
Personalissima, moderna, essenziale. È una cucina inconfondibile quella di Niko Romito. Quando decisi finalmente di provarla mi misi in macchina, per 400 chilometri, dopo aver prenotato una delle nove camere dell’ex convento cinquecentesco che da dieci anni è il quartier generale del celebre cuoco abruzzese. Il ristorante Reale-Casadonna è un’oasi di tranquillità, protetta da una distesa di vigneti, ai margini di Castel di Sangro, paesino semisconosciuto, fuori da ogni itinerario turistico.
Odori di legna e di pane, eleganze di vetro e di pietra in aperta campagna. Basta dare un’occhiata a quelle camere per capire la filosofia di Romito, compresa quella della sua cucina: nitore e semplicità assolute. C’è una spoglia raffinatezza in ogni materia prima, in ciascun dettaglio, dalla biancheria alla piacevolissima doccia matrimoniale. Tutto è programmato e curato con una precisione maniacale, nordica più che mediterranea. Può essere sgradevole sentirsi chiedere a che ora si intende scendere per la prima colazione, ma la mattina dopo, quando ci si siede davanti a un ottimo caffè e a una lunga serie di prelibatezze salate e dolci appena sfornate, si capisce che quel piccolo sacrificio viene meravigliosamente ripagato.

Della cena ricordo soprattutto un piatto insolito e curioso. Si chiamava ‘finocchio e carciofo’. Uno spicchio di finocchio e un carciofo, nient’altro. Ma il sapore di quel finocchio e il gusto intenso di quel carciofo (reduce da sei o sette passaggi di cucina) me li ricordo ancora. La semplicità dei piatti di Niko Romito è il risultato di un lavoro per nulla semplice. Anzi, lungo e rigoroso, fatto di sottrazioni, concentrazioni, infinita ricerca del nitore e dell’intensità gustativa. Nessuna complicazione ma tanta complessità. Non a caso, un libro di Romito si intitola ‘Apparentemente semplice’. È uno stile che spunta in ogni creazione dello chef: l’assoluto di cipolla, lo spaghettone mantecato con baccalà e pomodoro, le tagliatelle agli scampi, il piccione fondente con pistacchio, una personalissima lasagna, i piatti di pollo e di vitello proposti in incessanti rielaborazioni.

Di lui dicono che è visionario, essenziale, talentuoso e testardo. “Sì, sono testardo – sorride lo chef – Soprattutto nell’aver fortemente voluto un posto al di fuori dai grandi circuiti gastronomici, dalle logiche commerciali. La mia cucina nasce abruzzese. Nei primi anni cercavo di rendere moderna la tradizione locale. Oggi è una cucina molto personale. Il territorio non deve essere un limite ma un’opportunità. L’Abruzzo è un modello di tranquillità, invita alla riflessione e alla ricerca fuori dalle mode. Le tendenze cambiano, io vado avanti per la mia strada”.

Dietro il suo lavoro ci sono pastori, pescatori e contadini appassionati, con i quali lo chef ha frequenti incontri per concordare e orientare le caratteristiche dei prodotti. Obiettivo: renderli sempre più adatti alla sua particolarissima cucina.

Niko Romito è nato a Castel di Sangro (L’Aquila) nel 1974. La morte del padre, pasticciere e cuoco, lo costrinse a scegliere tra il completamento degli studi di economia e la carriera di ristoratore. Dopo anni di esperienza nel locale di famiglia nel paesino di Rivisondoli, Romito e la sorella Cristiana (preziosa per tanti motivi, impeccabile e straordinaria in sala) crearono nel 2011 Casadonna, a Castel di Sangro: ristorante, camere, ma anche una prestigiosa scuola-laboratorio di alta cucina e formazione, frequentata da giovani provenienti da tutta Italia. A fine corso molti ragazzi vengono inseriti (e retribuiti) nei ristoranti “Spazio” che Romito ha aperto a Milano, Roma e Rivisondoli. Il Reale dal 2013 ha tre stelle Michelin. Le tre stelle più a Sud d’Italia. Grande risultato, ottenuto in meno di dieci anni.

Lo chef è un vulcano sempre inquieto. Adora Ferran Adrià e i libri di Italo Calvino, ha ideato progetti per migliorare la ristorazione ospedaliera, è un insegnante severo e un grande scopritore di giovani talenti di cucina. Quattro anni fa un’alleanza col gruppo Bulgari fece nascere ristoranti firmati Romito a Dubai, Pechino, Shanghai. “Fu l’occasione per portare nel lusso la mia cucina fatta di sobrietà – commenta lo chef – Ho sempre sognato di emozionare un cliente straniero, a migliaia di chilometri dall’Italia, con un grande spaghetto al pomodoro”.