“Political Theater in Italian American Theater” è l’evento organizzato da Kairos Italy Theatre e Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, che rientra nei tre spazi dedicati al centesimo anniversario dalla morte di Leonardo Sciascia, una delle figure intellettuali più grandi del Novecento italiano ed europeo. Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo.
Laura Caparrotti, direttrice del KIT (Kairos Italy Theatre), intervista per primo, Frank J. Avella, sceneggiatore teatrale e cinematografico, membro del Dramatists Guild, vincitore di tredici awards e finalista in più di cento Festival a livello mondiale. Tra i lavori più importanti: “Fig Jam”, cortometraggio narrativo, che ha scritto e diretto, l’opera teatrale “Vatican Falls”, finalista all’O’Neill Festival.
A seguire Marcella Bencivenni: docente di storia presso Hostos College, le sue ricerche sono focalizzate su storie d’immigrazione, lavoro e movimenti sociali nei moderni Stati Uniti. È autrice di: Italian Immigrant radical Culture: The Idealism of The Sovversivi in the United States, 1890-1940 e co-editrice del Radical Perspectives on Immigration, rubrica del giornale Socialism and Democracy.
Il discorso si apre con una lista di opere riguardanti la società italoamericana durante la Seconda Guerra Mondiale, sottolineando come non siano state scritte né da italiani, né da Americani di origine italiana. L’aspetto sociale è centrale. L’evento sottolinea come il teatro a sfondo politico ebbe grande successo appena prima dello scoppio della guerra. Il fascismo stesso, lo utilizzava per educare soprattutto i giovani, per il quale non vi era alcun interesse a fomentare la gioventù verso la Terra Promessa. Chiaramente, il regime fascista era interessato ad esaltare il sistema italiano, screditando quello americano. Lo stesso Mussolini scrisse tre opere teatrali.
Si passa a citare Golden Boy di Clifford Odets, che fu inizialmente prodotta a Broadway dal The Group Theatre nel 1937, per poi diventare nel 1939 una pellicola con William Holden. La storia riguarda Joe Bonaparte un giovane italoamericano che desidera diventare un violinista professionista che finirà, invece, per diventare un famoso pugile. Il conflitto interiore del protagonista riflette forse uno degli aspetti che più si avvicinava all’italoamericano dell’epoca: lasciare l’arte, per avventurarsi nel mondo del materialismo.
Si continua con i drammi degli anni Cinquanta, con “The Rose Tattoo”, dramma scritto da Tennessee Williams nel 1951, che debuttò nello stesso anno presso il Martin Beck Theatre, regia di Daniel Mann e con protagonista Maureen Stapleton. Ecco che ancora non c’è un italiano per interpretarne uno. Fu solo con Anna Magnani nel 1955, sempre diretta dal sopra citato regista, che un’italiana riuscì a vincere l’Oscar alla miglior attrice. La trama si basa sulle vicende di Serafina Delle Rose, siciliana di nascita, che rimane traumatizzata dalla morte del marito, per poi, tre anni dopo, scoprire tutti i suoi tradimenti. Williams descrive molto bene i pregiudizi razziali ed etnici nella cultura americana, di quel periodo storico, e che nonostante il trascorrere del tempo, ancora persistono.
Si parla, poi, di A “View from the Bridge”, di Arthur Miller, che ha debuttato a Broadway nel 1955, e la cui regia, l’anno successivo, nel West Land, fu affidata a Peter Brook. La trama è incentrata sull’emigrato italiano Eddie Carbone, che vive in un quartiere italiano a Brooklyn, con la moglie Beatrice e la nipote diciottenne Catherine, della quale è morbosamente geloso. Le tematiche centrali sono l’incesto, l’omosessualità e la corruzione delle famiglie siciliane. Con l’arrivo di parenti clandestini, provenienti dalla Sicilia, Marco e Rodolfo, il protagonista non riesce a sopportare la nascita dell’interesse reciproco fra la nipote e quest’ultimo, arrivando ad accusarlo di essere omosessuale e di voler approfittarsi di Catherine, per poter rimanere negli USA. La rivalità tra i due uomini avrà un esito tragico e a pagarne le conseguenze, sarà lo stesso Eddie. Molti revival sono stati realizzati, ma senza nessun regista italiano.
La riconciliazione sembra avvenire nel 1987 con il film “Moonstruck”, che narra la normale struttura di una famiglia italoamericana attraverso le vicende della vedova Loretta Castoretti.
Dopo aver citato opere che riaprono il tradimento tra Italia e America, come: “The Most Happy Fella”, musical di Frank Loesser, “Nine” dramma musicale di Mario fratti e Arthur Kopit, basato sul capolavoro di Federico Fellini: 8 e mezzo, si passa a descrivere i drammi che narrano di mafia, concludendo che, i personaggi di origine italiana, hanno animato le sceneggiature teatrali e cinematografiche, creando grande interesse nel pubblico.
La prima parte del dibattito della Bencivenni, si concentra sull’origine del teatro politico italoamericano, legato alla nascita di nuovi movimenti politici, appena prima della Seconda Guerra Mondiale. Il movimento radicale fu quello che più si legò al teatro attivista, che era vibrante e molto presente. Le stesse comunità neonate portarono alla creazione di nuove idee, attraverso una mistura di più culture. Il teatro era uno degli elementi più importanti per la società, in quanto non aveva solo la funzione di divertire, ma era un mezzo educativo, soprattutto per gli immigrati che, nel caso degli italiani, erano reduci dell’esperienza del fascismo. Per quanto riguarda l’economia, era una grande risorsa: le messe in scena provocavano un grande movimento di denaro e si poteva arrivare a più di mille uditori.
Tra gli italiani di rilievo viene citato Alessandro Sisca, conosciuto sotto lo pseudonimo di Riccardo Cordiferro: calabrese di origine, obbligato dalla famiglia a seguire la carriera di prete a Napoli, che poi lasciò, per raggiungere il padre e il fratello in America, dove ebbe un grande successo nell’ambito letterario. Nel 1893, fondò a New York il settimanale letterario La Follia, che riscosse una grande successo, tra le colonie italiane. Nell sue opere, il tema centrale è la condizione dell’immigrato italiano nella Grande Mela, fatta: di abusi, violenze, difficoltà.
Si prosegue con la lettura del monologo, tratto dal Pezzente, ad opera di Giacomo Rocchini e Mario Merone, che racconta l’immoralità derivante dalla povertà, virus del Capitalismo, ancora oggi.
Si cita Pietro Gori, uno dei più importanti anarchici italiani, autore dell’Inno del primo maggio e dell’opera di tre atti “Gente Onesta”. Nelle sue opere, trapela l’idea americana dell’italiano ignorante e contadino.
Si parla poi di Arturo Giovannitti e Vincenzo Vacirca. In particolare, il secondo, fu un forte critico del fascismo, e politico del partito socialista, che a causa delle proprie idee, dovette emigrare in America diventando la voce dell’antifascismo. Tra le sue Opere viene ricordata La Madre 1928, che narra l’orrore del fascismo dagli occhi di una madre, con due fratelli agli antipodi dal punto di vista politico.
Si conclude con la lettura di una scena tratta dall’opera “La Madre” di Vacirca, e poi di un breve poema di Giovannitti: A Mussolini.