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L’America ama Vinitaly: USA in cima alla classifica dei buyer

Assocamerestero offre le linee-guida per il mercato d'oltreoceano

Alessandra MorobyAlessandra Moro
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Time: 12 mins read

Vinitaly & USA: all’inizio di marzo 2017 erano 2.000 i nuovi buyer registrati per la 51ª edizione, provenienti in particolare da USA (da una ventina di stati), Cina, Hong Kong, Australia, Canada, Francia, Danimarca, Belgio, Germania, Giappone, Svizzera, Norvegia, Svezia e Russia; in aumento gli arrivi da Taiwan e Brasile e, nonostante la Brexit, il Regno Unito ha aggiunto all’elenco 100 nuovi nomi. 

A edizione 50+1 conclusa, i numeri corroborano le attese: operatori esteri in crescita rispetto al 2016 da Stati Uniti (+6%), Germania (+3%), Regno Unito (+4%), Cina (+12%), Russia (+42%), Giappone (+2%), Paesi del Nord Europa (+2%), Olanda e Belgio (+6%) e Brasile (+29%); debuttano buyer da Panama e Senegal. A Veronafiere per quattro giorni presenti 4.270 aziende espositrici da 30 paesi, aumentate nel complesso del 4%, in particolare quelle estere, del 74%. E a “Vinitaly and the City”, il fuori salone, 35.000 wine lover tra il centro storico di Verona e il comune di Bardolino, sul lago di Garda.

Vino globale

Nel 2016 sono state oltre 49.000 le presenze straniere da 140 paesi, con 28.000 buyer registrati. Come per quest’anno, la top ten ha visto sul podio Stati Uniti (cresciuti del 25% sul 2015, con un totale di 6.250 presenze). Il 2017 lo illustra il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani: “I numeri di questa edizione testimoniano la crescita del ruolo b2b di Vinitaly a livello internazionale, con buyer sempre più qualificati da tutto il mondo. Basta guardare alla top ten delle presenze degli operatori stranieri che mostrano incrementi da quasi tutte le nazioni: Stati Uniti (+6%), Germania (+3%), Regno Unito (+4%), Cina (+12%), Francia e Canada (stabili), Russia (+42%), Giappone (+2%), Paesi del Nord Europa (+2%), Olanda e Belgio (+6 per cento). A questa lista si aggiunge la buona performance del Brasile (+29%), senza dimenticare il debutto assoluto a Vinitaly di Panama e Senegal. Per quanto riguarda invece l’Italia, assistiamo ad un consolidamento degli arrivi da tutte le regioni del Paese”.

Con una quota di mercato del 21%, l’Italia si conferma il secondo esportatore di vino nel mondo, per un valore registrato nel 2016 di oltre 5,6 miliardi di euro e una crescita sull’anno precedente del 4,3%. Il vino è anche il prodotto agroalimentare che registra di gran lunga il miglior saldo commerciale, con un surplus che supera i 5,3 miliardi. Per Mantovani, “lo scacchiere della domanda mondiale sta cambiando in modo più significativo rispetto al passato, basti pensare che dal 2010 a oggi il mercato italiano nei Paesi extra-UE è cresciuto in valore del 51% mentre l’incremento della domanda Ue nello stesso periodo è stato del 38%. Ma non basta, serve lavorare sul brand e quindi sul prezzo medio – ancora troppo basso – e recuperare terreno su alcuni mercati emergenti come la Cina, che vedrà aumentare i consumi di vino del 79% da qui al 2020″. 

Crescita in vista

I dati raccolti da Outlook vino 2020 – studio, realizzato attraverso la simulazione degli impatti determinati dall’evoluzione degli scenari di mercato e presentato il 10 aprile in un confronto con il viceministro Mipaaf, Andrea Olivero, il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, il presidente di Bevology Inc, Steve Raye, il responsabile acquisti internazionali di Cofco, Aline Bao, e il country manager Alibaba per Italia Spagna e Grecia, Rodrigo Cipriani Foresio – prevedono da qui al 2020 una crescita sia nella produzione (+2,4%), sia soprattutto sui consumi mondiali di vino, per i quali si annuncia un incremento complessivo del 4,3%, con punte in Cina, (+21,6%), Russia (+6,1%) e Usa (5,7%).

Tra i Paesi produttori, è l’Italia a crescere di più, con un aumento delle vendite in valore del 10% nel prossimo quadriennio, meglio di Francia e Cile (+6,1%), Usa (+4,3%) e Spagna (+3,6%). Mantovani ha commentato gli esiti dell’analisi: “Ci dicono che c’è ancora molto da fare, non solo in Cina ma anche negli Stati Uniti. Qui il vino italiano è polarizzato soprattutto sulla costa atlantica, mentre dobbiamo cominciare a ragionare sul cuore dell’America, in quelle aree centrali dove il nostro vino non è ancora così presente. E se il prezzo – ha proseguito Mantovani – rimane il tallone d’Achille del nostro prodotto, sul fronte Brexit è significativo e positivo il fatto che 4-500 nuovi buyer inglesi abbiano deciso di partecipare quest’anno al Vinitaly. Non escludo – ha aggiunto su Brexit – che ciò che sta succedendo non possa trasformarsi invece in opportunità per il vino italiano. Sulla Cina i dati di Ismea rivelano quanto questo gigantesco mercato sarà sempre più strategico, sta a noi diventare più competitivi e sistemici nella promozione. Altra novità importante di quest’anno – ha concluso – è l’adesione rilevante di diversi operatori di Paesi africani”.

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La conquista delle Americhe

E se non abbiamo, finora, dato abbastanza numeri, ecco la settima edizione dell’annuario statistico pubblicato da Il Corriere Vinicolo, a comporre un mosaico con potenziali, commercio, consumi, prezzi: “Uno strumento – secondo il presidente di Unione Italiana vini, Antonio Rallo – promosso da UIV insieme a Ismea e ad altre prestigiose partnership, per creare un Osservatorio del Vino, prima vera e propria iniziativa di “sistema” in Italia, per riordinare l’ambito delle statistiche di produzione e del mercato vinicolo”. 

Nel fitto calendario dei focus contestuali a Vinitaly, “Autenticamente Vino: come far crescere la presenza in USA, Canada e Messico”, a cura dell’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’estero, ha fatto il punto su questa direzione business (9 aprile). L’incontro è rientrato tra le azioni del progetto “The Extraordinary Italian Taste – Valorizzazione e promozione dell’agroalimentare 100% made in Italy” promosso e finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico e realizzato da Assocamerestero in collaborazione con le Camere di Commercio Italiane all’Estero di Chicago, Houston, Los Angeles, Miami, New York, Montréal, Toronto, Vancouver e Città del Messico, che riportano le caratteristiche del mercato, il ruolo dei diversi canali di distribuzione, i principali paesi competitor e i modelli promozionali di successo.

Quali gli obiettivi? Contrastare la diffusione dell’italian sounding in Canada, Stati Uniti e Messico e favorire l’export delle PMI italiane del food, grazie al consumo consapevole dell’agroalimentare made in Italy autentico, del quale il Ministero dello Sviluppo Economico punta – con il contributo della rete delle CCIE – ad incrementare la conoscenza e il consumo in mercati esteri target, quelli in cui sono maggiormente diffusi prodotti che evocano il “bel paese”, ma non sono di origine italiana.

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I dati forniti da “Corriere vinicolo”

Le attività si rivolgono ad importatori, distributori, responsabili acquisti catene alberghiere e specialty stores, chef, food blogger, giornalisti settore, nutrizionisti, testimonial e opinion leader legati al mondo food e wellness, e prevedono incoming in Italia e formazione per operatori food, educational tour per opinion leader e influencers, eventi di networking, degustazioni guidate ed altre iniziative coerenti.

Al meeting veronese il presidente di Assocamerestero, Gian Domenico Auricchio, ha descritto l’andamento del commercio: “Il vino italiano ha tenuto, su un mercato maturo come quello nord-americano, un passo espansivo superiore alla media-mondo. Cosa ancora più significativa è che la sua quota specifica sulle importazioni di vino dell’area è cresciuta, anno dopo anno, mostrando un benchmark positivo. Da qui l’impegno del Sistema camerale italiano all’estero nel supportare gli sforzi degli operatori, con informative mirate sui prodotti più richiesti, i canali distributivi di eccellenza, le nuove abitudini alimentari, le fasce di consumo più promettenti, le aree specifiche che spiccano per maggiore dinamismo“.

Il vino ha rappresentato nel 2016 la fetta di gran lunga più importante dell’export complessivo del nostro food and beverage, con una incidenza del 19,2% sull’export alimentare: negli Stati Uniti la quota ha raggiunto il 36,3% e in Canada il 41,6%.

In Canada è cresciuto del 14,3% negli ultimi quattro anni, una crescita di tre volte maggiore rispetto al consumo medio mondiale. 36 milioni di abitanti, appassionati di vino italiano: l’Italia è terzo paese di importazione, dopo Stati Uniti e Francia, mentre per la Provincia dell’Ontario occupa la seconda posizione. In Québec, Alberta e British Columbia particolarmente apprezzati i vini rossi e il consumo pro capite è il più elevato del Paese, mentre in Ontario sono i bianchi a farla da padrone; il British Columbia rappresenta un mercato in crescita e dinamico, con la presenza anche di una forte produzione autoctona.

Per il Messico, si registra un incremento annuo del consumo di vino dell’8-10% e il 15,4% dei vini acquistati dall’estero proviene dall’Italia; in particolare, nei vini spumanti il made in Italy raggiunge ottimi risultati: il 60% di quelli importati è, infatti, di provenienza italiana.

Luci, ma anche qualche elemento in chiaroscuro: nel primo bimestre 2017 l’export italiano di vino negli Stati Uniti è aumentato del +10%, mentre quello complessivo agroalimentare viaggia su questo mercato su ritmi del +20% in volume e del +14% in valore. La concorrenza non sta venendo soltanto dai francesi, che mantengono percentuali di 3/4 punti inferiori a quella italiana sulle importazioni totali, quanto dai nuovi concorrenti, in primis Australia, Nuova Zelanda e Spagna.

Effetto Trump

In questo quadro va inserita la notizia che il presidente americano Donald Trump ha firmato due decreti mirati a “combattere gli abusi commerciali“ nei confronti degli Stati Uniti, come detto durante un incontro alla Casa Bianca con la National Association of Manufacturers. A monte della decisione c’è il contenzioso nato dallo stop della UE all’importazione di carni di manzo USA da bovini trattati con gli ormoni: la piccata risposta potrebbe essere il varo di pesanti dazi su prodotti che spaziano da cicli e motocicli fino a 250 cc (ad esempio l’iconica Vespa) all’acqua minerale (leggi San Pellegrino e Perrier), passando per la cioccolata belga, il pomodoro in qualsiasi sua forma, salami e prosciutti e altre eccellenze e peculiarità italiane ed europee. L’incudine andrebbe a cadere su un volume di importazioni per un valore massimo di 116,8 milioni di dollari, l’equivalente del danno causato dal bando UE. Il vino (per adesso) non è nella black list: l’Italia ne esporta negli Stati Uniti per la significativa cifra di 1.350 miliardi all’anno.

In tutto ciò, la posizione di Assocamerestero è serena, trattandosi di questioni ancora relegate all’ambito essenzialmente politico, e si concentra sul suddetto progetto di valorizzazione, che si concluderà nel 2017 e che, a livello di appuntamenti pubblici negli USA e Canada, si traduce nei prossimi The Italian culinary tour a Miami (12, 18-19, 25-26 aprile), Cooking Show a Vancouver (maggio) e Top chefs Competition a Vancouver (giugno). Parimenti, le reazioni di vari produttori interpellati durante Vinitaly, sono state pacate: Raffaele Boscaini (Masi) suggerisce di “non fasciarsi la testa prima di rompersela: mi pare sia un conflitto commerciale dai contorni forse un po’ pretestuosi; guardiamo oltre e, in particolare, apprezziamo le iniziative di promozione come questa di Assocamerestero, perché oggi più si fa rete, più si ottiene risultato“.

Peraltro, durante l’inaugurazione di Vinitaly 2017 con il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina, il presidente di Veronafiere Maurizio Danese ha sottolineato la presenza del commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan nell’anno del 60° anniversario dei Trattati di Roma, occasione concreta per un confronto sul futuro della vitivinicoltura italiana ed europea, sulle misure di promozione OCM e sulle prospettive della politica agricola comunitaria dopo il 2020. “Il nostro export enologico – ha aggiunto – è fondamentalmente basato sui tre mercati di Stati Uniti d’America, Germania e Regno Unito, il che potrebbe diventare un fattore di rischio. Per questo è necessario diversificare, sviluppando o aprendo mercati minori e potenziali, e occorre farlo anche attraverso la condivisione delle politiche di promozione e sviluppo dell’Unione Europea”.

Verona internazionale

A Vinitaly tutto ha un respiro internazionale e anche la Camera di Commercio di Verona si è declinata a tema, organizzando martedì 11 aprile una degustazione guidata per la presentazione delle Great Wine Capitals, 10 regioni vinicole particolarmente vocate per il turismo, tra le quali è di recente entrata la stessa Verona.

La rete delle Grandi Capitali dei Vini (Great Wine Capitals Global Network, GWC) riunisce dieci grandi città internazionali che condividono uno dei loro principali aspetti economici e culturali: le loro regioni vitivinicole, riconosciute a livello mondiale; si tratta dell’unica rete che lega regioni vitivinicole della Vecchia Europa e del Nuovo Mondo, a favorire gli scambi commerciali, turistici ed accademici tra le aree produttive di Adelaide (South Australia), Bilbao (Rioja, Spagna), Bordeaux (Francia), Città del Capo (Sudafrica), Mainz (Germania), Mendoza (Argentina), Porto (Portogallo), San Francisco (Napa Valley, USA), Valparaìso (Casablanca Valley, Cile) e Verona (Italia).  

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Alessandra Moro

Alessandra Moro

Di radici friulane, è nata a Verona sotto il segno dei Pesci; ha un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Giornalista dell’ODG Veneto, lavora nel mondo della comunicazione come autrice e consulente, con esperienza nella stampa cartacea, radio, tv e web. La scrittura come passione, prima che come mestiere.

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