La settima giornata della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia è cominciata con la proiezione del film in Concorso di Gianfranco Rosi “Notturno”. Il film arriva nei cinema del Lido di Venezia a circa metà festival dopo altri tre film italiani: “Lacci” di Daniele Lucchetti (fuori concorso), “Miss Marx”, di Susanna Nicchiarelli (in Concorso) e “Padrenostro” di Claudio Noce (in Concorso). Il regista Rosi torna a Venezia sperando di riottenere lo stesso successo che si era aggiudicato con “Sacro Gra” del 2013, quando vinse, proprio qui a Venezia, il Leone D’Oro. Aveva ottenuto anche un bel successo il film-doc “Fuocoammare” con cui il regista aveva vinto l’Orso d’Oro a Berlino nel 2016.

Indubbiamente grandi sono le aspettative di Rosi per “Notturno” considerando che è un prodotto che ha costruito con il lavoro di tre anni trascorsi nel Medio Oriente e con un “ impegno economico importante” come ha dichiarato lo stesso regista. Notturno è un film-documentario sulla situazione di alcuni paesi del Medio Oriente, quali Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, dove il regista ha girato raccogliendo immagini delle conseguenze delle guerre civili, delle invasioni straniere e della devastante presenza dell’Isis. Immagini raccolte per lo più durante le notti o l’imbrunire, da cui i titolo del film.
Il film si apre con delle immagini di battaglioni di soldati che nel loro marciare producono un suono tonfante intervallato da profondi silenzi: “come il ritmo della vita in questi posti di guerra: al silenzio dei periodi di pace si alternano episodi devastanti e rombanti della guerra” ha spiegato il regista. Infatti l’eco della guerra con le raffiche di spari è spesso l’unica colonna sonora del film, spari che si alternano poi a lunghi silenzi. “Il silenzio è una parte fondamentale di questo film” dichiara Rosi. “Il silenzio è anche mancanza di risposte perché io non volevo cercare una risposta ai perché della guerra. Il mio unico intento è stato di testimoniare quanto siano sottili i confini tra guerra e pace, tra vita e morte, tra voglia di costruire e voglia di distruggere” e aggiunge :“ho cercato di raccontare la Storia attraverso le piccole storie personali del quotidiano”.
Infatti non mancano nel film racconti delle miserande condizioni umane di questa parte del mondo, la descrizione di sofferenze fisiche e delle uccisioni dei civili da parte dell’Isis. Ciò che colpisce lo spettatore è che molte di queste testimonianze siano fornite da bambini resi testimoni oculari di massacri, bambini vulnerabili che non trovando risposte ai loro perplessità potrebbero nutrire sentimenti di vendetta per poter cancellare le dolorose cicatrici interne.
La telecamera viaggia su paesaggi di cittadine distrutte, ridotti in ruderi. Ruderi sono anche i cittadini simboleggiati da figure umane come il ragazzo sempre silenzioso che, per vivere e aiutare la sua famiglia, otto fratelli e sua madre, si sveglia nel corso della notte nella speranza di essere scelto dai cacciatori per la raccolta della selvaggina; una funzione da sempre relegata ai cani. Come contrasto, sullo sfondo di queste storie, raccontate con i silenzi e solo con l’aiuto delle immagini, si intravedono le intense luci dei fuochi che escono dai ricchi pozzi di petrolio.
Nonostante queste soluzioni filmiche “Notturno” risulta una produzione un po’ lenta, forse troppo lenta, e sebbene il film si avvalga di inquadrature su paesaggi mozzafiato, tramonti focheggianti, offerti dalla natura del luogo, risente di una carenza narrativa.
L’unica struttura di presunta trama ce lo offre il fil rouge narrativo che si intravede nel ruolo dell’ospedale psichiatrico in cui i pazienti, quelli meno gravi, sotto la guida di uno psichiatra illuminato, si dedicano all’attività teatrale come forma terapeutica. Il testo, da loro recitato, scritto e diretto dallo stesso psichiatra, tratta della situazione di profonda tragicità sociale e della responsabilità dei rappresentanti politici in questa parte del mondo. Ne esce fuori un’analisi lucida e razionale della situazione drammatica del Medio Oriente che si contrappone alla ‘follia’ del mondo esterno che sceglie la guerra. Così, mentre la ‘follia’, rinchiusa fra le mura della struttura psichiatrica, esprime una volontà di pace, il mondo dei ‘normali’ si cimenta con azioni di guerra e di distruzione; un paradosso dell’essere umano.

“Dovendo selezionale molto materiare dopo i tre anni di girato ho dovuto operare una sintesi” dice il regista, “e nel processo di sottrarre e modellare, mi sono accorto che non era importante definire le zone dove ciò che filmavo avveniva, perché la follia della guerra è una tematica universale, anche ‘il prima e il dopo’ della storia ha assunto sempre meno valore ”. Spazio e tempo diventano infatti nel film dimensioni che scompaiono difronte alle tragedie umane. “ Il dolore, come dimensione universale, non può essere spiegato ma solo sentito. Mi auguro di essere riuscito a indurre lo spettatore ad entrare in un contatto empatico con i personaggi” Spiega Rosi auspicandosi di “essere riuscito con questo film ad aver creato ponti tra i vari popoli”.
L’ intento del regista è lodevole, il fatto che sia riuscito nei suoi obiettivi può essere discutibile perché i 100 minuti di proiezione immersi nei lunghi silenzi, lenti movimenti di camera, mancanza di una chiara trama, richiedono uno straordinario atto di fedeltà da parte del pubblico.
Il film è in uscita dal 9 settembre nelle sale italiane e “abbiamo già ottenuto una grande visibilità internazionale” ha dichiarato orgogliosamente Paolo del Brocco, produttore del film, “ infatti saremo presenti, perché invitati, ai festival di New York, di Tokio, di Toronto, di Londra e in Sud Corea”.