Difficile quantificare l’importanza che Trainspotting ha avuto per la cultura pop degli anni ’90. Oltre il cinema e al di là di qualsiasi considerazione di valore, alla sua uscita, nel 1996, il film di Danny Boyle riesce a raccontare le macerie del thatcherismo e le tensioni elettriche che percorrono le periferie britanniche in una modalità completamente nuova. Lontanissimo dal moralismo di Ken Loach, Trainspotting si fa beffe di convenzioni e perbenismo e disintegra al ritmo di una colonna sonora memorabile l’angolazione da cui siamo abituati ad ascoltare, a leggere o a guardare le storie di giovani sbandati o di tossicodipendenza. Più importante che bello, più furbo che spontaneo, il film di Boyle — in misura nettamente maggiore del sopravvalutato romanzo di Irvine Welsh da cui è tratto — segna un decennio e diventa luogo comune, un totem difficilmente replicabile.
Welsh ci prova nel 2002, con Porno, un romanzo prolisso e tremendamente affossato da un pesantissimo effetto-nostalgia che smonta totalmente l’irriverenza del primo capitolo. Boyle decide di infilarsi in questo ginepraio solo due anni fa, quando annuncia, a un’anteprima del suo Steve Jobs, che l’inizio delle riprese è ormai imminente.
Così eccoci qui, alla première berlinese di T2: Trainspotting, fuori concorso nella sezione principale di un’edizione del festival che in questi primi giorni ha regalato più delusioni che sorprese.
In quale di queste due categorie si colloca il film del regista scozzese? Sorpresa o delusione? Nonostante sia innegabilmente divertente, T2 è un’opera che purtroppo tradisce nel profondo lo spirito del suo predecessore. Boyle riprende le vicende dello sgangherato quartetto di protagonisti esattamente vent’anni dopo la fine del primo capitolo: Mark (Ewan McGregor) torna a Edimburgo, per ricucire i rapporti con i suoi vecchi amici, che non vede da quando li ha traditi scappando con ventimila sterline ad Amsterdam per rifarsi una vita. Questa nuova vita borghese l’ha però “espulso” dal suo rigoroso ordine simbolico: un matrimonio fallito e il lavoro perso sono i presupposti per tentare una nuova attività con i vecchi amici. In Porno di Irvine Welsh, questa era una redditizia avventura nel mondo della pornografia; nel seguito di Boyle, si tratta di una sauna “orientata” verso la prostituzione. Solo che il terribile Francis “Franco” Begbie vuole solo la vendetta.
Tale sinossi contiene sia il pregio sia il grandissimo limite di T2: da un lato il regista scozzese vira su qualcosa di completamente diverso dal primo capitolo, una struttura narrativa più organica che evita il rischio di un semplice “clone”; dall’altro lato, però, ciò che non funziona è proprio la banalizzazione del racconto, che finisce per essere una semplice, divertente, inutile vicenda di inseguimenti e inganni, che appiattisce senza appello l’irriverenza compiaciuta del primo capitolo. Non bastano a risollevare le sorti del film il ritmo altissimo e lo stile sempre tamarro-estetizzante di Boyle, non bastano a tenere in piedi il tutto (anzi, peggiorano la situazione) gli inserti nostalgici che richiamano il primo capitolo, disseminati con eccessiva abbondanza. Non c’è rabbia, non c’è alcuno sguardo sulla società britannica di oggi, in T2.
Quel che rimane è un’operazione commerciale tremendamente “imborghesita”, magari vincente al box-office, certamente irriverente, però, ormai soltanto verso l’indimenticabile spirito furbetto e iconoclasta del suo predecessore.
Guarda il trailer di T2 Trainspotting (in inglese):