L’Isis ha perso Mosul, ma è davvero sconfitto? Una domanda che è alla base del documentario “Isis – Tomorrow. The lost soul of Mosul” e che noi abbiamo girato agli autori, Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, e al produttore Gabriele Immirzi.
Il film è nato durante le riprese nei mesi di guerra e dopoguerra a Mosul – spiega la Mannocchi: che ne sarà dei bambini cresciuti per tre anni sotto l’Isis? Come scongiurare la possibilità che siano il terreno fertile del terrorismo di domani?

Cosa l’ha più duramente colpita?
Da donna e madre non è stato facile incontrare donne che si schieravano a favore dell’Isis, che giustificavano il desiderio dei giovani figli di trasformarsi in kamikaze per raggiungere presto il Paradiso piuttosto che continuare nello stato in cui si trovano ora, organizzato da tutto e da tutti.
Cosa l’ha più sorpresa in questa vicenda?
Le donne sono state sempre raccontate come costrette dai mariti ad aderire all’Isis, quindi non facenti parte della sua struttura: non è così, anzi sono reclutatrici involontarie dei loro stessi figli e questo è un pericolo totalmente sottostimato dall’occidente.
Perché è così difficile la riunificazione post-bellica?
L’Isis è stato raccontato come un monolite nero contro cui valeva tutto, non importa quante vittime avrebbe comportato la guerra e ancora oggi non se ne conosce il numero. Escludendo gli sconfitti da qualunque forma di vita sociale si fa proprio il gioco di Abu Bakr al-baghdadi che una settimana fa – altro che morto – ha dichiarato ‘Abbiamo solo perso un territorio, il Califfato è vivo. Occorre pazienza: quello che conta è mantenere salda l’ideologia.
Cosa c’è di diverso da inizio riprese?
Ci chiediamo che ne sarà di questi ragazzini. L’attuale Isis è nata da 400 miliziani, ora le Nazioni unite parlano di 30 mila miliziani ancora sul campo. Questi bambini potrebbero diventare i miliziani del domani, non per niente al-Baghdadi si è rivolto anche a loro. Magari l’Isis si chiamerà con un altro nome.
Che cosa si può fare?
L’occidente potrebbe cominciare a dare dignità anche ai vinti – afferma Alessio Romanzi -. Lo stato iracheno e la comunità internazionale non sembrano avere intenzione di fare qualcosa, basti pensare che gli Usa che prima spendeva 14 milioni di dollari per la guerra, ora non manda più niente. La ricostruzione non sembra interessare all’Occidente.
Non avete paura dell’accusa di aver indirettamente fatto propaganda all’Isis?
No. Abbiamo solo cercato di dare umanità a quei bimbi – precisa la Mannocchi -. Nessuna volontà di far passare gli affiliati dell’Isis come vittime: abbiamo solo cercato di far capire che gli estremismi non nascono dal nulla, occorre tener sempre presente anche l’aspetto sociale di un problema, che in Iraq è quello dell’inclusione degli sconfitti.

Ragazzini in pericolo di ritorsioni brutali?
Il giovane traduttore che ci ha aiutati ci ha detto ‘Non abbiamo fondi per la ricostruzione né mezzi: ne uccideranno il più possibile’. E il soldato dei Servizi Segreti iracheno da noi intervistato ci ha detto ‘Sono natisbagliati e non hanno futuro: meglio ucciderli adesso’. La comunità internazionale deve capire il problema ed intervenire.
Dei personaggi intervistati chi vi ha colpito di più?
Il ragazzino senza una gamba. È nato un anno dopo l’occupazione militare ma è già ben delineata la sua presa di coscienza: lui rappresenta la vera consapevolezza di quale sarà il suo futuro, martirio compreso.
Quanto avete di girato e quanto tempo ha richiesto questo film-documentario?
Abbiamo 60 ore di filmato, tutto raccolto in 10 viaggi fatti in un anno e mezzo.
Prossimo progetto?
Torneremo in Libia.
“Isis, Tomorrow – The lost souls of Mosul” uscirà in Italia verso la metà di settembre.
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