L’amministrazione di Donald Trump in sole tre settimane alla Casa Bianca è riuscita a creare quell’atmosfera da scandalo “Watergate” che ci vollero ben quattro anni per scoperchiare con Nixon. E sulle dimissioni del suo National Security Adviser, il generale Michael Flynn, come avvenne oltre quarant’anni fa, è il Washington Post ancora protagonista, dimostrando che il mastino della stampa americana ha terminato il lungo letargo e ricomincia ad azzannare. Come auspicavamo, almeno l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha fatto risorgere dalle ceneri il Quarto Potere americano che non si mostrava dai tempi d’oro degli anni Settanta. Qui potete leggere come il WP (e anche qui) è riuscito a tenere dritto il timone sul caso della telefonata di Flynn con l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak.
Ora non è più possibile pensare, dopo questa ennesima dimostrazione di “rapporti pericolosi” tra il Cremlino e la presidenza Trump, che le dimissioni di Flynn possano chiudere le indagini e chi ha avuto ha avuto e scurdamoce o passato… Al contrario, questo sarà solo l’inizio di quello che, sospettiamo, potrebbe anche portare alla fine della presidenza Trump, con le dimissioni sotto la minaccia di impeachment come avvenne per Nixon.
Ormai diventa scontato chiedersi: per conto di chi Flynn parlava all’ambasciatore russo rassicurandolo che le sanzioni sarebbero state alleviate presto? Solo per conto di se stesso? Diceva a Mosca di star calmi, non rispondere nemmeno alle espulsioni di diplomatici russi voluta da Barack Obama per le interferenze del Cremlino sulle elezioni americane, perché tanto con nuovo inquilino alla Casa Bianca le sanzioni si sarebbero addolcite… Flynn, proprio lui, il generale che nel 2015 venne filmato a Mosca alla festa del colosso della propaganda tv russa RT come un ospite d’onore così importante da essere seduto accanto a Vladimir Putin!
Ci sarebbero tantissime domande ancora da porre a Trump su Flynn e speriamo che anche il Congresso esca dal letargo e non molli la presa e metta sotto torchio la Casa Bianca. Flynn non era stato scelto come chef per le cene di stato, ma nel ruolo che fu di Henry Kissinger con Nixon: perché? Perché il ruolo più delicato per la sicurezza nazionale viene proprio affidato al generale premiato da Putin?
La storia che nella telefonata di Flynn con l’ambasciatore russo, non si fosse parlato solo di auguri di Natale ma di affari di sicurezza nazionale, era apparsa la prima volta il 12 gennaio nelle colonne del Washington Post, a firma di David Ignatius, grazie ad un “leak” arrivato probabilmente dal Dipartimento della Giustizia da cui, come si sa, dipende l’FBI, che aveva registrato la conversazione telefonica proibita. L’amministrazione Obama aveva quindi avvertito la squadra del presidente entrante che l’informazione fornita dal Post era esatta e che quello che il vice presidente Mike Pence aveva poi detto rispondendo alle domande durante una intervista in tv (“Posso assicurare che Flynn non ha parlato con l’ambasciatore russo di questioni di sicurezza e sanzioni…”) fosse falso, avendo come prova la registrazione e la trascrizione della telefonata. Non doveva quindi queste informazione Trump saperle appena entrato nell’ufficio ovale? Allora perché tutto questo tempo prima di sbarazzarsi di Flynn (tre settimane!)? Perché Trump lo nomina e lo difende per oltre venti giorni nel posto di chi deve consigliare il Presidente sulla sicurezza degli Stati Uniti, nonostante sapesse già che il generale aveva mentito al vicepresidente Pence?
Inoltre, quando Trump entra alla Casa Bianca, la facente funzioni di Attorney General Sally Yates avverte il suo nuovo boss sulle menzogne di Flynn. Si, avete letto bene, la stessa Attorney General che Trump licenzia pochi giorni dopo perché non vuol difendere il suo executive order sul bando agli immigrati da sette paesi islamici, che infatti poi verrà fermato dai giudici…
Paul Ryan, speaker del GOP al Congresso, in una conferenza stampa martedi mattina, pressato dalla stampa su quando la Casa Bianca sapesse delle menzogne di Flynn e soprattuto se Flynn potesse essere stato istruito da Trump a parlare con i russi delle sanzioni, non ha risposto se non con “Trump ha fatto benissimo a chiedere le dimissioni di Flynn una volta che ne aveva perso la fiducia”. Ma perché fare fuori il generale così tardi se la Casa Bianca era stata informata almeno venti giorni prima sulle sue menzogne al vice presidente Pence? Ma queste bugie, avevano colpito solo Pence? Trump forse sapeva fin dall’inizio di cosa Flynn avesse parlato con l’ambasciatore russo e per questo non lo ha licenziato subito? E l’allontanamento arriva soltanto quando la pressione della stampa (Forza Washington Post, azzannali!) era diventata così forte che lo scandalo rischiava – come il Watergate – arrivare fino al Presidente?
Se si pensa al Watergate di Nixon (spiava il partito Democratico durante la campagna elettorale per la rielezione) e i sospetti sulla natura dei rapporti di Trump con Putin, abbiamo la sensazione che le potenzialità di questo scandalo siano mille volte più potenti e pericolosi (per la Sicurezza nazionale degli USA) rispetto a quello che portò alle dimissioni di Nixon.
Dopo il risveglio da incubo della notte dell’8 novembre, non abbiamo mai perso la speranza che Trump non arrivasse a concludere il suo mandato. Motivo? La sua “incompatibilità caratteriale” con la Costituzione, e anche i suoi scandali su certi legami con la Russia e non solo, pronti a esplodere come stiamo assistendo adesso, rischiano di mettere in pericolo gli Stati Uniti e la sua democrazia. Non avremmo mai immaginato che questa speranza diventasse una realtà concreta in così pochi giorni e questo grazie al Quarto Potere di questa formidabile democrazia. Si comprende sempre più perché l’amministrazione Trump attacchi così frequentemente e velenosamente la libera stampa disseminando lei stessa gli “alternative facts”, o meglio le “fake news”. Ma grazie alla potenza del Primo Emendamento, come accadde già ai tempi di Nixon, se la stampa americana continuerà a compiere il proprio dovere, Mike Pence potrebbe diventare prima del previsto, il 46esimo presidente degli Stati Uniti.