Quante storie ci sono dietro la produzione di una bottiglia di vino? Che profumi, che territori, che radici profonde e che tradizioni si possono scoprire se si va oltre il semplice consumo di un prodotto?
C’è chi addirittura, inseguendo la curiosità e assecondando una passione ha trovato il coraggio di stravolgere la propria esistenza.
E’ la storia di Laura Donadoni, giornalista da sette anni residente a San Diego, che da Bergamo ha cominciato la sua carriera in campo giudiziario per poi, dopo varie vicissitudini, cambiare vita e seguire la sua vocazione: raccontare le storie di chi, dalla vigna all’ imbottigliamento, ha davvero rivoluzionato la propria esistenza.
Come il vino ti cambia la vita. Storie di rinascita, coraggio e ritorno alla terra, (Cairo editore, marzo 2020), è il volume in parte auto biografico di Laura Donadoni, alias The Italian Wine Girl, blogger e instagramer da oltre 46.000 followers che ha fatto fortuna in America come influencer del vino italiano.
Nei capitoli si ripercorre la sua storia insieme a quelle di molti imprenditori e produttori che sono arrivati al vino da altri settori o che hanno percorso strade innovative, rimanendo in territori difficili, non cedendo alle sole regole commerciali nella scelta dei vitigni, ma ascoltando il territorio.
Dopo aver iniziato una carriera come giornalista a Bergamo, si è trasferita in America dove ha iniziato da capo diventando esperta di vino e sommelier Wset di successo, oltre che Vinitaly International Italian Wine Ambassadors, in California, fondando uno dei wine blog e canali Instagram e Youtube sul vino italiano più seguiti, ma anche La Com, agenzia di comunicazione focalizzata sulla promozione del vino che opera negli States su tutto il territorio nazionale, unica donna italiana membro del prestigioso International Circle of Wine Writers di Londra. Le storie che racconta nel suo libro hanno in comune “la speranza di vedere rinascere un Paese in crisi dove le nuove generazioni stanno intuendo che è possibile ripartire da uno dei nostri beni più preziosi”.
L’abbiamo intervista nel clou del suo book tour tra le cantine italiane più particolari e suggestive.
Raccontaci come è nato il tuo amore per il vino.
“Il vino per me è come un tatuaggio genetico, questa è l’espressione che utilizzo nell’introduzione del mio libro quando descrivo le estati trascorse in vigna con mio nonno paterno. La natura, il tempo della vendemmia, l’odore del mosto, hanno lasciato un segno indelebile in me e anche se ho intrapreso strade tortuose e ho scelto di fare la giornalista, la vita mi ha riportato al vino, facendolo diventare, dopo molte avventure, il mio lavoro. Ora sono un’orgogliosa e felice ambasciatrice dei vini italiani negli Stati Uniti”.
Perché la scelta di espatriare in Usa?
“Perché gli Stati Uniti sono davvero il Paese delle opportunità e sono perfetti per chi vuole ricominciare da capo. Io e mio marito siamo stati costretti a farlo dopo che lui è stato accusato ingiustamente di corruzione e ci hanno portato via tutto: il lavoro, la dignità, la casa, la reputazione…”.
Cosa hai trovato in terra d’America per i tuoi progetti (aspetti positivi e negativi)?
“Ho trovato un Paese meritocratico, in cui se tu hai voglia di fare, abbassi la testa e lavori, ottieni grandi risultati. Ho trovato un Paese che incoraggia l’intraprendenza, la creatività e mi sostiene come imprenditrice. Ho trovato ottimismo e fiducia verso il futuro. Ma ho sacrificato lo stile di vita italiano, i veri e genuini rapporti umani, non solo basati sul business, la socialità del cibo, la bellezza delle città e delle comunità, ho incontrato spesso rigidità mentale su determinate procedure o questioni, gli Americani seguono le regole alla lettera ed è forse il segreto del loro successo, ma può essere un grande limite quando arrivano gli imprevisti, come la pandemia, lì entrano in gioco la capacità di adattarsi, l’inventiva e la flessibilità che ti porta a stare a galla anche quando non ci sono ricette o regole da seguire”.
Hai da poco pubblicato il libro “Come il vino ti cambia la vita”. Puoi spiegarci il tuo progetto?
“Questo libro nasce dalla voglia di condividere la mia storia di rinascita, in cui il vino è protagonista, ma anche le storie di altri sei imprenditori e imprenditrici che hanno fatto la differenza per le rispettive comunità seguendo strade in salita, prendendo le decisioni meno ovvie o profittevoli in nome dei propri valori e della volontà di lasciare in eredità un grande patrimonio di bellezza e biodiversità. Sono uomini e donne del vino che ho incontrato nel mio peregrinare giornalistico su e giù per l’Italia, racconto le loro storie e quelle di vitigni salvati, di vini misteriosi e di territori da rivalutare, è un libro che piace anche a chi non beve vino, perché le loro vite sono di ispirazione e le loro emozioni sono universali”.
A livello di comunicazione e marketing come sta reagendo il mondo del vino alla pandemia?
“Dipende innanzitutto dalla geografia, ci sono certi mercati che sono stati colpiti più di altri, alcuni che stanno già ripartendo, altri ancora fermi. In generale il lavoro in vigna non si è mai fermato, la natura non va certo in lockdown, quindi i viticoltori hanno continuato le loro attività e il vino deve essere prodotto, ciò che preoccupa ora è il surplus, ovvero le molte casse invendute che occupano i magazzini e alle quali si andranno ad aggiungere le nuove annate a fine anno… Con ristoranti e hotel chiusi, visite in cantina azzerate, le aziende si sono dovute reinventare con la vendita online e una presenza maggiore sui social media. Negli Stati Uniti erano pronti, in Italia la maggior parte, essendo piccoli produttori familiari, non lo era. Ma sicuramente il Covid ha dato un’accelerazione alla digitalizzazione che era necessaria già da qualche anno, nota senz’altro positiva”.
Durante il lockdown a cosa ti sei dedicata?
“Ho scritto molto, di vino e non, ho registrato molte puntate del mio podcast, ho letto di più, ho passeggiato sul lungomare di San Diego e pensato a lungo al mio futuro. Ho anche messo le basi per due nuovi progetti per il 2021, uno editoriale, l’altro sulla formazione”.
Cosa pensi sia utile in questo momento per dare una spinta all’economia a livello enologico tra Italia e Stati Uniti?
“Penso che le aziende italiane debbano investire ancora di più sulla comunicazione, ma farlo in modo intelligente: in gruppo, con i consorzi, con le associazioni turistiche, promuovendo un intero territorio, non solo il proprio orticello o la propria etichetta. Unire le forze, unire le risorse, permette di poter delineare strategie di promozione più incisive e di impatto. Il problema principale delle aziende italiane e’ che ognuno fa da se’, poco, in sordina e autonomamente. In un Paese competitivo come gli Usa (che sono un continente) si rischia di perdersi come gocce nel mare della concorrenza, se non si agisce con forza e uniti. Altri Paesi europei lo fanno con successo, dobbiamo guardare quegli esempi”.
Come cambierà secondo te l’approccio dei consumatori?
“Posso esprimere una previsione per il consumatore americano: durante il lockdown in generale si è consumato più vino, ma si è invertito il fenomeno della premiumization ovvero dell’incremento di valore a discapito del volume. In poche parole prima si beveva meno vino ma con un prezzo medio più alto, ora si beve più vino con un prezzo medio più basso. E’ un’arma a doppio taglio: da un lato positivo perché più consumatori si sono avvicinati al vino (era più facile ordinare online una bottiglia di vino che un cocktail per esempio), dall’altro negativo perché i vini a disposizione sono stati principalmente quelli della grande distribuzione che hanno tagliato fuori dal mercato tutte le vinerie o i vini di nicchia di piccole cantine che si trovavano per esempio solo nelle enoteche o in certi ristoranti. Ci sarà da fare un gran lavoro di comunicazione per educare questi nuovi consumatori e convogliarli verso prodotti più di qualità”.
Cosa è cambiato nella comunicazione a livello social?
“Credo che la comunicazione del vino sui social si sia molto democratizzata: siamo stati tutti testimoni (a volte anche annoiati) delle migliaia di dirette Instagram con degustazioni virtuali, tutti hanno stappato e bevuto in diretta forse a volte banalizzando vini che valeva la pena raccontare o travestendo chiacchierate da bar sport in masterclass sulle denominazioni vinicole… Come accennavo in precedenza ritengo che il grande cambiamento sia stato quello che finalmente le aziende italiane si sono rese conto che non possono fare a meno dei social media se vogliono comunicare, ma c’è ancora tanta strada da fare, in molti pensano ancora di poter fare da se’ in modo pressapochista e superficiale, ma non è così, la comunicazione sui social è un mestiere se si vuole usare come strumento business.
Per quanto riguarda mie iniziative per il futuro sto per ultimare un progetto di formazione destinato proprio alle aziende, ai consulenti, agli export manager per approcciare il mercato americano, sarà ovviamente online e social”.
Ora che in Italia ci si può muovere, quali sono le tue prossime tappe?
“Sono in tour per la presentazione del mio libro Come il vino ti cambia la vita, ho 12 eventi in programma in 7 regioni diverse, dalla Toscana, alla Puglia, dall’Umbria al Lazio alla Sardegna. Potete seguirmi sui miei canali social e avere un calendario completo su www.comeilvinoticambialavita.com“.
Insomma, come scrive nella prefazione il fondatore di Eataly Oscar Farinetti “…i grandi progetti riescono a raggiungere contemporaneamente più scopi, in armonia tra loro, vale a dire apportare benessere per la propria vita; farsi perdonare la fortuna di essere nati nel più bel Paese del mondo e salvare l’Italia”.
Come il vino in senso positivo ha prodotto un grande cambiamento nella esistenza di Laura, adesso, il rapporto con i piaceri della vita ha cambiato e, momentaneamente, rivoluzionato le vite di tutti noi.