffon, Cannavaro e Nesta. I centrocampisti erano, a scelta, di lotta e di governo e non hanno mai sbagliato l’abito da indossare. In attacco ci siamo arrangiati, ma questo insegna la storia del calcio: se giochi bene, prima o poi il gol arriva.
Abbiamo impiegato 64 minuti per segnare quello che ha tolto all’Inghilterra tutte le sue certezze e quel pizzico di spocchia che aveva indotto il suo pubblico a esporre lo striscione che festeggiava ‘il ritorno a casa del calcio’. Un errore imperdonabile pensare che la partita con l’Italia fosse soltanto l’ultimo atto di una commedia già scritta.

Si sono illusi prima e hanno trovato conferma alla loro sicurezza dopo appena due minuti di gioco. Gol di Shaw: pareva il cognome adatto a sbloccare una finale giocata davanti al proprio pubblico. Invece. L’Italia è entrata intimorita in quella specie di lavatrice delle emozioni che è lo stadio di Wembley. Si è ritrovata all’improvviso infeltrita, rimpicciolita, a disagio proprio nella partita che contava di più. Ma dentro di sé questa squadra ha qualcosa di speciale. Che sia autostima, che sia voglia di rivincita, che sia sfrontatezza: non si sa con precisione. Fatto sta che non si è arresa ai suoi stessi limiti. Non ha guardato le facce del pubblico entusiasta né quelle degli avversari che sprigionavano il loro complesso di superiorità. Si è messa a lavorare a testa bassa e bene. Concentrata. Non brillante, ma tenace. Millimetro dopo millimetro ha girato il rubinetto che faceva zampillare acqua cristallina dalla fontana inglese. Ha giocato senza sbagliare nulla, ha mandato per mille volte a vuoto gli assalti degli inglesi, ha logorato fisicamente e psicologicamente gli avversari e, appena ha trovato uno spiraglio, è stata capace di pareggiare. Un’incursione di Bonucci e zac, uno a uno. Nei gol che arrivano da chissà dove, durante questo Europeo non abbiamo avuto rivali. Non sono cose che succedono per caso: se non ci avessero creduto tutti, ci saremmo fatti attanagliare dallo sconforto, forse dalla fretta di rimediare all’amnesia iniziale.
In quel preciso istante (minuto 66) l’Inghilterra era un sacco vuoto. Di giocare aveva già smesso da tempo, di correre no: ma il contraccolpo psicologico le ha tagliato le gambe e le occasioni per vincere le partita le hanno avute gli Azzurri. Stanchi anche loro, però. E, appunto, senza un grande semplificatore, senza quel giocatore d’attacco che se ne infischia della logica e degli equilibri e la butta nel sacco. Avessimo avuto un Del Piero o un Totti o un Gigi Riva (che nel ’68 era la nostra superstar) avremmo evitato un altro batticuore, dopo quello con la Spagna. Ma per tutto l’Europeo questa è stata la nostra condanna e la nostra forza: senza l’aiuto degli altri nessuno avrebbe brillato, nessuno avrebbe segnato. Non avremmo vinto.

Abbiamo trionfato esaltando l’impegno e l’applicazione. Felici intuizioni in panchina, ma in campo colpi di genio pochi. E quindi l’Italia ha vinto con una squadra che finalmente incarna i pregi migliori della nostra gente, che riflette la parte sana e bella del nostro Paese.
Nel basket, una settimana fa, abbiamo battuto la Serbia che, da decenni, è seconda soltanto agli Stati Uniti e nel calcio abbiamo ridotto i Leoni a innocui peluche per i nostri bimbi, il tutto mentre l’Italia (quella dove il Ct lo fa Mario Draghi) sta ritrovando una credibilità e un passo che parevano smarriti per sempre. In campo non abbiamo Michelangelo e neppure Raffaello, ma vediamo di non sprecare il pieno di ottimismo che abbiamo appena fatto e godiamoci questa alba di un nuovo Rinascimento.
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