Inizia dalla west 46th street di Manhattan il sogno americano di Alessandro Parrello, giovane approdato a New York da Roma con un bagaglio di esperienze maturate in TV, in teatro, nel doppiaggio e nel cinema italiano. Un bagaglio attraverso il quale si è trasformato in un artista poliedrico in breve tempo. Alessandro ha guadagnato i suoi primi 50 dollari grazie un training come cameriere in un ristorante nel cuore di Manhattan e proprio da lì è decollato il suo sogno di affermarsi come attore e produttore.
La sua carriera artistica ha inizio con la prima apparizione nella serie TV Elisa di Rivombrosa nel 2003 e prosegue con il ruolo da protagonista nella serie TV Sweet India. In seguito a varie esperienze teatrali Alessandro debutta come regista e autore con il cortometraggio Troppo d’azzardo, in onda su Coming Soon Television.
Nel 2009 si trova a New York per girare come co-protagonista il film indipendente Thank you New York prodotto con il sostegno della New York Film Academy e vincitore del Silver Lei Award 2010 all’ Honolulu Film Festival. Successivamente interpreta un ruolo nel road movie con produzione inglese The Kindness of Strangers, proiettato durante il 63° Festival di Cannes.
Nel 2011 Parrello fonda a Roma West 46th Films, casa di produzione cinematografica indipendente con sede anche a New York e crea successivamente l’omonimo magazine online. Tra i lavori prodotti ricordiamo il western Shuna, di Emiliano Ferrera e con Enzo G. Castellari, distribuito su Rai Cinema Channel; la serie per Flop Tv Il bastardo innocente e il thriller noir co-prodotto The banality of crime, entrambi di Igor Maltagliati, nei quali Parrello è anche attore protagonista.
Alessandro Parrello risulta essere uno tra i produttori italiani più giovani ad occuparsi della diffusione del cinema made in Italy negli USA, dando la possibilità ad altri giovani italiani di realizzare un proprio progetto a New York e promuovendo la cultura e le eccellenze italiane nel mondo.
Cominciamo da qualcosa di recente: raccontaci della tua partecipazione al Festival del Cinema di Venezia.
“Venezia durante il Festival è incredibile! Quest’anno ho avuto la fortuna di essere lì con diversi progetti. Il 1 settembre abbiamo annunciato il film Tre sassi, un thriller psicologico di Luigi Alberton, il 2 settembre ho presentato il cortometraggio Il lupo del Pollino, di cui sono regista e protagonista, prodotto da ETT SpA. Il 3 settembre abbiamo tenuto la conferenza stampa del docufilm L’eleganza del cibo – tales about food & fashion, con Georgia Tal, diretto da Dario Carrarini e prodotto da Kimerafilm, che abbiamo girato a New York proprio nel periodo dell’omonima mostra tenutasi al Chelsea Market lo scorso giugno, curata da Stefano Dominella. Anche qui ho avuto un doppio ruolo, quello di interprete nei panni di un direttore di una rivista di moda e al tempo stesso ho curato le riprese con la mia società di New York West 46th Productions”.
Com’è nata la tua passione per la recitazione?
“Guardando e imparando a memoria i film di Bud Spencer e Terence Hill. Avevo circa 17-18 anni. Non prestissimo quindi. Avevo scoperto di saper fare le imitazioni e cambiare tante voci, così, preso consapevolezza di questo, dopo il diploma ho iniziato a muovere i primissimi passi. Il primo piccolo ruolo in TV è arrivato nel 2003 con Elisa di Rivombrosa”.
Come hai scoperto l’America a livello personale e professionale?
“La mia avventura americana lavorativa è iniziata nel marzo 2007, quando ho avuto l’intuizione di andare a New York per 3 mesi. Ho iniziato a lavorare facendo un training come cameriere in un famoso ristorante sulla West 46th Street e così ho guadagnato i miei primi 50 dollari americani. Ho lavorato come modello, poi come speaker, fino ad arrivare a girare 2 film indipendenti, prendere il visto artistico di lavoro, aprire una società di produzione e fondare un magazine a New York. In USA mi è capitato di vivere situazioni inaspettate e di frequentare persone che mai avrei pensato di incontrare. Non dimenticherò mai l’occasione in cui conobbi Prince ad una cena dopo un suo concerto! Il sogno americano esiste, ancora oggi!”.
Quali sono le differenze tra l’Italia e gli USA che ti hanno creato difficoltà o che ti hanno agevolato, nel lavoro e nella vita personale?
“A New York nessuno ti regala nulla e se raggiungi il tuo obiettivo è solo ed esclusivamente per merito e talento. Se in Italia ci fosse la metà della meritocrazia americana ci sarebbero molti meno cervelli in fuga. L’America mi ha regalato una vita parallela e mi ha fatto scoprire chi fossi davvero, senza agevolazioni, senza la famiglia, ma contando solo ed esclusivamente su me stesso, versando lacrime e stringendo i denti nei tanti momenti più duri. L’esperienza americana è fondamentale anche nei lavori che faccio oggi in Italia”.
Quali sono i tuoi miti del cinema italiano e quali quelli del cinema made in USA?
“Dei nostri attori ovviamente i miei primi miti sono stati Bud Spencer e Terence Hill, perché grazie ai loro film ho iniziato ad appassionarmi alla recitazione. Poi crescendo ho scoperto quel genio assoluto di Volonté o l’immenso Troisi. Ma guardando al presente adoro Favino, Kim Rossi Stuart e sono pazzo di Marco Giallini e Valerio Mastandrea. Del cinema made in USA, su tutti sicuramente direi Al Pacino, Stallone, Tarantino, Leonardo di Caprio e Christian Bale”.
Cosa ami di New York?
“Tutto! New York è un’enorme centrifuga di energia, sempre sveglia e folle dove puoi perderti o puoi trovare la strada maestra, se tieni a mente il tuo obiettivo. Adoro pedalare in bicicletta lungo il fiume Hudson al tramonto, il senso di libertà che ti restituisce la città e ammiro il grande rispetto per il lavoro e per le persone. New York mi ha insegnato che se cadi devi rialzarti più forte di prima. Si lavora sodo ma se vali tanto puoi fare davvero tanto. Odio solo una cosa però: il freddo polare dell’inverno che ti toglie il respiro!”.
Hai lavorato davvero a tantissimi progetti in numerosi ambiti, sei un artista a tutto tondo. Qual è l’attività in cui senti di esprimerti al meglio?
“Fare l’attore resta il punto cardine della mia vita. Per riuscire devi inserirti al momento giusto, essere preparato per il ruolo giusto nel progetto giusto, che deve anche avere la giusta esposizione mediatica. In America mi hanno insegnato che saper fare diverse cose è fondamentale e se il lavoro non c’è bisogna inventarselo. Così il produrre opere, scrivere, sperimentare la regia o fare la radio, sono per me tutte facce della stessa medaglia che possono solo che migliorarmi artisticamente”.
Ci racconti del West 46th Magazine?
“L’idea del Magazine mi è venuta nell’autunno 2014. West 46th Mag è nato a New York il 25 marzo 2015. Avevo il desiderio di creare un contenitore bilingue che promuovesse il made in Italy in tutte le sue forme e con una prospettiva internazionale per un pubblico potenzialmente globale. Il mio ruolo è quello di direttore editoriale e ogni tanto scrivo qualche articolo. All’inizio eravamo in 3 mentre oggi il team è composto da 15 persone, tra giornalisti e scrittori che credono nel progetto e danno il loro prezioso contributo. Oggi siamo una squadra, quasi tutta al femminile, con l’obiettivo di porre in relazione l’Italia con gli USA e gli altri Paesi, per uno scambio culturale. Gli argomenti che trattiamo sono tanti: cinema, moda, cucina, sport, libri, news, hi-tech e tendenze. Una particolarità sono le nostre copertine d’autore che per una rivista online sono inusuali, ma sono molto apprezzate!”.
Cosa consigli ad un ragazzo ambizioso e artisticamente dotato che vuole fare il grande salto negli USA?
“Colgo l’occasione per citarti quello che mi disse metaforicamente Ben Gazzara nel 1999, quando ci passai una giornata assieme: ‘Se vuoi fare l’attore preparati per 50 anni di sofferenza e 5 anni di gloria, perché la strada è tortuosa e tutta in salita. Te la senti?’. Io gli risposi inconsciamente di sì. Oggi, nei momenti di difficoltà, ho sempre in mente le sue parole e lo stesso direi ad un ragazzo che vuole iniziare. Provaci, insisti e rispetta sempre te stesso, con la consapevolezza che l’America deve essere una grande scuola di vita e di formazione professionale. Un lungo periodo di studio e lavoro in USA può essere un modo per prepararsi e tornare nel proprio Paese con degli strumenti in più per dimostrare il proprio talento. Poi ben vengano i lavori negli USA, ma senza mai dimenticarsi delle proprie radici”.